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Brexit: la sterlina debole spinge l’export (+6,8%), ma non durerà

FIRSTonline

Nonostante l’approssimarsi del 29 marzo 2019, data in cui il Regno Unito uscirà ufficialmente dall’UE, i negoziati sul futuro dei rapporti tra Europa e Regno Unito sono in una fase di stallo. E anche se i futuri rapporti commerciali restano tuttora da definire, Atradius ha pubblicato quelli che sono gli effetti correnti della Brexit sui flussi commerciali tra il Regno Unito e il resto della UE: la debolezza della Sterlina e il rallentamento della crescita del PIL pesano sulla domanda, mentre l’aumento della competitività legato alla Sterlina debole (grazie alla mancanza di progressi nei negoziati) ha favorito la crescita dell’export britannico verso la UE, portatosi al livello più alto dal 2012.

Tuttavia, con il progressivo attenuarsi degli effetti del tasso di cambio, gli analisti non si aspettano che questo andamento possa continuare. In questo scenario Irlanda, Paesi Bassi e Belgio risultano essere le economie maggiormente esposte in termini di dipendenza dall’export nel Regno Unito, mentre la Germania, seguita dalla Francia, sono i maggiori esportatori in termini di volume. Guardando ai diversi settori, l’industria dei mezzi di trasporto è la più vulnerabile a livello europeo dal momento che le esportazioni nel Regno Unito rappresentano l’11,3% del valore aggiunto del settore.

I prodotti alimentari sono il secondo settore maggiormente esposto, seguiti dai tessili. Senza dimenticare che più del 10% del valore aggiunto del settore dei trasporti in oltre la metà dei 27 mercati UE dipende dalle esportazioni nel Regno Unito. A sua volta l’export irlandese verso il Regno Unito rappresenta il 44,2% del valore aggiunto del settore manifatturiero e il 40,3% del valore aggiunto del settore alimentare.

I rapporti commerciali tra il Regno Unito e gli altri 27 Paesi UE hanno un’importanza significativa: le esportazioni britanniche di beni verso l’UE rappresentano il 48% del totale, mentre il 16% dell’export dall’UE, escludendo il commercio intracomunitario, è destinato al Regno Unito. Alla luce di questi volumi significativi, eventuali barriere al commercio, sia sotto forma di dazi sia di attese più lunghe alle frontiere, avranno presumibilmente un impatto negativo sugli scambi commerciali.

La reale portata di questi effetti sarà più chiara nel momento in cui il Regno Unito uscirà ufficialmente dal mercato comune nel marzo 2019 (con la possibilità di un periodo di transizione al dicembre 2020). Il Regno Unito continuerà ad essere un membro a pieno titolo dell’UE fino alla data della sua uscita e non vi sono ancora dazi al commercio con l’Europa; pertanto, al di là della persistente incertezza, nulla è ancora cambiato. I reali impatti sul commercio inizieranno probabilmente ad essere evidenti nel medio/lungo termine in conseguenza dell’effettivo cambiamento dei rapporti e della necessità di adeguare le catene di fornitura. Tuttavia, è già possibile osservare alcuni segnali in termini di flussi commerciali bilaterali, in linea con gli sviluppi dei tassi di cambio.

I dati del Fondo Monetario Internazionale in termini di esportazioni lorde mostrano una solida ripresa dell’export del Regno Unito verso l’UE-27 a partire dai primi mesi del 2017 (+6,8%) al tasso di crescita più elevato da febbraio 2012. Allo stesso tempo, le esportazioni dell’UE verso il Regno Unito si sono assottigliate a partire dagli ultimi mesi del 2016. Un andamento che rappresenta un’inversione di rotta rispetto a quanto osservato nel periodo successivo alla crisi globale: tra il 2011 e il 2015 le esportazioni dall’UE verso il Regno Unito erano cresciute (+6,4%) più rapidamente rispetto a quelle dal Regno Unito verso la UE (+1,2%).

Questi sviluppi in termini di scambi commerciali sono in linea con l’andamento dei tassi di cambio. A partire dalla metà del 2015, la valuta britannica ha iniziato a deprezzarsi nei confronti dell’Euro e ad oggi ha perso il 14% rispetto a giugno 2016, ossia prima del referendum sulla Brexit. Nel corso del 2017 questo ha fatto sì che i prodotti britannici siano diventati più competitivi sui mercati europei, mentre i prodotti dell’UE sono diventati relativamente più cari per i britannici e hanno perso competitività sul mercato del Regno Unito.

Questo quadro è confermato dall’andamento della crescita del PIL: la Sterlina più debole ha ridotto il potere d’acquisto dei consumatori britannici, determinando una contrazione della domanda di beni e servizi provenienti dall’estero. Allo stesso tempo, la domanda dell’UE si è rafforzata sulla scia della diffusa ripresa economica.

Se diamo uno sguardo all’export dei singoli Paesi UE, alla fine del 2015 la crescita delle esportazioni verso il Regno Unito ha iniziato a mostrare un andamento al ribasso. Nel caso di Germania, Spagna e Belgio, la contrazione riguarda principalmente i settori chimico e automobilistico, i principali settori di esportazione verso il Regno Unito. Mentre per la maggior parte dei mercati europei, la crescita dei settori agroalimentare e dei metalli si è mantenuta solida nel mercato britannico.

In questo contesto l’Irlanda rappresenta un’evidente eccezione: nel 2017 le esportazioni verso il Regno Unito sono cresciute dell’8% nonostante la debolezza della Sterlina e la solida domanda da parte dell’UE, mentre i flussi commerciali irlandesi verso gli altri Stati membri è aumentato soltanto dell’1,4%. La crescita è stata sostenuta soprattutto dal settore chimico, la cui catena di fornitura tra Regno Unito e Irlanda è strettamente integrata e, in quanto tale, questo settore non è considerato tra quelli maggiormente vulnerabili in termini di valore aggiunto per l’economia. Tuttavia, il settore chimico rappresenta la quota maggiore di esportazioni lorde dall’Irlanda verso il Regno Unito e la crescita del 26,5% registrata nel 2017 ha una forte influenza sul dato riferito all’export totale. Il solido andamento di questo settore dovrebbe proseguire grazie a continui investimenti e innovazioni.

Risulta quindi evidente come la debolezza della Sterlina e la sua influenza negativa, in termini di riduzione del potere d’acquisto dei consumatori, sulla crescita del PIL ha determinato un rallentamento della crescita dell’export in quasi tutti gli altri mercati UE. Allo stesso tempo, l’aumento della competitività dell’export britannico ha rappresentato l’elemento caratterizzante del 2017: tuttavia, non è chiaro per quanto tempo ancora le questioni legate ai tassi di cambio continueranno ad incidere in modo significativo.

Atradius prevede che le opportunità di export verso il Regno Unito si manterranno stabili nel corso del biennio 2018-19, pur se in lieve miglioramento rispetto all’anno scorso grazie principalmente dell’attenuarsi del deprezzamento della Sterlina. In questo periodo la valuta britannica dovrebbe mantenersi sostanzialmente stabile, favorendo un rallentamento dell’export del Regno Unito verso la UE. Tuttavia, gli effetti dell’inflazione importata si attenueranno, contribuendo a migliorare le prospettive dell’export dei restanti Stati membri, anche se la crescita relativamente debole del PIL potrebbe limitare le opportunità di mercato.

Nel medio termine, l’andamento dei flussi commerciali con il Regno Unito dipenderà in larga misura dalla definizione dei futuri rapporti con la UE. Gli analisti prevedono che alla data ufficiale di uscita sarà disponibile soltanto una bozza di accordo formale, mentre si lavorerà su accordi più dettagliati nel corso del periodo di transizione, sempre partendo dal presupposto che questo periodo sia confermato.

Ecco allora che i rischi per i prossimi anni sembrano orientati al ribasso. Al momento, i movimenti dei tassi di cambio e del PIL si riflettono sui flussi commerciali tra UE e Regno Unito: la Sterlina ha subito forti oscillazioni all’indomani del referendum e resta esposta ai flussi di notizie sul versante della Brexit. Pertanto, uno stallo o persino una rottura dei negoziati potrebbero avere effetti negativi sulla Sterlina, facendo aumentare le sfide per gli esportatori UE-27.

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Categories: Economia e Imprese