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Apple e la sua ossessione per il design: il dopo Ivy

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L’uscita da Apple di Ivy è un problema? 

Alcuni analisti e investitori hanno visto l’uscita dalla Apple di Jonathan Ivy, con un certo sollievo. Ivy è stato per 30 anni il designer capo della Apple. Dal 2012, dopo l’uscita di Scott Forstall, anche del software. Secondo questi osservatori l’uscita dell’Ivy non è un problema. Anzi, potrebbe finalmente mettere fine all’epoca dell’ossessione della Apple per il design. Delizia ma anche croce della casa della mela. Delizia lo sappiamo. Croce perché il design e l’assoluta condizione di primus inter pares del team dei designer, alla fine, può aver ostacolato l’innovazione e fatto accumulare un certo ritardo sulla tecnologia della concorrenza. 

Gli smartphone a grande schermo ne sono un esempio. Jobs e di Ivy erano convinti che lo schermo dell’iPhone 4 fosse delle dimensioni perfette per la mano di una persona. Ed è certo che era così. Ma questa testarda convinzione fece sì che l’introduzione sul mercato di smartphone a grande schermo regalasse a Samsung un vantaggio competitivo importante, forse decisivo. Alla gente piacevano gli schermi grandi, non prendeva il compasso per misurare il raggio delle proprie dita. Le vendite dell’iPhone sono tornate a crescere solo dopo l’introduzione dell’iPhone 6 con uno schermo più grande. Evviva!

Il fatto che l’uscita di Ive abbia smosso di un solo punto in negativo le azioni di Apple (1 punto equivale, comunque, a 9 miliardi di dollari) mostra una cosa. Cioè che un sacco di gente a Wall Street “non ha mai veramente capito e apprezzato la cultura orientata al design di Apple o condiviso il ruolo primario svolto dal team del design industriale a Cupertino”, ha detto un analista finanziario al “Financial Times”. 

Se l’ossessione per il design non ha più un ministro del culto, forse può emergere una nuova generazione di tecnologi e designer che non hanno bisogno di quella ossessione, perché è già nel loro modo di essere. Questo potrebbe aprire la porta alle ondate, anche effimere, portate dalla tecnologia, senza doverle sempre costringere nello stampo del design iviano. Beh!, potrebbe esserci davvero un rinnovamento. 

La Apple non è sempre la stessa, ma non più al 100% 

C’è inoltre un altro aspetto che concerne la strategia della Apple. Accanto ai prodotti, al software c’è un nuovo strategico settore che sta venendo avanti con forza, quello dei servizi. È molto difficile per una persona, anche se dell’esperienza e del calibro di Ive, coordinare e tenere sotto controllo questo insieme di attività. Se conferite a diverse aziende, queste potrebbero figurare nella classifica di Fortune delle 500 società più capitalizzate del mondo. Lo stesso iTunes, che Ive aveva progettato con Jobs, ormai se n’è andato per essere sostituito da applicazioni specifiche ognuna delle quali ha le sue caratteristiche, il suo pubblico e le sue specifiche funzionalità. 

Certo, il design resta ancora al centro della galassia Apple. Definisce ormai la sua cultura aziendale. L’ossessione senza fine di Jobs per il design ha inseminato tutte le persone che sono entrate in contatto con lui e alla fine è diventato una forma mentis di tutto lo staff della Apple. 

Ricorda Phil Schiller, uno dei maggiori collaboratori di Jobs e tutt’oggi responsabile del marketing: 

«Quando Jobs rientrò e diede vita al suo sodalizio con Ive, l’ago della bilancia ricominciò a pendere dalla parte dei designer. Steve non si stancava mai di farci presente che il design era parte integrante di ciò che ci aveva reso grandi. Ora il design tornava a dettare la linea alla progettazione ingegneristica, e non viceversa». 

Però, l’ossessione per il design industriale può avere anche un aspetto castrante. Questa sensazione aveva sfiorato per un omento la mente di Steve Jobs dopo il lungo travaglio del NeXT. Durante una free session con gli sviluppatori al Mc World del 1997, quello del suo rientro in Apple, ammise in tutta sincerità “ho fatto troppe volte questo errore e porto ancora le cicatrici sul mio corpo”. L’errore di un approccio ai prodotti che imprigionavano gli utenti in una certa visione della tecnologia e del design, senza dargli l’ascolto che meritavano. Bisogna andare dagli utenti alla tecnologia e al design e non dalla tecnologia e il design agli utenti. 

Ci sono proprio due esempi, prima dell’era Jobs-Ivy, che mostrano la fondatezza di quest’asserzione di Jobs. Sono il NeXT e l’Apple Newton. 

Apple 1976. Perché l’innovazione è anche design 

Steve era figlio della controcultura di San Francisco degli anni 70. L’unico corso universitario frequentato era di calligrafia. Leggeva solo testi buddisti e Zen. Era vegano e aveva vissuto in una comunità fruttariana. Assumeva spesso stupefacenti. Non era un tecnologo, né uno sviluppatore, e tanto meno un ingegnere. Aveva una visione, anche estetica, del mondo e voleva realizzare quella. 

Aveva un’idea olistica dei prodotti destinati al mercato di massa e il design era il mama che li pervadeva. C’era molta filosofia orientale nella sua formazione e pochissimo utilitarismo. Con il design si poteva raggiungere la divina proportione che gli aveva insegnato il suo docente di calligrafia al Reed College. Padre Palladino, un frate trappista. 

In effetti, come ci hanno insegnato i maestri del Bauhaus,il design determina il successo o il fallimento di un prodotto di massa. Perché il design definisce non solo l’estetica di un oggetto, ma anche il modo in cui sarà percepito e utilizzato. Il design definisce, cioè, la user experience. Ora un personal computer è indirizzato alle persone comuni. La facilità d’uso conta di più della potenza di calcolo. Concetto oggi assodato, ma non certo nell’era dei mainframe e dei minicomputer quando iniziò l’avventura della Apple. 

Il computer è un elettrodomestico 

Non è stato facile per Jobs e la Apple affermare l’importanza del design nel mondo degli strumenti di calcolo personali. Quattro dei dieci maggiori fallimenti della storia del computer sono avvenuti proprio per colpa del design estremo e dell’user experience. Sono il NeXT, il Lisa, l’Apple Newton e l’Apple III. 

Sono stati fallimenti perché i progettisti cercarono di semplificarne al massimo l’utilizzo con il design. Ma, la tecnologia, le conoscenze e il mercato del tempo non erano pronti. 

Per il NeXT si volle un cubo della dimensione dettata dalla sezione aurea. tutti i componenti elettronici dell’epoca non erano adatti per stare in quella forma. Si dovette riprogettarli daccapo. 

Con l’Apple III si volle un computer più piccolo dello standard. Non c’era la ventola per raffreddare i circuiti, perché il rumore disturbava la concentrazione. Succedeva che l’Apple III diventava incandescente. 

Il NeXT e il Lisa erano magnifici, ma il pubblico non poteva permetterseli. Costavano troppo e non c’erano gli standard a cui l’utente era abituato. 

Secondo alcuni pionieri, il computer doveva essere un elettrodomestico. Doveva fare subito quello che doveva fare, ed essere esteticamente bello. La tecnologia non doveva frapporsi tra la persona e lo strumento, doveva essere invisibile. 

Per esempio, nei primi Macintosh c’era un’unica vite, apribile solo con un cacciavite speciale. Non c’era bisogno di aprirlo. Tutto era progettato a regola d’arte. Ogni singolo componente, dettaglio e forma doveva essere il prodotto di un pensiero di design. 

Steve Jobs era ossessionato dalla qualità totale. Anche dei dettagli che non si vedevano. Diceva: 

se sei un falegname non incolli una lastra di formica dietro un armadio perché non si vede. 

Il packaging del prodotto doveva essere iconico, perché «il packaging è il teatro dove si inizia a raccontare la storia», ancora parole di Jobs. 

Fare prodotti di ottimo design per il mercato di massa è stata la missione e la lezione della Apple. 

C’è una pubblicazione mitologica della controcultura di San Francisco degli anni settanta dello scorso secolo, “Whole Earth”. Per molti pionieri del personal computer è stata il libro di testo della loro formazione. su ogni numero era stampato un motto attribuito a Leonardo da Vinci. Diceva: 

La semplicità è la massima raffinatezza. 

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Il NeXT 

Nei 10 anni di NeXT (dal 1986 al 1996) furono gettate le basi di due grandi sviluppi futuri: l’iPhone e la programmazione ad oggetti. Da quell’esperienza nacque anche il rinascimento della Apple, che, all’epoca, era sull’orlo del fallimento. 

Il NeXT era una integrazione perfetta tra hardware, software e contenuti. Lo guidava di una visione unitaria di design, sia degli componenti fisici che degli elementi logici della macchina. 

Nel 1986 un manipolo di apostati della Apple, tra cui Steve Jobs, fondò NeXT computer. senza la “s” finale che invece era nella denominazione di Apple computers. NeXT doveva essere la macchina definitiva e non c’era bisogno del plurale per definire il progetto. 

E in effetti fu costruita una macchina incredibile; una integrazione mai vista prima di hardware, software e contenuti. tutti costruiti sullo stato dell’arte della tecnologia e delle conoscenze del tempo. 

Il miliardario texano Ross Perot e la Canon dettero i soldi a Jobs per realizzare il progetto. In realtà, NeXT non era pensato per il mercato del suo tempo, era molto avanti… era avanti di 15 anni. 

Era un sistema totalmente multimediale con un sistema specifico per la musica. Aveva la posta elettronica vocale. Utilizzava la grafica vettoriale per visualizzare gli oggetti sullo schermo. Aveva Render man, il linguaggio 3d inventato dalla Pixar per creare i film di animazione. Aveva le opere complete di Shakespeare, il primo e insuperato ebook della storia. Aveva il dizionario delle citazioni, dei sinonimi e dei contrari. C’era il vocabolario Merrian-Webster, consultabile dalle applicazioni. Gli sviluppatori disponevano di un sistema di sviluppo software orientato agli oggetti. una sorta di Lego per creare applicazioni e interfacce grafiche omogenee. 

Nel 1996 la Apple assorbì la NeXT, la sua tecnologia e tutte le risorse umane. Lo stesso Jobs passò al timone di comando. Tutto questo contribuì alla rinascita di Apple. Di fatto, la Apple divenne una NeXT diversamente nominata. 

Nel 2001 uscì Mac-OSX, basato sul sistema operativo NeXTstep. Nel 2007 il sistema di sviluppo di NeXT divenne Cocoa, il sistema di sviluppo dell’iPhone. 

Il computer NeXT, però, durò solo pochi anni. Lanciato alla fine del 1988, agli inizi del 1992 si smise di produrlo per concentrare le risorse sul software. 

In effetti, nel progetto NeXT c’era una perla. La perla era NeXTstep, il sistema operativo e le librerie software per creare applicazioni. E con NeXTstep gli sviluppatori fecero delle cose importanti con un investimento di tempo minimo. Per esempio, Tim Berners- Lee costruì, quasi da solo, il World Wide Web al Cern di Ginevra. Con la libreria Webobject di NeXT, Amazon e Dell costruirono il proprio e-commerce. 

Nel 1992 NeXT rilasciò Openstep, un insieme di strumenti per costruire, con gli oggetti, applicazioni strategiche per le più diffuse piattaforme dell’epoca. 

NeXT è una delle esperienze più seminali della storia del computer. È stato anche il fallimento meglio riuscito di quella storia. 

L’Apple Newton 

Nel 1993 fu presentato l’Apple Newton, un computer palmare con uno schermo da 5 pollici. 

Non ebbe successo, fu però un azzardo molto, molto importante. L’Apple Newton, infatti, è il progenitore dei dispositivi mobili dei nostri giorni. Doveva essere una totale reinvenzione dell’uso del computer come in effetti lo è stato l’iPhone, 15 anni dopo. 

Però, come per il NeXT, il mercato e gli utenti non erano pronti per questa innovazione radicale. Nei primi anni novanta, non c’era ancora la tecnologia necessaria per costruire un dispositivo mobile all’altezza delle sue promesse. 

Si sarebbe dovuto attendere più di un decennio. 

Agli inizi degli anni novanta, senza più Steve Jobs e con Bill Gates vincente, la Apple era alle corde. Aveva un bisogno disperato di un’innovazione radicale. Un’innovazione che ridefinisse il mercato e i rapporti di forza al suo interno. 

Si pensò che questo “jolly” potesse essere il Newton, un palmare già ambizioso dal nome. L’Apple Newton Message Pad, in effetti, era strabiliante, pensando che siamo nel 1993. Notate la parola Pad! La ritroveremo. 

Il Newton si poteva tenere nel palmo di una mano e con l’altra usare una penna per scrivere, come si fa su un blocchetto di appunti. Il software riconosceva la calligrafia e la convertiva in caratteri. 

L’Apple Newton aveva un microprocessore RISC della Arm. La stessa architettura dei processori degli attuali smartphone. Aveva uno schermo tattile più grande di quello dei primi smartphone. Aveva una scheda e una porta per l’audio e una connettività senza fili a raggi infrarossi. Poteva collegarsi a internet e stare in una rete locale. 

C’era un sistema operativo specifico, il Newton OS, il progenitore d iOS, il sistema operativo dell’iPhone. C’erano otto applicazioni preinstallate, dello stesso tipo di quelle che troviamo sull’iPhone. 

Paradossalmente l’Apple Newton incappò nelle stesse barriere che avevano ostacolato il NeXT. Il prezzo era troppo alto, quasi mille dollari. C’era poco software applicativo di terze parti. L’utenza di riferimento era impreparata a recepirlo. 

C’erano anche troppi problemi di funzionamento. Il riconoscimento della scrittura era oltremodo difettoso, come è tutt’oggi a 30 anni di distanza. Era insopportabilmente lento. Tutti problemi che furono ridicolizzati dai media dell’epoca. 

Nel 1998, Steve Jobs, tornato alla Apple, decise di uccidere il Newton. Jobs era convinto che un dispositivo palmare non avesse bisogno di una stilo. Le persone di stilo ne hanno cinque, le dita di una mano. 

La cosa doveva maturare, ma Jobs aveva visto il futuro nello sfortunato Newton. Infatti si rifiutò di concedere la licenza d’uso di Newton OS a chiunque la richiedesse, perfino allo stesso Jill Amelio che, come CEO di Apple, lo aveva reso possibile. 

Newton fu un progetto decisivo non solo per la Apple, che vi bruciò 500 milioni di dollari. La Palm, che avrebbe costruito il primo palmare con funzione telefonica, prese moltissimo dal Newton. Il Palm divenne il primo smartphone-computer. 

Nel 2007 arrivò l’iPhone e cominciò un’altra storia. 

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