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America Latina: è già finita l’onda rossa? Dal Perù al Cile all’Argentina, il ritorno delle destre

Ben Ostrower per Unspalsh

Le tornate elettorali degli ultimi anni in America Latina avevano portato 9 Paesi su 12 ad avere governi di sinistra, ma il vento sta già cambiando: è già finita l’onda rossa? in Paraguay si sono confermati i conservatori e sale l’ultradestra, in Argentina si va verso la vittoria dell’estremista Mieli e in altri Paesi i socialisti vacillano. 

America Latina: tornano le turbolenze politiche. L’effetto onda rossa si è esaurito?

Tanto per cambiare, l’America Latina sta vivendo un nuovo periodo di turbolenze politiche. Qualche segnale farebbe pensare che si stia già esaurendo l’effetto dell’onda rossa, dopo che le tornate elettorali degli ultimi anni avevano portato 9 Paesi sui 12 dell’area ad avere governi più o meno di sinistra: sono rimasti fuori solo Ecuador, Uruguay e Paraguay, sempre che possano considerarsi di sinistra gestioni al limite del democratico come quella di Lopez Obrador in Messico e di Castillo in Perù. A ben vedere, nel valutare il borsino delle colorazioni politiche dell’area sarebbe meglio dire che se Atene piange, Sparta non ride.

Lula perde popolarità in Brasile, Castillo tenta il golpe in Perù

E’ innegabile infatti che la cosiddetta onda rossa (in Sudamerica la chiamano Ursal, União das Repúblicas Socialistas da América Latina) stia andando sbiadendo, ma nemmeno le destre possono del tutto festeggiare. I segnali sono chiari: Lula è tornato a governare il Brasile ma con una vittoria risicatissima sul tanto discusso Bolsonaro, e la sua popolarità dopo 4 mesi è in picchiata, così come il gradimento dei mercati e di parte della comunità internazionale, viste le sue posizioni ambigue sulla guerra in Ucraina. Ancora peggio è andata in Perù a Pedro Castillo, che dopo un goffo tentativo di golpe è stato destituito e arrestato, e sta andando in Cile al giovane socialista Gabriel Boric, eletto nel 2022 e poi bocciato dai suoi stessi elettori nel referendum per la nuova Costituzione

E in Cile avanza Kast, simpatizzante di Pinochet

A Santiago c’è già stato lo switch: nella nuova Assemblea Costituente che dovrà rielaborare il testo della Carta, ad essere in maggioranza è ora il centrodestra del pinochetista José Antonio Kast. Lo stesso potrebbe accadere in Argentina il prossimo ottobre, quando l’attuale presidente peronista, Alberto Fernandez, non si ricandiderà, e nemmeno lo farà la ex presidenta Cristina Kirchner: tutto lascia dunque pensare ad un ritorno al potere delle destre, con persino l’incubo di una vittoria dell’estrema destra guidata dal populista Javier Milei, che nei sondaggi è dato in vantaggio col 24% delle preferenze. 

America Latina: le Borse corrono ma si teme l’ascesa dell’ultradestra

Il vero pericolo che tiene in allerta i mercati è proprio questo: l’insorgere di estremismi alla Trump e Bolsonaro. Nell’area ad oggi le Borse tendenzialmente corrono e le prospettive economiche sono sostanzialmente di una buona crescita, grazie alle materie prime, ma le condizioni della popolazione non sempre seguono questi indicatori: in Argentina il tasso di povertà ha superato il 40% e il Brasile è tornato sulla Mappa della Fame dell’Onu (oltre 15 milioni di brasiliani non hanno l’accesso garantito al cibo). Questo fa sì che possano emergere figure appunto alla Milei, che è sì un professore universitario ma si definisce un “anarco-capitalista” ed è famoso per insultare avversari e giornalisti.

La polarizzazione politica contagia Paraguay e Ecuador

Questo schema lo si è già visto in Paraguay, dove il partito conservatore ha recentemente vinto le elezioni, confermandosi al potere da decenni (da 70 anni se si considera anche il periodo della dittatura di Alfredo Stroessner): l’economista Santiago Pena si è imposto con il 42,7% dei voti e la sua è una proposta di destra tutto sommato moderata, ma a fare notizia è l’ascesa dell’ultradestra di Payo Cubas, considerato il Bolsonaro del Paraguay e fondatore del movimento Cruzada Nacional, contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, all’aborto anche in caso di violenza e alla presenza di stranieri nel Paese.

Il partito estremista si presentava per la prima volta alle elezioni e ha ottenuto un sorprendente 23%, eleggendo 5 senatori e 5 deputati. Cubas è stato poi arrestato per aver preso parte a violenti proteste con l’accusa di brogli, ma intanto la polarizzazione politica si è creata, in un Paese dove il lavoro nero rappresenta il 64% del mercato e che occupa la posizione 105 (su 189) nell’Indice di sviluppo umano dell’Onu. E a testimoniare lo stato non proprio ottimo di salute nemmeno delle destre è il caso dell’Ecuador: lo scorso 17 maggio il presidente Pablo Lasso ha sciolto le Camere e indetto nuove elezioni. Lo ha fatto per evitare il suo stesso impeachment, visto che è coinvolto in uno scandalo di corruzione.

E’ la prima volta che in Ecuador si va ad elezioni anticipate per questo motivo. E le chance di conferma per Lasso sono bassissime: non più gradito all’80% della popolazione, non è nemmeno sicuro che si ricandidi. Il Paese, oltre che una crisi economica, sta attraversando anche un’emergenza criminalità: il tasso di omicidi è raddoppiato dal 2021 al 2022 e lo scorso anno 420 detenuti sono stati assassinati in carcere per regolamenti di conti legati al narcotraffico. In questo scenario, la sinistra dell’ex presidente Correa farà anch’essa fatica ad imporsi, visto che il suo leader è fuggito in Belgio dopo essere stato condannato per corruzione. Anche in Ecuador i tempi sembrano maturi per un altro Trump sudamericano.

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