Le sigarette rischiano di diventare un lusso. La Commissione europea sta lavorando a una revisione della Direttiva sulle accise del tabacco (Ted), che potrebbe rivoluzionare la fiscalità sull’intero comparto dei prodotti contenenti nicotina. Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore e da altre testate europee, l’iniziativa, promossa dal Commissario europeo per l’Azione per il clima, l’olandese Wopke Hoekstra, mira a rafforzare le “risorse proprie” dell’Unione in vista del nuovo bilancio pluriennale, gravato dai costi del Recovery Fund e dalle crescenti esigenze di spesa nel settore della difesa.
I rincari ipotizzati sono pesanti: si parla di un aumento del 139% per le sigarette tradizionali, del 258% per il tabacco da arrotolare e di oltre il 1.000% per sigari e sigaretti. Ma la stangata non si fermerebbe ai prodotti classici. Anche le alternative come il tabacco riscaldato, le sigarette elettroniche e le bustine di nicotina rientrerebbero nel nuovo schema armonizzato, con aumenti importanti e uniformati a livello europeo.
Aumento sigarette, ecco perché Bruxelles vuole tassare di più
Oltre alla necessità di far quadrare i conti, Bruxelles giustifica la stretta con obiettivi di sanità pubblica. Quindici Paesi membri, guidati da Francia e Paesi Bassi, hanno chiesto una revisione della normativa per contrastare il consumo di tabacco e dei prodotti alternativi, soprattutto tra i più giovani. Attualmente la tassazione è molto disomogenea tra gli Stati membri, il che favorisce pratiche elusive e disparità di mercato.
La revisione punta quindi a un quadro normativo armonizzato. Ma non tutti sono d’accordo. Italia, Grecia e Romania si oppongono all’idea di equiparare i prodotti tradizionali a quelli alternativi, chiedendo regimi fiscali separati per evitare danni alle filiere locali.
L’impatto dei rincari in Italia: 1 euro in più a pacchetto
Nel nostro Paese, le ipotesi allo studio si tradurrebbero in un aumento di circa 1 euro a pacchetto, pari a un rincaro di oltre il 20% per le sigarette e i prodotti a tabacco riscaldato. Un balzo senza precedenti, che va in direzione opposta rispetto alla politica di stabilità fiscale finora perseguita da Roma.
Lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha già espresso a Bruxelles la volontà di tutelare gli investimenti effettuati nel settore del tabacco in Italia e di non compromettere un comparto strategico per occupazione, produzione ed export.
Rischio contrabbando e inflazione
Uno dei principali effetti collaterali della proposta Ue potrebbe essere il boom del contrabbando. L’Italia è attualmente tra i Paesi con il tasso più basso di traffico illecito di sigarette (1,8%, contro una media Ue del 10%) proprio grazie a un regime fiscale stabile. Al contrario, Paesi come Francia (38%) e Olanda hanno visto esplodere il fenomeno in seguito a forti aumenti delle tasse.
C’è poi la questione inflazione. Secondo le stime della stessa Commissione, la sola revisione delle accise potrebbe far salire l’inflazione dell’eurozona di oltre mezzo punto percentuale. Un effetto controproducente, considerando gli sforzi in corso per contenerla.
Tabacco, una filiera italiana a rischio
L’industria del tabacco in Italia rappresenta un asset economico importante. Il nostro Paese è uno dei principali esportatori di tabacco riscaldato in Europa, con un valore annuo vicino ai 2 miliardi di euro. Gli aumenti ipotizzati, fino al +250% nei Paesi di destinazione, rischiano di compromettere l’intero comparto.
La preoccupazione si estende anche alla tabacchicoltura, che potrebbe essere colpita da una nuova accisa sul tabacco greggio. Secondo la Commissione, ciò comporterebbe un aggravio dei costi di gestione stimato in decine di milioni di euro, con effetti gravi sulla competitività delle aziende italiane.
Le associazioni industriali, agricole e sindacali italiane hanno già manifestato forte preoccupazione al governo. La linea di Bruxelles è vista come un attacco diretto a una filiera costruita con anni di investimenti e innovazione, che impiega migliaia di persone e sostiene l’economia di interi territori. Il timore è che la nuova direttiva possa annientare, in nome del rigore fiscale, un sistema produttivo strategico che l’Ue sembra ignorare.