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Commissione Europea: l’economia rallenta, attenuare l’austerità

FIRSTonline

L’economia europea peggiora, cresce il pressing per un allentamento dell’austerità. Scorrendo le 192 pagine che compongono il recentissimo documento della Commissione Ue sulle previsioni economiche d’autunno resta da domandarsi quali siano gli effetti della politica di austerità fin qui adottata dall’Europa. Anche e soprattutto alla luce della contemporanea retromarcia ribadita dal Fondo monetario internazionale, che un paio d’anni fa per bocca di un funzionario di alto livello aveva detto le stesse cose ripetute ora in un documento ufficiale.

L’organizzazione diretta oggi da Christine Lagarde ha appena riconosciuto di aver lanciato una sollecitazione sbagliata quando, ai primi segnali di ripresa dalla crisi mondiale esplosa alla fine del 2008, sposò la tesi della necessità del rigore finanziario per far ripartire l’economia. Un rimedio che è un po’ come incoraggiare a correre qualcuno che si sia appena fatturato una caviglia. E infatti ora il Fondo, in un documento elaborato dal suo Indipendent evaluation office e condiviso dal direttorio dello stesso FMI, riconosce l’errore e dice che, sì, per una più rapida ripresa sarebbe stato meglio attivare politiche di bilancio più espansive.

Se dunque il ripensamento del FMI è esplicito (libero poi ciascuno di restare ancorato all’idea che le politiche di austerità finanziaria in casi del genere siano più efficaci), nelle Previsioni economiche d’autunno sfornate martedì 4 novembre dall’Esecutivo di Bruxelles l’opzione di un contrasto alla crisi mondiale imperniato su politiche espansive non è dichiarata, e forse neppure intenzionale. Ma anche dalla lettura di quelle Previsioni, a cominciare dall’editoriale firmato da Marco Buti, direttore generale degli Affari economici e finanziari della Commissione, scaturisce il dubbio che, per sconfiggere una grave crisi economico-finanziaria, politiche di bilancio espansive possano essere più efficaci di quelle impostate sull’austerità.

Poiché risulta abbastanza poco comprensibile che dopo sei anni di rigore finanziario l’Europa (e tanto meno l’Italia) non sia riuscita a venir fuori dalla crisi. E anzi, come testimoniano le Previsioni d’autunno, dopo la “ripresina” del 2013 proseguita all’inizio di quest’anno l’Ue chiuderà il 2014 con un Pil in crescita di appena l’1,3% rispetto all’anno scorso, l’Eurozona con un ancor più modesto 0,8% e l’Italia in calo dello 0,4%. E con dati altrettanto sconfortanti in materia di disoccupazione (troppo alta) e di inflazione (toppo bassa). E anche se per i prossimi due anni le Previsioni parlano di una crescita moderata, aggiungono però che almeno sino alla fine del 2016 non esiste la prospettiva di una ripresa economica più significativa.

Però, se è fuor di dubbio che il quadro disegnato da queste Previsioni non sembra incoraggiare l’ottimismo, resta ancora impregiudicato un elemento di novità che ancora risulta difficile valutare: l’impatto della nuova Commissione presieduta da Jean-Claude Juncker sulle politiche economiche e finanziarie dell’Ue (con l’annuncio di un programma, ancora nebuloso, di investimenti per 300 miliardi) insieme con quello dell’altrettanto nuovo Europarlamento (dove le spinte per politiche di bilancio espansive sembrano essere maggioritarie).

Dopo appena un anno di crescita moderata l’economia europea ha incominciato a rallentare nella primavera scorsa. Nella seconda metà dell’anno la crescita del Pil nell’Ue sarà molto modesta, nell’Eurozona quasi stagnante. Fra gli Stati membri di quest’area dell’Ue, la crescita si rafforzerà in Spagna dove però la disoccupazione resterà alta, comincerà ad arrestarsi in Germania dopo un primo trimestre molto forte, in Francia proseguirà la stagnazione mentre in Italia si tratterà di una vera e propria contrazione. I mercati finanziari si sono adattati rapidamente nelle ultime settimane alla prospettiva di una crescita più modesta, non soltanto in Europa ma in tutto il mondo. Per gli investitori si è chiuso un periodo di caccia al rendimento e di disponibilità al rischio.

La debolezza di crescita potenziale già evidente nei bassi incrementi di produttività negli anni che hanno preceduto la crisi sono stati accentuati da una contrazione della formazione dei capitali e dall’aumento di una disoccupazione strutturale a partire dal 2008. Nella prima metà di quest’anno il rallentamento della crescita del Pil fatto registrare dai maggiori partner commerciali dell’Ue e il rapido deterioramento della situazione geopolitica hanno determinato in Europa una crescita dell’export più bassa del previsto. A causa del rallentamento della produzione il ristagno dell’economia europea resta di notevole ampiezza e sta pesando sull’inflazione anche per effetto del crollo dei prezzi dell’energia e degli alimentari. Nel corso del 2015 comunque la crescita riprenderà fiato gradualmente e dovrebbe essere seguita da un’ulteriore spinta all’insù nel 2016.

Ma, nonostante questa lieve ripresa, la crescita manterrà un andamento moderato sino alla fine del prossimo biennio. Per quel che riguarda l’economia la nuova Commissione Ue si è insediata in una fase di venti contrari. La doppia sfida per la politica economica è quella di rafforzare il dinamismo dell’economia nel breve termine e al tempo stesso di rilanciare la crescita nel medio periodo. Conciliare questi due obiettivi richiederà spinte articolate da parte delle politiche monetarie e fiscali e contemporaneamente il raddrizzamento di debolezze strutturali di antica data. Le recenti decisioni della Banca centrale europea dovrebbero migliorare l’offerta di credito all’economia reale. Sotto il profilo fiscale, l’obiettivo da perseguire è quello di un orientamento più favorevole per incrementare la crescita in breve tempo e per sviluppare il potenziale di crescita nel medio termine.

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