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Big Food: come le multinazionali dell’industria alimentare hanno trasformato il cibo in una commodity

Pixabay

È lo stesso Segretario del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, Robert Kennedy Jr., a denunciare – trovando molti consensi bipartisan in un momento che vede l’eclisse di questa pratica – i rischi dei cibi ultraprocessati e l’influenza negativa delle “Big Food“, le grandi multinazionali dell’industria alimentare (come Nestlé, PepsiCo, Unilever) che controllano la filiera globale del cibo.

Ospitando l’articolo di oggi di Enrico Roccato, attivista e studioso del sistema alimentare, FIRSTonline in collaborazione con goWare vuole proporre ai lettori un’analisi strutturale di come questo sistema, che il team di Kennedy cerca di correggere, si sia consolidato a livello globale: uno sforzo che richiede azioni coordinate tutt’altro che semplici, ma sicuramente necessarie.

E come ci dice Roccato, la via c’è. Bisogna ricercarla con determinazione perché Il cibo ha ancora un ruolo prioritario nella gestione della salute.

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La parola “cibo” deriva dal latino “cibus”, che significa “nutrimento” o “alimento” la cui probabile origine etimologica è indoeuropea, sempre collegata al concetto di nutrire.. 

Ognuno di noi ha esperienza personale di cosa sia il cibo, quali le abitudini o i vizi ad esso collegati, perché con il cibo siamo “costretti” a misurarci ogni giorno ed attorno al cibo si muovono la vita, l’economia e le conseguenze in termini di salute delle persone. 

Ma ovviamente il cibo si è evoluto e oggi, almeno nel mondo occidentale, esistono gli onnivori che si comportano sempre più condizionati dal sistema di marketing che controlla il sistema alimentare e definisce le abitudini. 

Cibo nel neocapitalismo 

Guardando la realtà attuale, dobbiamo considerare che il sistema economico neocapitalista — ovvero il capitalismo contemporaneo fortemente globalizzato, finanziarizzato e dominato da grandi corporation — ha trasformato la produzione, distribuzione e consumo del cibo, tanto da poter parlare di “cibo nel neocapitalismo”. 

In ragione di questo, il cibo ha progressivamente perso la sua connotazione storica per diventare con sempre maggiore evidenza una merce da vendere più che un valore da condividere nella relazione tra gli individui sociali.

Vari sono i fattori in causa:

  1. A partire dalla metà del novecento, il sistema di produzione agricola si è radicalmente modificato con l’introduzione di nuove tecniche con un peso sempre maggiore dei macchinari, l’uso intensivo dei fertilizzanti chimici e dei pesticidi. 
  2. Le coltivazioni sono sempre più indirizzate verso monocolture (soia, mais, grano, riso) con i conseguenti rischi sia di perdita della biodiversità sia di impoverimento dei suoli.
  3. La trasformazione della produzione ha fatto sì che il cibo sia una merce globale e sia quindi trattato come un “asset” finanziario, e come tale soggetto alla speculazione del mercato. Le grandi catene di distribuzione sono proprietarie anche di tutta la rete di produzione e sono strettamente collegate ai mercati finanziari. 
  4. Per poter funzionare questo sistema, necessita di prodotti alimentari rispondenti a precisi criteri alimentari caratterizzati da gusti perfettamente omogenei a livello globale, cibi ultraprocessati di carattere industriale, introduzione di sistemi di vendita meccanicamente riproducibili. Ne sono esempi canonici i fast food con tutte le loro catene globali ed il cibo lì distribuito (junk food) di bassa qualità ma soprattutto di basso costo.

Big Food

Il sistema si è così costruito basandosi sul ruolo predominante di alcune multinazionali del cibo il cui ruolo è centrale nel sistema neocapitalista. Queste aziende vengono definite “Big Food” e controllano buona parte della filiera attraverso varie modalità. 

  1. Le aziende multinazionali alimentari svolgono un’azione di controllo totale delle filiere, agendo direttamente in tutte le fasi: dalla produzione agricola alla trasformazione, dal confezionamento al marketing fino alla distribuzione. Un aspetto particolare è il controllo della filiera che parte anche dalla gestione diretta della produzione delle sementi (in particolare OGM).
  2. Oggi il mondo del cibo è diventato sempre più un oligopolio, dove un numero ristretto di aziende (es. Nestlé, PepsiCo, Cargill, Unilever, Kraft Heinz) domina il mercato globale. Con questo processo di accentramento la concorrenza tende a scomparire a tutto svantaggio dei piccoli produttori, soprattutto del sud globale
  3. La conseguenza principale è la creazione di un sistema basato sulla standardizzazione ed omologazione del cibo, ormai divenuto chiaramente solo una merce. Le multinazionali impongono conseguentemente standard globali delle diverse fasi della filiera con definizione quindi aprioristiche di aspetto dei prodotti e soprattutto del significato del gusto del cibo. Il cibo diventa un prodotto replicabile, funzionale alla logica del profitto e della velocità della produzione e del consumo.
  4. Le tecniche di marketing e il conseguente massiccio investimento in termini economici e culturali servono per ridefinire la domanda del consumatore, che influenzano le abitudini alimentari orientandole verso cibi ultraprocessati, accattivanti e “gradevoli” secondo i gusti standardizzati benché manifestamente dannose per la salute. 
  5. La forza economica e le capacità imprenditoriali delle “Big Food” fanno sì che sostengano le loro politiche con importanti azioni di lobbyng presso le diverse istituzioni deputate al controllo del sistema cibo. 
  6. Stiamo parlando di aziende pienamente inserite nel sistema capitalistico che conseguentemente agiscono nell’interesse dei propri proprietari, oggi sempre più collocati all’interno delle strutture dei fondi di investimento, prioritariamente interessati ai profitti da garantire ai propri clienti.

Ruolo della multinazionale Cargill

Vorrei qui approfondire questo tema, parlando di una delle multinazionali maggiormente coinvolte e cioè Cargill che è stata più volte al centro di critiche e denunce per danni ambientali. Cargill è una delle più grandi multinazionali del mondo nel settore agroalimentare. 

Fondata nel 1865 negli Stati Uniti, oggi opera in oltre 70 paesi. Le sue attività coprono tutta la filiera agroindustriale. Interviene nel commercio e la trasformazione delle materie prime agricole, comprando, lavorando e vendendo cereali, cacao, caffè e gestendo enormi volumi di commodity agricole. Produce mangimi sia per allevamenti intensivi che per animali domestici e con suoi rami specializzati interviene nella salute degli animali da allevamento

Sono esempi dell’azione di Cargill sul nostro pianeta, la deforestazione, soprattutto in Amazzonia allo scopo di aumentare la produzione di soia, alimento base per l’alimentazione degli allevamenti intensivi; l’inquinamento delle acque, dato che l’insieme delle attività produttive di Cargill determinano contaminazione delle acque sia con i pesticidi ed i fertilizzanti prodotti che con la grande quantità di liquami derivanti dagli allevamenti intensivi; la perdita della biodiversità, aspetto di importanza strategica per il nostro pianeta. 

Le politiche produttive di Cargill (e dei suoi pari) basate sulle monoculture con distruzione del tessuto naturale preesistente determinano la scomparsa di una enorme quantità di esemplari botanici ma anche la parallela scomparsa di tante parti della fauna e degli insetti dei territori trasformati.

Cibo e merce

Il concetto di cibo si è quindi evoluto modificando i rapporti tra cibo e merce. I due termini hanno significati distinti ma nella realtà tendono a sovrapporsi in rapporto ai contesti in cui si collocano. Il cibo indica ciò che si mangia, cioè si collega all’alimentazione. 

Quando parliamo di una mela o di un piatto spaghetti alla carbonara è evidente che stiamo parlando di consumi personali, di abitudini, di preferenze e di storie culturali. Se parliamo di merce usiamo un termine commerciale con valenza economica che si riferisce a qualsiasi bene che può essere commercializzato e che fa riferimento ad una vasta gamma di prodotti. 

Si tratta quindi di chiarire che il cibo ha una valenza specifica in relazione alla sua funzione cioè quella alimentare, di nutrimento della persona, mentre la merce rappresenta una parte di un processo commerciale cioè lo scambio o la vendita.

Globalizzazione

I principali effetti della globalizzazione nel campo del cibo si esprimono in varie forme: dalla maggiore varietà di alimenti disponibili attraverso l’ampiamento delle reti distributive accompagnate da un aumento produttivo in alcune aree, alla nuova disponibilità di prodotti che ha modificato spesso radicalmente le consuetudini e la culture locali, alla centralizzazione dei processi produttivi e distributivi e conseguente controllo sia dei semi che dei prodotti utili alla produzione che dei soggetti che controllano le reti di distribuzione. 

Pochi protagonisti hanno in mano tutta la filiera e sono protagonisti molto spesso opachi nella loro presenza e nel loro ruolo, all’aumento dello sfruttamento dei lavoratori in vaste aree del mondo con paghe molto più basse di quelle presenti nel mercato dei paesi già presenti e conseguenti gravi diseguaglianze che colpiscono ovviamente i più deboli della catena ed infine dall’aumento del consumo di prodotti ultraprocessati in paesi che avevano abitudini consolidate. 

Ne è conseguito l’aumento, spesso drammatico, della diffusione di patologie quali il diabete e le malattie cardiovascolari, oltre che l’incremento dell’obesità.

Cibo come commodity

Se dunque il cibo perde la sua caratteristica culturale principale per divenire una merce cioè una commodity, una materia prima standardizzata, il cibo viene gestito come un bene commerciale che risponde ai sistemi di governo dei beni, con le borse internazionali in cui si specula sul grano come sul caffè, completamente al di fuori delle esigenze dei produttori locali e del valore intrinseco del cibo stesso. 

È però cresciuta in molte aree del mondo ed anche in alcuni organismi internazionali,  l’impegno per riconoscere il cibo come diritto dei popoli e come bene comune da tutelare. Ciò che è essenziale per la vita e per la salute non può essere trattato solo secondo le logiche del profitto. 

È indubbio che il cibo ha un profondo valore culturale e storico ed ha un carattere identitario ben definito in ogni singola realtà. Trasformarlo in una merce lo espone a speculazione finanziaria e determina insicurezza alimentare nei paesi più fragili.

Cibo bene comune 

Il cibo è un bene comune essenziale per la vita, da gestire come bene collettivo considerandone anche le prospettive per le generazioni future. Per questo tutti dovrebbero avere accesso a cibo sano e disponibile. 

I produttori locali, le comunità locali ed i cittadini devono poter esprimere le proprie posizioni rispetto al cibo e a tutto quanto ruota attorno, data la stretta correlazione tra i diversi componenti della produzione del cibo. 

È ancor più forte l’esigenza di tutelare la biodiversità, oggetto di pesanti attacchi a livello globale, per la salvaguardia del nostro futuro.

È sempre più urgente ribadire quindi alcuni principi per rimettere al centro dell’attenzione sul tema del cibo le persone, la terra da tutelare, le relazioni tra le persone. Si tratta di un impegno molto coraggioso a fronte dello strapotere dei sistemi speculativi e delle logiche produttive che governano oggi il sistema alimentare ma è un impegno necessario per tutelare il futuro delle generazioni.

Possiamo e dobbiamo quindi sostenere il lavoro di tante organizzazioni impegnate nel mondo su questa battaglia. Sostenere le banche dei semi contadini per garantire l’autonomia dei produttori e la lotta a favore della biodiversità. Sostenere i mercati contadini locali e le filiere corte rafforzando le relazioni tra chi produce e chi consuma. 

Contribuire all’impegno di organismi come Slow Food, che opera a livello internazionale per una produzione agricola rispettosa del territorio, opponendosi alle logiche speculative e promuovendo modelli sostenibili a livello locale e fortemente partecipati, per un percorso di progressiva demercificazione del cibo. 

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Enrico Roccato è stato dirigente sanitario e si occupa di cibo e alimentazione sostenibile. È stato Presidente della condotta dell’Empolese-Valdelsa di Slow Food.

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