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Amazon, Kindle compie 10 anni: ecco le 6 regole d’oro della piattaforma

FIRSTonline

I 35 minuti di viaggio nel futuro 

Il 19 novembre 2007 alle 9,40 di mattina l’industria del libro, sostanzialmente, era quella che era sempre stata dal 1945. C’erano gli hardcover, i paperback, le librerie, i distributori, gli agenti, gli editori e infine gli autori. Gli autori davano i libri al loro agente che portava a pranzo l’editor della casa editrice e, prima di pagare il conto, gli consegnava il manoscritto di cui gli aveva magnificato il contenuto e le potenzialità commerciali. Le case editrici controllavano il mercato ed elargivano cospicui anticipi agli autori sul cui talento intendevano investire. Era un meccanismo ben oliato ed efficiente. 

Gutenberg, tornato sulla terra dopo mezzo millennio, non avrebbe avuto difficoltà a riconoscere la sua invenzione della stampa a caratteri mobili nelle moderne forme industriali. Un’invenzione che era stata veramente alle scaturigini del mondo moderno e per questo era durata più di qualsiasi altra. In realtà si stava arrivando ormai al crepuscolo di quell’era. 

L’unico cambiamento — peraltro di poco interesse per il grande pubblico — nell’industria del libro in 70 anni era questo: gli intellettuali collettivi e le famiglie che avevano fondato le grandi case editrici, agli inizi dell’epoca dei mass-media, avevano ceduto via via i loro pacchetti azionari ai grandi conglomerati media che avevano individuato nel business del libro un fattore anticiclico nel più ciclico dei settori, quello appunto dei media. 

Le case editrici storiche mantenevano però il loro nome e anche la loro specializzazione e, per certi versi, la mentalità aristocratica ed elitaria. In più di mezzo secolo si erano visti davvero pochi cambiamenti e l’innovazione è qualcosa che tutti predicano ma nessuno pratica davvero. La vicenda della musica toglieva il sonno. 

Alla 10,15 di quella stessa mattina del 19 novembre era già cambiato tutto. Amazon presentava il Kindle, o meglio la piattaforma Kindle, perché di e-reader ce ne erano già a sufficienza, anche se in pochi se ne erano accorti. Jeff Bezos aveva riunito alle 9:30 i giornalisti e i blogger al W Hotel di Union Square a New York e in mezz’ora aveva mostrato il Kindle e parlato della nuova piattaforma di Amazon per far leggere i libri su uno schermo connesso a Internet. 

Nelle sei ore successive all’evento di Union Square, il Kindle, andò esaurito e il dispositivo restò indisponibile all’acquisto fino all’aprile del 2008. Anche il Kindle aveva avuto il suo effetto iPhone: istantaneamente era divenuto un must. Tutti lo volevano. 

Il 2007, un anno di vera epifania tecnologica 

Quel 2007 era stato un anno veramente speciale, un vero e proprio anno spartiacque tra “il prima” e “il dopo”. Mentre il mondo stava avviandosi alla grande recessione, il 9 gennaio 2007 Steve Jobs presentava l’iPhone, che pareva non entrarci nulla con i libri e con i contenuti, e invece c’entrava parecchio. 

Nel settembre 2017, Facebook e Twitter iniziavano la loro espansione globale, Hadoop rilasciava un software per gestire i big data e analizzare montagne di informazioni non strutturate aprendo la via al cloud computing; Google, il 12 novembre, presentava il SDK (Software Development Kit) di Android; IBM avviava lo sviluppo di Watson il primo computer cognitivo. Inoltre nell’ottobre 2007 il culturista Brian Chesky insieme agli amici Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk apriva Airbnb, dopo avere faticato a trovare una sistemazione a San Francisco. Satoshi Nakamoto stava lavorando al protocollo Bitcoin che avrebbe rilasciato l’anno successivo. E infine il 16 gennaio 2007 Netflix varava il suo programma di streaming. 

Una lista esaustiva di tutte le cose importanti successe nel 2007 l’ha tracciata Thomas Friedman, il columnist del New York Times, in un articolo, Dancing in a Hurricane, apparso sul quotidiano di New York il 19 novembre 2016. 

Torniamo ad Amazon e al Kindle. È interessante esaminare quello che Bezos ha detto a proposito del Kindle ai giornalisti convenuti a Union Square. Purtroppo non disponiamo di una registrazione video e pertanto dobbiamo affidarci al resoconto che ne fece il cronista di “Tech Crunch”. 

La visione librocentrica di Bezos 

Il keynote di Bezos si apriva con un’ammissione di profonda deferenza nei confronti del libro, che era indicato come una vera e propria tecnologia, una tecnologia che aveva retto magnificamente mezzo millennio. Bezos precisava meglio questo concetto. Diceva: 

I libri sono l’ultimo bastione dell’analogico. Hanno resistito tenacemente alla digitalizzazione. Il libro è così altamente evoluto e adatto ai suoi scopi che è difficilmente sostituibile… Il libro è già un device incredibile. 

A distanza di qualche tempo dopo avrebbe aggiunto “Che cosa possiamo aggiungere a Guerra e Pace? Niente!”. Lui stesso accanito lettore e la moglie MacKenzie, autrice di romanzi, avevano una riverenza assoluta per il libro che, del resto, era stato, per oltre 10 anni, il core business di Amazon. La passione per i libri è qualcosa che rimane per tutta la vita e una passione che sta sempre sul podio. 

Primo pilastro: la forma libro ha una validità e una vitalità che occorre preservare nel passaggio al digitale. Da che cosa deriva questa sua vitalità? Deriva dal suo contenuto che ha bisogno di poca innovazione. 

Come tutti i lettori sanno, precisava Bezos nel suo keynote, la fisicità di un libro (la carta, le pagine, la rilegatura, la forma, l’odore della carta) veniva meno una volta che lo si era consumato; alla fine rimaneva solo il mondo dell’autore nel quale il lettore si era immerso e del quale si era nutrito. Era proprio questo quello che Amazon intendeva preservare. 

Secondo pilastro: al centro di tutta questa industria c’è l’autore, il creativo, non la tecnologia. Però la tecnologia può fare qualcosa per supportare l’autore e aiutarlo a stringere un patto diretto con il lettore. 

La questione quindi era: 

Possiamo migliorare qualcosa di una tecnologia così altamente evoluta e adatta allo scopo come il libro? E come? Portando la tecnologia a fare quello che il libro non può fare, come raccogliere e condividere le recensioni dei lettori, mostrare ai lettori quello che gli altri lettori hanno selezionato, valutato, acquistato e letto. Tutte cose che non possono essere effettuate in una libreria tradizionale. 

Ma, alla fine, era il contenuto ad essere il cuore di questo mondo. Ecco che il mondo narrativo dell’autore era veramente centrico nella visione di Amazon che tendeva, non solo a disintermediare commercialmente, ma anche a disintermediare culturalmente, tendendo a voler togliere di mezzo tutto quello che stava tra l’atto creativo e il suo pubblico di riferimento. Per questo, precisava Bezos, lo scopo del Kindle era proprio quello di facilitare e favorire, anche ergonomicamente, la relazione emotiva e razionale del lettore con il mondo dell’autore. Ecco che lo strumento tecnologico per accedere al contenuto di un libro non poteva essere un qualsiasi personal computer, ma un dispositivo più intimo, più personale, più specifico, un oggetto che fosse, anche fisicamente, addosso al lettore. Uno strumento che non necessitava di software da installare e che riusciva ad avviarsi in una frazione di secondo senza mettere tempo tra l’intenzione e l’atto di leggere. 

Era a questo punto che il keynote di Bezos raggiungeva il suo “Steve Jobs moment”, quando mostrò che dal Kindle, senza bisogno di un collegamento wi-fi, poteva accedere alla libreria di Amazon e scaricare un libro in una frazione di minuto. Una connettività invisibile, impercettibile perché incorporata nel dispositivo stesso, una connettività fornita e pagata da Amazon. 

Proprio per questo insieme di ragioni, Bezos si diceva convinto che una volta abituati a leggere sul Kindle, “sarà terribilmente difficile tornare indietro”. Una previsione solo parzialmente azzeccata. Nel 2007 Bezos non poteva immaginare, per suo stesso merito, l’emersione del lettore ibrido, cioè del lettore indifferente al mezzo di lettura che viene scelto a seconda della convenienza. Anche il Kindle finirà per soccombere al principio di utilità marginale descrescente. 

Terzo pilastro: il Kindle è ben di più di un pezzo di hardware, è un veicolo per raggiungere subito la conoscenza e il divertimento, un terminal connesso a un immenso universo di contenuti. La sua natura di hardware si muta in quella di un vero e proprio media. 

Connessione sì, ma recintata 

Il dispositivo, pur avendo incorporata la connessione wi-fi, dava un accesso limitato a Internet. Infatti, offriva a ciascun utente Kindle una casella di posta elettronica preinstallata e permetteva di visualizzare le pagine di Wikipedia per le quali Bezos spendeva delle parole entusiastiche. Il Kindle aveva, inoltre, integrato il New Oxford American Dictionary, che poteva essere attivato, in una finestra pop-up, secondo necessità, direttamente dal testo. 

Quarto pilastro: mettere un dispositivo connesso nelle mani di tutti, evitando, però, la dispersione dell’attenzione, una pressoché inevitabile conseguenza di una connessione piena al web. Il lettore deve rimanere confinato nel mondo di Amazon e in questa idea c’è anche il concetto che i dispositivi di Amazon devono essere prima di tutto un veicolo di e-commerce. 

Un principio che vedremo ampiamente in azione nel Fire Phone, uno dei pochi fallimenti del gigante di Seattle, e soprattutto nel programma Prime, il vero motore del successo planetario di Amazon. A questo riguardo, come non citare, oggi, anche Echo, l’assistente digitale casalingo, introdotto con grandi risultati da Amazon nel 2014. 

L’ampiezza dell’offerta e la centralità del prezzo 

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Il Kindle non era solo l’ennesimo e-reader. Per usare le parole di Bezos: “Non è un dispositivo, è un servizio”. O meglio, era una piattaforma completa sulla quale terze parti potevano sviluppare un vero e proprio business pubblicando i contenuti e lasciando ad Amazon il compito di servirli ai lettori. Già dal primo giorno, infatti, su Amazon.com erano resi disponibili 90mila titoli già scaricabili dal Kindle. Tra questi, tutti i bestseller della classifica del New York Times. Un’offerta che non si era mai vista per ampiezza e concentrazione. 

E attenzione al prezzo proposto, il terreno destinato a diventare la Verdun del duello tra Amazon e gli editori. Un bestseller in versione Kindke costava 9,99 dollari, quando l’edizione hardcover aveva un prezzo di copertina superiore ai 25 dollari, che scontato, non scendeva mai sotto i 16–18. 

Viene da chiedersi il senso di questa operazione di dumping estremo. Per affermare il Kindle, Amazon decise di fare un investimento molto rischioso. Decise, cioè, di operare in perdita: comprava all’ingrosso a, diciamo, 12 dollari e rivendeva al minuto a 9,99. Gli editori, che gli fornivano i contenuti, lasciavano stare perché il loro margine rimaneva invariato e, a quel momento, era diffusa l’idea che il potenziale disruptive del Kindle era piuttosto limitato. Ma quanto si sbagliavano? Immensamente. E presto se ne sarebbero accorti. 

Quinto pilastro: il prezzo dell’ebook è la leva principale per assicurare al libro uno spazio di mercato importante nello scenario dei nuovi media. In questo nuovo scenario un libro non compete più con un altro libro, come avveniva nell’epoca dei mass media dove il mercato era frazionato per tipo di contenuto, ma compete per conquistare il tempo del consumatore. Questo tempo, che rimane una costante, è conteso anche dagli altri media, sia da quelli storicamente consolidati, come il cinema, la musica, la televisione, sia da quelli completamente nuovi come i social media, i videogiochi e le attività di nicchia. Tutti questi media, come il libro, arrivano al consumatore tramite lo stesso canale, Internet, e tendono ad essere consumati nello stesso modo: attraverso uno schermo di varie dimensioni. Ecco che il prezzo di un libro si misura sul prezzo degli altri servizi, sul costo di un brano musicale, di un film, di un episodio di una serie tv. I prezzi di questi servizi si sono livellati a tal punto da mettere la lettura tra le attività “di lusso”, quando, invece, è sempre stata “popolare”. 

Sesto pilastro: vendere di più a meno. Tagliando della metà il prezzo del libro se ne raddoppieranno le vendite in formato ebook (e i dati di Amazon confermano proprio questo fenomeno) con vantaggio per gli editori e gli autori: rimanendo ricavi e royalty stabili, si metterà il contenuto nelle mani del doppio di persone, aumentando così le possibilità di innescare il network effect che è la ricetta del successo nella nuova economia. 

Ma questo l’approccio — vendere di più a meno — venne subito rigettato dall’industria tradizionale per ragioni strategiche nonostante che essa avesse avuto molteplici occasioni di verificare la sua validità. Ecco perché, sul prezzo degli ebook e sul principio di vendere di più a meno, Amazon avrebbe sviluppato un’azione così disruptive da mettersi in rotta di collisione con l’intelligentia e l’opinione pubblica più sensibile al futuro della cultura. Amazon sarà così additato come l’affamatore dei creativi e dei produttori di cultura. 

Purtroppo la cultura di Amazon non aiutava molto nelle pubbliche relazioni. Frugale, diretta e sgraziatamente assertiva, la comunicazione istituzionale di Amazon era quanto di più lontano si poteva immaginare dalla diplomazia e dal savoir-faire. Anche in forza di questa infanzia comunicativa del colosso di Seattle, l’amazomachia divenne, ed è tutt’oggi, una sorta di disciplina olimpica nel dibattito culturale. Ma, come recentemente ha sottolineato Bezos, prendere Amazon come capro espiatorio ha poco senso e non aiuta a risolvere il problema della transizione al digitale dell’industria culturale, “Non era Amazon a sfidare l’industria del libro — ha dichiarato Bezos –. È il futuro a farlo”. 

La libreria personale 

Ancora sulla scia del concetto di piattaforma: i libri acquistati dal Kindle store e per il Kindle erano archiviati, oltre che sul dispositivo, anche in un’area legata all’account dell’acquirente sul sito Amazon.com. Ecco come Bezos commentava questa possibilità di costruire una libreria personale su Amazon: “La cosa più importante del Kindle è che il libro non scompaia così che in ogni momento si potrà entrare nel mondo dell’autore”. 

Era proprio l’idea della piattaforma e la sua ineccepibile implementazione che distanza il Kindle da tutto quello che c’era prima, compresi gli e-reader concorrenti che non avevano niente di simile. Proprio questa interoperabilità tra dispositivo di lettura, offerta di contenuti e fornitori di contenuti in un sistema unico, altamente integrato e servito attraverso la rete era il cambio di paradigma che era mancato nei precedenti 70 anni. L’industria era a un bivio e da lì in poi, niente sarebbe stato più come prima. 

Un acuto osservatore come Steven Levy coglieva subito la portata della novità in un articolo su “Newsweek” dal titolo Amazon: Reinventing the Book. Levy individuava una sfumatura importante legata alla introduzione del Kindle e alla lettura connessa. Riguardava il ruolo dell’autore e il processo di creazione del contenuto. Scriveva Levy: 

La possibilità dell’interazione ridefinirà l’autorialità […] Gli autori dovranno ripensare come scrivere per questo mezzo […]. È difficile pensare al narratore solitario che esce da Starbucks con un capolavoro scritto in totale isolamento. 

Già, in queste parole dell’autunno 2007, emergeva il tema dell’innovazione di contenuto che dieci anni dopo sarebbe diventato un fattore centrale per lo sviluppo del mercato. Su questo tema torneremo ampiamente nei capitoli successivi. Qui basta dire che il Kindle non ha mantenuto appieno le promesse di innovazione della scrittura che osservatori acuti come Levy avevano intravisto sin dalla sua introduzione nel lontano 2007. Ma Bezos era stato sempre onesto su questo punto: non aveva e non ha mai detto che il Kindle avrebbe scardinato la forma libro; ha detto il contrario e cioè che l’avrebbe adattata alla nuova era digitale. “Che cosa possiamo aggiungere a Guerra e Pace? Niente!”. E niente ha aggiunto, se non una pletora di superbi servizi ancillari. 

Il Kindle, una scelta disruptive per il core business di Amazon? 

Come per la Apple l’iPhone rischiava di essere una scelta potenzialmente disruptive nei confronti del fiorente business della musica costruito intorno all’iPod, così per Amazon il Kindle poteva essere un dispositivo destinato a danneggiare i fondamenti del business principale del colosso di Seattle, costruito in 14 anni di investimenti e innovazioni, la vendita online di libri. Se qualcuno in un minuto poteva scaricare un contenuto, perché attendere un giorno e oltre per riceverlo a domicilio da un corriere? La minaccia non era indifferente. Ma Steve Jobs e Jeff Bezos, figli della stessa cultura, condividevano la medesima visione. Se non era l’incumbent a innovare e promuovere il cambiamento indotto dalla tecnologia, qualcun altro lo avrebbe fatto e allora si sarebbe dovuto inseguire il disrupter diventato leader. È quello che sta succedendo nel 2017 alla Apple post-Jobs con Spotify. È quello che succede a Intel con Arm, a Microsoft con Google ed è quello che potrà succedere a WalMart con Amazon o ad Amazon con Alibaba e ad Alibaba con Tencent. 

Ma c’era una differenza. Mentre per la Apple l’approdo all’iPhone sta in una linea evolutiva coerente con la natura del suo business, per Amazon l’hardware e il software applicativo erano nel 2007 qualcosa di assolutamente fuori dal suo know-how fondativo che era essenzialmente quello di un’entità commerciale operante sulla rete. Si tratta di un bel salto per Amazon e per tutto il suo management. 

Bezos era intervenuto su questo tema in un’intervista del 2008 a David La Gesse. È proprio questo il dilemma dell’innovatore ed è un dilemma concreto perché riguarda le strategie di crescita di un’impresa che opera in un comparto altamente competitivo come quello della tecnologia. In questa intervista Bezos spiegava così la scelta di Amazon: 

Le imprese possono espandersi in due differenti modi — affermava il fondatore di Amazon. Uno è quello di sviluppare verso l’esterno le proprie competenze interne e domandarsi “Cos’altro possiamo fare con queste?” Si tratta di un approccio che vede una estensione meramente quantitativa. Un altro modo è quello di iniziare con i bisogni dei clienti e guardare indietro, verso il proprio interno. Si osservano i comportamenti dei propri clienti e ci si chiede “Quali sono i loro bisogni e come posso soddisfarli anche se questo significa sviluppare competenze che non ho?” Il Kindle è un esempio di quest’ultimo approccio. Abbiamo una grande base di clienti che ama leggere. Che cosa possiamo fare per rendere ancora più facile la lettura, anche se questo richiede di sviluppare nuove idee? Per fare questo occorre uscire dal proprio ambito e andare a cercare persone che hanno competenze nel campo del design industriale, della produzione di hardware del software e così via. Se inizi con la clientela, e poi lavori al tuo interno per andare incontro alle sue necessità, allora hai bisogno di pensare e lavorare nel lungo periodo, devi scordarti i risultati a breve medio termine. 

Lo short-termism non faceva e non fa per Amazon. Adesso sembra che gli investitori lo abbiamo capito e sanno premiando oltre ogni aspettativa il lavoro di Bezos & co. 

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Questo articolo costituisce il primo capitolo del volume di Mario Mancini, Amazon vs Apple. Breve storia della nuova editoria a 10 anni dal Kindle, goWare (ebook: 6,99, libro: 14,99). Disponibile in tutte le librerie online e nei negozi di libri. 

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