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Automazione del lavoro: opportunità da 12 trilioni entro il 2025

Pixabay

La pandemia ha mostrato come la tecnologia sia ora uno strumento imprescindibile per permettere all’economia di non avviarsi verso una recessione prolungata. Considerando che entro il 2025 l’impatto economico dell’automazione del lavoro basato su IT, robot e veicoli autonomi dovrebbe raggiungere tra i 6,5 e 12 trilioni di euro all’anno, il lavoro da fare per competere nel settore a livello mondiale è ancora tanto. Stimolare le imprese a vedere nelle tecnologie di AI il motore di innovazione rappresenta un asset essenziale per la ridefinizione dell’attuale assetto geopolitico mondiale nell’immediato futuro.

La ricerca scientifica nel campo dell’AI ha certamente subito una forte accelerazione negli ultimi anni grazie ai fondi UE attraverso il programma Horizon 2020, con cui ha allocato 1,5 miliardi di euro dal 2018 al 2020, e aspira a fare molto di più con i programmi Horizon Europe e Digital Europe, per un budget previsto di 1 miliardo all’anno. Il Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale pubblicato lo scorso febbraio dalla Commissione Europea sostiene un approccio normativo e orientato agli investimenti con il duplice obiettivo di promuovere l’adozione dell’IA e affrontarne i rischi associati.

In questo scenario, l’Italian Business Angels Network (Iban), l’associazione italiana che riunisce l’insieme degli investitori informali a livello nazionale, ha elaborato il periodico studio relativo all’andamento degli investimenti promossi dai cosiddetti Business Angels, rappresentati per lo più da imprenditori e liberi professionisti che decidono di investire e supportare nuovi progetti di Startup e PMI innovative.

Il comparto ha rilevato negli ultimi anni un’ottima crescita a livello nazionale e oggi i nuovi progetti innovativi si trovano in un periodo storico caratterizzato da incertezza economica e crisi della liquidità. Con riferimento al 2019, la ricerca elaborata dall’Iban analizza gli investimenti effettuati dai circa 5.000 Business Angels italiani, sia in forma singola che insieme a fondi di investimento, per un ammontare di 284,3 milioni di euro a favore di 395 nuovi progetti. Nello specifico, questa somma è stata stanziata per una quota pari a 52,7 milioni da soggetti singoli, 230 milioni da singoli insieme a fondi di venture capital e 1,3 milioni tramite crowdfunding.

Dal report emerge, inoltre, che la maggior parte degli investimenti avviene sotto forma di equity e solo in piccolissima parte in forma di finanziamento soci o come garanzia bancaria, mentre oltre il 60 % delle operazioni vengono coperte con misure di protezione della somma investita. Ulteriori dati emersi dal report riguardano l’importo medio investito, con un 37% delle operazioni che nel 2019 ha superato i 200.000 euro, mentre il 42% degli investimenti è rimasta sotto ai 100.000 euro, la fascia maggiormente incentivata grazie al Decreto Rilancio, portando dal 30 al 50% le detrazioni sui capitali sotto i 100.000 euro investiti in Startup da persone fisiche. Inoltre, viene fornito una sorte di identikit dell’investitore informale: un soggetto con un patrimonio mobiliare sotto ai 2 milioni, dei quali investe circa il 10% in Startup e PMI innovative. La percentuale di equity così ottenute solitamente non supera il 20% dell’intero capitale della Startup. Tra i settori più appetibili per i Business Angels: ICT, con il 35% degli investimenti, il terziario avanzato (12%), beni di consumo (11,4%), sanitario e apparecchi medici (8%).

Particolarmente significativo l’aumento degli investimenti effettuati al nord, che arrivano a ricoprire il 72% del totale rispetto al 63% registrato nel 2018, con la maggiore concentrazione in Lombardia (36%), Piemonte e Trentino Alto-Adige (11% per entrambi), seguito dal finanziamento verso startup in mercati esteri (4%). Infine, il report evidenzia gli elementi principali presi in considerazione per valutare l’investimento: il potenziale di crescita, il management e l’exit strategy prevista. Quest’ultimo aspetto in particolare rappresenta uno di quelli più critici, dal momento che è caratterizzato da tempistiche molto lunghe e dipende dalla vendita delle quote ad altri investitori.

Nel marzo 2018 l’Agenzia per l’Italia Digitale pubblicava il Libro Bianco del governo italiano sull’AI a servizio del cittadino, documento dove si analizzavano sfide ed effetti nei servizi pubblici con l’obiettivo di renderli più efficienti ed efficaci. Sempre nel 2018, la Commissione Europea invitava gli Stati membri a percorrere un lavoro strategico sull’IA a tutto tondo. Molti Paesi hanno anticipato quell’invito o hanno iniziato un percorso proiettato all’elaborazione di vere e proprie strategie nazionali su questo fronte avanzato.

Da quel momento i corsi su AI si sono moltiplicati, non solo nei Politecnici nazionali, ma in molti atenei che hanno cominciato a offrire corsi specialistici, contribuendo così a una parte vitale del processo di innovazione del Paese teso a costruire un consistente pool di esperti nel settore.

Il digital gap italiano ed europeo è basato, infatti, sia sulle poche risorse umane a disposizione nel settore dell’IA, sia sulla capacità delle imprese di offrire loro un adeguato portfolio di opportunità lavorative e crescita professionale: ecco allora che l’obiettivo primario diventa quello di impedire che i pochi data scientist presenti in Europa non migrino verso i competitor con ingenti risorse come USA, Israele, Cina o Emirati Arabi.

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Categories: Economia e Imprese