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Borsa, l’Italia si scopre tra le prime della classe ma c’è l’incognita petrolio

FIRSTonline

SORPRESA: L’ITALIA SI SCOPRE SECONDA DELLA CLASSE

MA PESA L’INCOGNITA PETROLIO. BENETTON SE NE VA

I mercati riaprono i battenti con una grande novità: l’Italia seconda della classe subito dopo la Germania. A sostegno dell’affermazione valgono i numeri. Quello più scontato riguarda le quotazioni di Borsa: l’indice milanese FtseMib la settimana ha registrato un rialzo del 2,5%, che porta il guadagno dall’inizio dell’anno al 12,1%. Da gennaio il rally delle banche ha superato addirittura il 50%. Il distacco tra la piazza italiana ed il resto d’Europa si va così allargando. Nella settimana le altre Borse europee hanno guadagnato, ma molto meno: l’indice complessivo europeo Stoxx 600 è salito dello 0,9% e il rialzo dall’inizio dell’anno è del 9,3%.

All’origine di questo exploit c’è, ovviamente, il rally dei titoli di Stato: il rendimento del Btp decennale è ulteriormente migliorato, scendendo al 4,87% dal 4,92% della sera precedente e ha così raggiunto il Bono spagnolo (4,86%). Lo spread con il Bund è a 308 punti, dai 305 di ieri sera. Movimento analogo per il Btp a due anni: il rendimento è sceso all’1,66%, il Bono spagnolo rende il 2,14%.

Il boom trova una spiegazione convincente a livello europeo: venerdì mattina a Bruxelles 25 capi di Stato e di governo della Ue hanno firmato il nuovo patto di disciplina fiscale fortemente voluto dalla Germania come precondizione indispensabile per continuare a fornire aiuti ai Paesi in difficoltà finanziaria. Ma la storica firma è stata accompagnata da due brutte notizie per i custodi tedeschi dell’ortodossia di bilancio: la fedele Olanda, braccio armato dell’intransigenza della Bundesbank, denuncia un rapporto deficit/ pil del 4,5%, ovvero distante dal 50% dall’asticella del 3%, precondizione per poter mirare al pareggio di bilancio. Peggio ancora, la Spagna di Mariano Rajoy si è presentata senza aver fatto i compiti: Madrid ha annunciato che nel 2012 il rapporto salirà al 5,8% dal precedente obiettivo del 4,4%. A questo punto, l’unico studente diligente, nella forma e nei risultati, è la reproba Italia che chiude a -3,9%, meglio del previsto.

Purtroppo, in questa atmosfera quasi serena, novità rivoluzionaria per il listino di casa nostra, oggi si festeggia un quasi certo addio: prende il via l’operazione delisting di Benetton group. Da oggi al 30 marzo Edizione holding offrirà 4,6 euro (con dividendo compreso) agli azionisti del gruppo. L’operazione, che segna un obiettivo impoverimento del listino, riguarda il 25,15% del capitale.

Si riparte dopo una domenica elettorale in aree lontane che però potrebbe avere qualche rilievo anche sui listini occidentali. Italia compresa. Il successo dei falchi di Teheran, capitanati da Ali Khamenei, in realtà era ampiamente scontato. Anzi, sarebbe una sorpresa se alla fine dello scrutinio il presidente uscente Ahmadinejad riuscisse a trascinare il rivale al ballottaggio. La svolta conservatrice in Iran, comunque, non promette nulla di buono per le quotazioni del greggio, già in forte tensione la scorsa settimana. In realtà, a sostenere il prezzo del Brent (arrivato in settimana alla quotazione record di 128,40 dollari al barile) è stata la notizia poi smentita di danni agli oleodotti sauditi che avrebbero costretto l’Aramco a ridurre le consegne di greggio. Ma anche questa è un conferma della fragilità del mercato del greggio all’avvio della primavera. Almeno per quanto riguarda l’Europa.

Anche la seconda notizia “elettorale” tocca, in qualche maniera, lo scacchiere energetico. In Russia, come da previsioni, Putin, l’unico amico di peso dell’ex premier Silvio Berlusconi, vince le presidenziali al primo turno e torna al Cremlino: con il 99% dei seggi scrutinati ha ottenuto oltre il 63,7% dei consensi, senza bisogno quindi di un ballottaggio. Una circostanza che potrebbe pesare nel futuro di South Stream, il gasdotto attraverso la Turchia tanto caro alla Gazprom (azienda quasi di famiglia per Putin) ma che non piace affatto a Washington e nemmeno alla Ue (che gli ha contrapposto l’ipotesi Nabucco). L’orientamento della diplomazia italiana è oggi assai più distaccato rispetto al gasdotto, in cui Eni potrebbe ridurre la sua partecipazione al 20%.

Molto dipenderà dalla soluzione che il governo sceglierà per la separazione tra Snam ed Eni, uno dei temi più caldi. Non è un mistero che l’Eni vorrebbe cedere la partecipazione sul mercato, incassando i 3-4 miliardi previsti, in tempi medi. Al contrario, il ministro Vittorio Grilli è ormai deciso a procedere per via di una scissione e conferimento della quota alla Cdp, che avrebbe più vantaggi: ridurre i tempi dell’operazione; garantire dopo lo spezzatino il controllo pubblico; evitare qualsiasi esborso di denaro. Questa soluzione è gradita anche ad Eric Knuhgt, gestore attivista di Knight Vinke, da anni impegnato in una personale campagna per la separazione, primo passo per un cane a sei zampe meno impegnato nelle attività regolate (e perciò meno legato alla politica), meno indebitato (con la separazione seguiranno Snam circa 11 miliardi di debiti) e più concentrato sulla missione della produzione di greggio. Non è una decisione facile, si spera che sia una decisione rapida.

Nel settore petrolifero, la settimana si è chiusa in maniera contrastata: è salita Tenaris +3,5%, Saipem invariata, Eni -0,5%. Stabile Enel +0,3% nonostante la promozione delle utility europee decretata da Goldman Sachs dopo l’asta della Bce, evento considerato favorevole per i debitori.

Intanto, c’è curiosità sulla reazione dei mercato al gigantesco accordo siglato da Bp con i rappresentanti di decine di migliaia di danneggiati dal disastro del Golfo del Messico. Bp, pur di fermare il giudizio che sarebbe dovuto cominciare oggi a New Orleans, ha accettato di pagare a mo’ di riparazione la cifra di 7,8 miliardi di dollari. Ma, a detta di molti osservatori, il giudice della Louisiana potrebbe non aderire a questa conciliazione “amichevole” giudicata troppo blanda.

Settimana di fuoco per i financials di casa nostra. Sul fronte Fonsai, l’evento della settimana è la scadenza dell’8 marzo, data ultima per il cda di Premafin per aderire all’offerta di Sator/Palladio. Il no sembra scontato, ma la cosa potrebbe innescare una serie di conflitti legali potenzialmente assai pericolosi per l’iter della fusione a quattro tra Unipol, Fonsai, Premafin e Milano Assicurazioni. Anche le banche creditrici di Premafin, del resto, hanno sollevato grossi dubbi sul piano di risanamento della holding così come è stato prospettato dall’advisor Leonardo & Co. Nella seduta di venerdì sono scese sia Unipol -1,3%, che FondiariaSai -3% e MilanoAssicurazioni -3,8%. Reagisce, dopo il tonfo di giovedì, la sola Premafin +0,2. Lo scontro i casa Fondiaria, oltre al recupero del valore dei Btp in portafoglio, sta regalando alle Generali + 3,1% una fioritura di primavera che non si vedeva da tempo. Goldman Sachs benedice intanto la primavera delle banche europee, a partire da quelle italiane. Il settore banche (al pari delle utility) passa a overweight da neutral,: merito dei forti benefici generati dalla iniezione di liquidità realizzata dalla Bce con le due maxi aste a rubinetto.

Piazza Affari ha senz’altro anticipato il giudizio. Nella classifica dei titoli più apprezzati della settimana il settore bancario domina. In testa è il Banco Popolare +12, seguito da Azimut +11,8%, Banca Popolare dell’Emilia-Romagna+ 8,4%, Mediolanum +7,9% e MontePaschi+7,8%. C’è da chiedersi se l’intonazione Toro reggerà nonostante le polemiche seguite al progetto di legge che azzera le commissioni sui fidi che ha provocato le dimissioni dall’Abi di Giuseppe Mussari. Il mercato, per la verità, non ha dubbi: la lobby bancaria saprà venire a capo della minaccia.

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