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Brasile, l’ex ministro Serra: “Solo la pandemia impedisce di cacciare Bolsonaro”

Agência Senado

Nonostante in Brasile il coronavirus galoppi (superati i 50.000 morti e il milione di contagiati) e il presidente Jair Bolsonaro minacci di prendere i pieni poteri, è la stessa pandemia ad impedire di allontanare il presidente: “Sembrano esserci i motivi per portare avanti un procedimento di impeachment, ma in questo momento di pandemia, che è un fattore in più di preoccupazione per il comportamento del presidente, non vi è un ambiente politico propizio”, sostiene José Serra, senatore del partito socialdemocratico brasiliano, intervistato da FIRSTonline per commentare la situazione politica ed economica del Paese più grande del Sudamerica.

Figlio di immigrati calabresi, Serra, 78 anni, è un politico di lungo corso e ha un peso specifico importante sulla scena brasiliana. Sconfitto per due volte al ballottaggio delle elezioni presidenziali dalla sinistra, nel 2002 da Lula e nel 2010 da Dilma Rousseff, oggi tende la mano agli ex avversari e a tutte le forze democratiche per far fronte comune contro l’escalation autoritaria del governo: “Dobbiamo unirci, questa unità è lo strumento che abbiamo a disposizione e che può portarci ad un buon porto”.

Già sindaco della città di San Paolo e governatore dello Stato di San Paolo, con i suoi 40 milioni di abitanti, è ritenuto da molti il miglior ministro della Salute (1998-2002) degli ultimi decenni. E’ anche un rispettato economista, con PhD conseguito all’università di Cornell, a New York. Da ministro degli Esteri del governo Temer (2016-2017) incontrò l’allora premier Matteo Renzi, di cui tesse le lodi: “Rappresenta un filone della politica italiana impegnato nei valori democratici e di promozione della giustizia sociale”.

Senatore, come valuta la gestione della pandemia da parte di Bolsonaro? L’immagine del Brasile ne esce lacerata?

“Purtroppo, invece di guardare agli esempi positivi, il Brasile sembra aver optato per produrre conflitti interni con la sostituzione di due ministri della Salute in piena pandemia. Cambi che hanno contribuito all’adozione di misure claudicanti e scoordinate con cambiamenti constanti di orientazioni per la popolazione e per gli enti locali. Questo quadro provoca, senza dubbio, un logoramento dell’immagine del Paese all’estero e un aggravamento nel modo in cui si affronta la malattia”.

Il governo di Fernando Henrique Cardoso (1995-2003) di cui Lei fece parte portò avanti le grandi privatizzazioni. Poi arrivò l’interventismo statale di Lula e ora l’agenda neoliberista di Bolsonaro e del suo ministro dell’economia Paulo Guedes. Cosa serve al Brasile per riprendere la crescita economica e per combattere le disuguaglianze?

“Abbiamo avuto progressi in ciascuno di questi momenti, ma anche intoppi. Indipendente dall’ideologia e dal programma di ogni governo la nostra agenda oggi è la pandemia che sfida le ideologie e i dogmi per affrontare la malattia e in seguito la ripresa. Quello che abbiamo imparato dai governi precedenti è che servirà enorme coordinamento tra gli attori politici ed economici. Solo così potremo superare l’elevatissimo tasso di disoccupazione e sottoccupazione e la conseguente sfiducia degli attori privati per intraprendere nuovi investimenti. Dobbiamo ricordarci che avremo un debito pubblico elevato a scadenze più corte che richiederà un recupero dell’attività e del gettito fiscale per riprendere una traiettoria sostenibile”.

Mentre monta l’escalation autoritaria di Bolsonaro con attacchi sempre più duri agli altri poteri si fa largo l’ipotesi di impeachment. Ci sono le condizioni?

“Reati e deviazioni della condotta del presidente sembrano essere molti nel momento in cui lui e i suoi alleati attaccano le istituzioni e danno prova di poco attaccamento alla democrazia. In teoria sembrano esserci gli elementi per portare avanti un procedimento di impeachment, ma in questo momento di pandemia, che è un fattore in più di preoccupazione per il comportamento del presidente, non vi è un ambiente politico propizio. Da marzo lavoriamo da casa, non è possibile riunirci fisicamente e seguire le procedure richieste e stabilite dalla Costituzione. Non riesco ad immaginare un processo di impeachment con sedute da remoto”.

Lei è stato uno dei principali avversari di Lula e del Partito dei Lavoratori, ma oggi da molte parti, anche dal suo partito (socialdemocratico), arriva la richiesta di fare fronte comune con la sinistra contro Bolsonaro. Che cammino seguire?

“Oltre alle parole volgari che ascoltiamo a destra e a manca dal Presidente quando si riferisce ai componenti degli altri poteri, osserviamo minacce agli altri poteri, minacce di morte ad alcuni suoi membri e l’insistente richiesta di ristabilire il regime militare, periodo in cui molti brasiliani persero la vita e tanti altri come me dovettero abbandonare il Paese in fretta e furia per non venire uccisi o torturati. Per questo dobbiamo unirci. Se avessimo immaginato che il governo Bolsonaro prendesse questa strada, molto probabilmente questa unione ci sarebbe stata alle elezioni del 2018. Non immaginavamo che una famiglia e i suoi amici potessero prendere d’assalto e minacciare lo stato democratico. Se la democrazia e le istituzioni sono in pericolo l’unica soluzione è unirci come accadde durante la campagna Diretas Já (movimento popolare che nel 1983-1984 lottò per la fine della dittatura). Purtroppo non siamo davanti ad un avversario politico, ma ad un progetto di potere che può portare ad un serio e grave arretramento istituzionale”.

In questa fase storica prevalgono le relazioni bilaterali e si indeboliscono le grandi unioni. Trump non crede più alla Nato, la Ue è divisa e il processo di integrazione del Mercosur è fermo. Da ex ministro degli Esteri, come valuta questi cambiamenti internazionali?

“Preoccupanti. Stiamo entrando in conflitto con una regione, l’Unione europea, che è il secondo partner commerciale del Mercosur. Stiamo ignorando l’importanza di un blocco che è il principale investitore estero nel Mercosur e il Brasile la quarta destinazione di questi investimenti. Se non ci sarà un cambio di rotta nella nostra politica estera, che alcuni già considerano “non politica estera”, i danni economici causati dall’isolamento saranno enormi”.

Il governo Bolsonaro ha attuato un riposizionamento geopolitico significativo. La Cina, principale partner commerciale del Brasile, è oggetto costante di attacchi del governo. E mentre ci si avvicina a Usa e Israele, ci si allontana dall’Africa e dai vicini latinoamericani. Di Brics non si parla più. Questi cambiamenti sono positivi?

“Assolutamente no. Un comportamento che rompe con partner commerciali importanti come la Cina, che si allontana da paesi con i quali abbiamo relazioni commerciali come nel caso dell’Africa, da dove vengono molti dei nostri ancestrali, e che ignora i suoi vicini latinoamericani, è completamente dannoso per l’economia e per le relazioni diplomatiche. Ho l’impressione che la politica estera brasiliana sia rivolta più a difendere gli interessi degli Usa, con la sottomissione e l’idolatria al presidente Trump, che a quelli del Brasile. È un riposizionamento che ci indebolisce e isola dal resto del mondo”.

Serra, il primo da sinistra, in un vertice con il Governo italiano

L’Italia è un partner commerciale e industriale storico per il Brasile e l’Europa un riferimento culturale e politico. Bolsonaro rappresenta una minaccia per queste relazioni, o esse vanno al di là della congiuntura attuale?

“La relazione Brasile-Italia è solida e nonostante la politica estera di Bolsonaro va oltre la congiuntura attuale. L’Italia è il secondo partner commerciale del Brasile in Europa e un investitore importante in Brasile. Aziende come la Pirelli sono presenti in Brasile da cent’anni. Superato il problema “Battisti” sono tornate le condizioni per un avvicinamento ampio in campo politico e diplomatico. Manteniamo da sempre relazioni di amicizia e cooperazione bilaterale”.

Nel 2016, da ministro degli esteri, incontrò il governo italiano guidato da Matteo Renzi. Come furono le relazioni con quell’esecutivo e che opinione si è fatto sull’attuale governo italiano?

“Renzi visitò il Brasile durante le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Andò a San Paolo e Salvador de Bahia. Rappresenta la parte della politica italiana impegnata nei valori democratici e di promozione della giustizia sociale. In questo senso è un valido oppositore di Salvini, che invece ha un atteggiamento anti immigrazione. Seguo il modo come Conte ha affrontato la pandemia che ha colpito l’Italia in maniera drammatica e il suo lavoro come leader della coalizione che riunisce i partiti di sinistra, centro e M5S. Questa coalizione sorprende positivamente perché si è rivelata più stabile di quello che potevamo immaginare. È un governo che sta lottando per fare bene, per dare risposte al popolo italiano”.

In Europa preoccupa molto anche la situazione dell’Amazzonia, a causa dei devastanti incendi e delle parole del ministro dell’Ambiente Ricardo Salles che sostiene una deregolamentazione mentre l’attenzione è rivolta al Covid. La preoccupa la gestione ambientale del governo? E cosa si può fare per l’Amazzonia?

“Certo che sono preoccupato. La pandemia è un preannuncio di quello che accadrà nel mondo quando i cambiamenti climatici si intensificheranno. I principali piani di ripresa del lavoro e del reddito dopo la crisi avverranno attraverso l’economia verde. Europa e Usa stanno già facendo piani come ad esempio il cosiddetto Green New Deal. Le sfide climatiche avranno certamente un impatto e porteranno a restrizioni contro la necessaria espansione dell’agroalimentare brasiliano. Il Brasile deve mantenersi integrato e parte rilevante nella ricerca di soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale. Altrimenti rischiamo di soffrire sanzioni economiche e di isolarci ancora di più sullo scenario internazionale”.

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