X

Caro bollette, la ricetta dello Utility Manager esperto di mercati energetici

Imagoeconomica

È sotto gli occhi di tutti: le minacce di chiusura da parte del Cremlino delle forniture di gas non hanno fatto andare alle stelle solo le bollette relative a questa materia prima, ma hanno fatto schizzare anche quelle dell’elettricità. Gli italiani hanno già cominciato a risentire degli effetti del caro bollette, che non va a influire solo sulle fatture mensili, ma su ogni aspetto della vita: per esempio, i prezzi al bar sono già aumentati, un immediato tentativo dei commercianti di andare a recuperare un piccolo margine sulle abitudini irrinunciabili, come può essere un caffè a colazione.

Ma perché se il prezzo del gas aumenta, lo fa anche quello dell’energia elettrica?

“I regolatori hanno deciso di legare l’andamento del prezzo dell’elettricità, compresa quella prodotta da fonti rinnovabili, a quello del gas – spiega Alessandro Pallotta, socio Assium e consulente esperto degli andamenti del mercato dell’Utility Management – Questo aveva il vantaggio di incentivare gli impianti green, garantendo margini di guadagno maggiore e compensando gli investimenti iniziali
per realizzare quelli eolici o solari”.

Il sistema ha retto fino a che il prezzo del gas non si è impennato, e quello dell’elettricità non ha potuto che adeguarsi. “In Italia circa la metà dell’elettricità è prodotta da centrali a gas che garantiscono quella continuità che al momento le rinnovabili non hanno. L’incongruenza però deriva dal fatto che se il prezzo del gas vola, questo aumento si ripercuote anche sul prezzo dell’elettricità prodotta anche da fonti rinnovabili, la quale dovrebbe essere più conveniente per antonomasia”, prosegue Pallotta.

Ecco che entra in gioco il concetto di disaccoppiamento: consentire a ogni fornitore di fissare un prezzo in base ai costi di produzione. Fino a pochi anni fa, le dinamiche di mercato e il prezzo che si determinava nello scambio reale tra domanda/offerta delle commodities erano la base su cui si formavano le aspettative sui prodotti derivati (i futures) che alimentano l’attività speculativa.

“Ecco, oggi avviene l’opposto: sono le aspettative sulla dinamica futura dei prezzi rappresentate dal valore dei futures sul gas o su altre merci a determinare il prezzo dello scambio di mercato”.

Così avviene nel principale mercato per gli scambi all’ingrosso di gas, denominato Title Transfer Facility (TTF). La logica è dunque puramente speculativa. Il prezzo che si determina non è influenzato dall’effettiva domanda e offerta di gas, ma dalle aspettative future. A differenza di ciò che accadde con il petrolio nel 2008 – la cui presunta scarsità venne innescata dalla notizia che i giacimenti di Baku erano sul punto di terminare – oggi la supposta insufficienza del gas si fonda sulla forte instabilità geopolitica internazionale e sulle tensioni internazionali tra Usa, Cina e Russia.

Il rapporto Eni “Natural Gas – Supply and Demand”

E a dirla tutta, il gas non è affatto al momento una risorsa naturale scarsa. Secondo il rapporto EniNatural Gas – Supply and Demand” all’interno della World Energy Review, pubblicata il 26 luglio 2022, le attuali riserve sono sufficienti a colmare il fabbisogno crescente per oltre 59 anni. Perché avviene la speculazione allora? E a chi conviene? “L’attività speculativa conviene a molti. In primo luogo, ai grandi fondi speculativi che creando la bolla rialzista possono ottenere elevate plusvalenze, per poi ritirarsi al momento opportuno, ma conviene soprattutto alle grandi imprese energetiche. Chi può usufruire di contratti standard di lungo periodo con i produttori di gas (come la Gazprom) gode di condizioni estremamente vantaggiose con un prezzo bloccato a livello molto inferiore all’attuale prezzo di vendita. Chi non ha questo privilegio, può sempre acquistare il gas sul mercato americano a un prezzo decisamente più conveniente”.

Non stupisce che solo nel primo trimestre del 2022, secondo i dati di Arera (Autorità di Regolazione per Energia, Rete, Ambiente), le bollette della luce siano cresciute del +131% rispetto allo stesso periodo del 2021, +94% il gas. Gli extra-profitti incamerati dalle società dell’energia grazie alla differenza tra i costi di produzione e il Pun (acronimo di Prezzo Unico Nazionale, ovvero il prezzo di riferimento all’ingrosso dell’energia elettrica che viene acquistata sul mercato della Borsa Elettrica Italiana – IPEX – Italian Power Exchange) valgono, secondo le stime Assoutenti, la bellezza di 27,9 miliardi di euro solo nel primo trimestre del 2022. Il ministero dell’Economia aumenta la cifra a 40 miliardi. Il guadagno è evidente.

Pensare di limitare l’attività speculativa con un decreto non è possibile. Ma alcuni interventi potrebbero essere utilmente introdotti, come per esempio appunto il disaccoppiamento del mercato del gas da quello dell’energia elettrica e delle fonti rinnovabili. In attesa che lo Stato faccia qualcosa di concreto per contrastare il rialzo folle delle bollette, una cosa che possiamo fare nell’immediato per tutelarci è affidarsi a un Utility Manager certificato secondo norma UNI 11782 del 2020, garanzia di competenza e preparazione su questi argomenti.

Related Post
Categories: Economia e Imprese