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Brexit il 22 maggio (o aprile?): ecco le condizioni poste dall’Ue

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12 aprile e 22 maggio. Queste le due date nelle quali si deciderà il destino del Regno Unito. Dopo una lunga ed estenuante riunione, il Consiglio Europeo ha trovato un compromesso tra gli Stati Membri che dà a Londra qualche settimana in più per cercare di uscire dal caos in atto sulla Brexit.

L’accordo prevede che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sia rinviata dal 29 marzo al 22 maggio. C’è però una condizione: Westminster dovrà approvare entro la settimana prossima l’accordo di uscita già sonoramente bocciato due volte. Nel caso in cui il Parlamento britannico non riuscisse a far passare l’intesa, Theresa May avrà tempo fino al 12 aprile per comunicare cosa intenderà fare. Due le opzioni: proroga lunga, con conseguente partecipazione alle elezioni europee e forse anche un secondo referendum sull’uscita, o No deal.

“Il governo britannico ha ancora la possibilità di uscire con un accordo, o di farlo senza accordo, oppure di richiedere una proroga lunga o di cancellare l’uscita”, ha fatto sapere il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk alla fine della riunione.

Questo il massimo che i leader europei sono riusciti a concedere al Governo. Trovare la quadra non è stato semplice e, secondo le ricostruzioni, Theresa May non ha avuto vita facile. La Premier Uk si è presentata in Consiglio con l’intenzione di chiedere una proroga al 30 giugno, nonostante fosse già chiaro da giorni che l’Ue non sarebbe stata disposta a concedergliela.

Durare la riunione i leader hanno discusso le varie opzioni sul tavolo. I più “arrabbiati” erano il presidente francese Emmanuel Macron, il lussemburghese Xavier Bettel e il belga Charles Michel.

Dopo ore di trattative a vincere è stata però la linea di compromesso portata avanti dal presidente del Consigli Ue, Donald Tusk e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel.

Le nuove scadenze, tra l’altro, non sono convenienti solo per il Regno Unito, ma anche per i Paesi Ue. Se è infatti vero che Londra avrà qualche settimana in più per riuscire a sbloccare l’impasse, è altrettanto vero che gli Stati membri avranno più tempo per prepararsi a un eventuale no deal, approvando le contromisure necessarie per ridurre il più possibile le ripercussioni sulle singole economie. Facendo il solo esempio dell’Italia: un eventuale No deal costerebbe attualmente al nostro Paese circa quattro miliardi l’anno.

Sì, lasceremo l’Ue e spetta al Parlamento essere all’altezza di questo impegno preso con il popolo britannico”, ha dichiarato May.

“È giunto il momento delle decisioni”, ha sottolineando, aggiungendo che la cosa giusta è uscire dall’Ue “con un accordo” ma “non revocare l’articolo 50”. La scelta dell’Ue, ha detto ancora la premier inglese, sottolinea “l’importanza che il Parlamento approvi l’accordo sulla Brexit la settimana prossima in modo da poter mettere fine all’incertezza”.

May dovrà superare però un altro scoglio: lo scorso 18 marzo, il presidente della Camera dei Comuni, John Bercow, ha vietato il terzo voto sull’accordo stipulato con l’Unione Europea. Nel corso del suo discorso Bercow ha spiegato che Downing Street non potrà riproporre per l’ennesima volta lo stesso accordo – nonostante le piccole variazioni introdotte– a causa delle norme contenute in un regolamento parlamentare del 1844 e addirittura di un precedente risalente al 1604. Per riportare il testo in Parlamento, la Premier dovrà dunque trovare una scappatoia che le consenta di arginare il veto.

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