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Coltivazione fuori suolo: un rimedio per l’ambiente

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Con una popolazione in rapido aumento e le sfide ambientali che dobbiamo affrontare, bisogna aumentare la produttività agricola. Secondo le stime dell’Onu nel rapporto “The World Population Prospects 2019: Highlights” la popolazione mondiale raggiungerà nel 2050 i 9,7 miliardi di persone (dagli attuali 6,7 miliardi) e questo incremento richiederà un aumento del 70% della produzione, secondo i calcoli della FAO.

Oltre alla scarsità delle risorse disponibili, l’agricoltura dovrà fare i conti con il cambiamento climatico. Sarà per questo motivo necessario trasformare il settore dell’agricoltura, ripensarla in chiave sostenibile, essendo una delle principali fonti di inquinamento atmosferico. Non si tratta quindi solo di aumentare la quantità di cibo, ma produrre qualitativamente cibo più sano, nutriente e sostenibile.

Una valida alternativa è l’agricoltura fuori suolo, che si distingue dai metodi tradizionali proprio per l’assenza del terreno agrario. Tale tecnica prevede l’utilizzo di un substrato di ancoraggio alternativo che può essere sia di tipo minerale che organico. Del primo gruppo rientrano la lana di roccia, argilla e la perlite che, differentemente da quello organico, non sviluppano attività microbica. Per questo motivo richiedono un controllo e una gestione continua dato che i cambiamenti delle condizioni chimiche sono molto repentini. Altri tipi di minerali sono pomice, vermiculite e tufo ma che hanno la capacità di assorbire e rilasciare i nutrienti.

Mentre i substrati organici, come fibra di cocco e lolla di riso, sono coinvolti nei processi di nutrizione, grazie all’alta ritenzione idrica e l’elevato effetto tampone. I cambiamenti delle condizioni chimiche non sono repentini come per i materiali minerali e, perciò, non richiedono un controllo e una gestione della fertilizzazione e irrigazione continua.

A seconda del substrato usato il rifornimento idrico e minerale può cambiare. Si possono distinguere sistemi a ciclo aperto e sistemi a ciclo chiuso. I primi sono più utilizzati in quanto la soluzione nutritiva non viene recuperata dopo la somministrazione alla coltura. Tuttavia, negli ultimi anni, questi sistema è stato messo in discussione dato comportano un elevat spreco di acqua e nutrienti. Al contrario, il sistema a ciclo chiuso la soluzione nutritiva viene recuperata e riutilizzata, così da avere una maggiore efficienza d’uso di acqua e fertilizzanti. Questo si traduce in un minor consumo e, quindi, di un minore impatto sull’ambiente, d’altra parte comporta maggiori costi in quanto richiede molta attenzione non solo nel controllo nutrizionale, ma soprattutto per i rischi di diffusione di patologie.

I vantaggi della coltivazione fuori suolo sono innumerevoli: una resa più elevata al metro quadro, una migliore qualità e una riduzione sostanziale del consumo di acqua e energia. Tuttavia, questo tipo di coltivazione richiede un alto investimento iniziale e una grande competenza da parte dell’agricoltore. Una soluzione non solo utile per l’ambiente, ma dà la possibilità di coltivare laddove il terreno non è adatto alla coltivazione (contaminati o con caratteristiche fisico e chimiche scadenti).

Un metodo di coltivazione che la Cooperativa Sant’Orsola di Sant’Orsola Terme, in provincia di Trento, utilizza già da prima degli anni 2000. La Cooperativa è specializzata nella produzioni di piccoli frutti: more, lamponi, mirtilli, ciliegie, fragole e altri ancora.

Al posto del terreno utilizzano vasi o vaschetta contenenti un substrato organico, in torba o fibra di cocco. In questo modo, la pianta cresce senza sottostare a eventuali ostacoli legati alla variabilità del terreno, si riesce a ridurre l’utilizzo di acqua e, inoltre, ad avere frutta fresca tutto l’anno senza dover rispettare la stagionalità. Un vantaggio anche per gli agricoltori, dato che questo tipo di coltivazione facilita il processo di raccolta e ne riduce i tempi di lavoro.

La Cooperativa di Trento non è la sola ad utilizzare questa tecnica. Anche la Gandini Antonio Società Agricola (aderente OP Valleverde), nel mantovano. Ispirato da un viaggio in Olanda nei primi anni ’90, il fondatore ha adottato la coltivazione fuori suolo anche in Italia, allora poco diffusa. Protagonista dell’Azienda è il pomodoro, in tutte le salse: Costoluto, Datterino, Cuore di Bue, Mini-Plum e Ciliegino.

Un ulteriore vantaggio per questa Cooperativa è la possibilità di produrre pomodori che possono essere consumati anche da persone allergiche o intolleranti al nichel, dato che il substrato utilizzato né è privo.

Questa è la prova che qualità e sostenibilità possono andare di pari passo. Indirizzare le scelte alimentari verso soluzioni più sostenibili è necessario, soprattutto per le future generazioni.

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