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Alberto Gipponi, chef sociologo a Brescia, dove mangiare è come un rito iniziatico

Chiara Cadeddu

Uno crede di entrare in un ristorante e non si immagina viceversa di trovarsi immerso in un percorso iniziatico che parte da una affermazione un po’ ermetica: “Until then if not before” (Fino ad allora se non prima). Concetto scritto a lettere cubitali come una grande insegna al neon che colpisce lo sguardo quando si entra nel primo ambiente, non troppo illuminato, del ristorante Dina a Gussago.

In realtà quella grande scritta al neon è opera d’arte firmata dall’artista britannico Jonathan Monk, artista concettuale e minimalista, realizzata appositamente per il ristorante Dina a Gusssago, un paese a 9 chilometri da Brescia dove Alberto Gipponi, 39 anni, un’antica passione per la cucina, in realtà avviata iniziaticamente e concretamente solo nel 2015, ha condensato il senso della sua vita. Se per Monk il karma del suo percorso artistico è una domanda ricorrente “che cosa succederà?” per Gipponi quella scritta è un invito a non cedere alle geometrie temporali dell’esistenza perché tutto scaturisce da un ordine imponderabile che attraversa i precordi dell’individuo.

Certo è che il suo percorso di vita ha dell’incredibile, segnato sempre da una casualità che sconvolge il suo vissuto.

Da giovane è un chitarrista dotato per il quale si prospettava un promettente futuro. Ma non si sente adeguato e abbandona l’idea. Dopo la laurea in sociologia diventa assistente all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Esperienza che si conclude ben presto perché se ne apre un’altra: assistente sociale per il Comune di Brescia, e un’altra ancora come Coordinatore della Società San Vincenzo de Paoli Onlus.

Ma c’è qualcosa che preme nell’aria, una passione intensa, vorace, intellettualmente parlando, esclusiva per il mondo della cucina. Nel 2015 la conversione: tutto quello che ha fatto fino a quel momento diverta acqua passata. “Decidi che una cosa può e sarà fatta e poi… trova il modo” diceva Abraham Lincoln, e lui ci aggiunge una tenacia e un’ostinazione da smuovere le montagne. E anche temerarietà, solo così si giustifica il fatto che si sia presentato, senza arte né parte, all’Orsone di Joe Bastianich, a Cividale del Friuli, per fare qualsiasi cosa pur di vivere l’atmosfera della cucina, e dove lavora per alcuni mesi tutti i weekend. Un anno dopo ecco un altro colpo di fortuna riesce a farsi accettare da Nadia Vincenzi (1 stella Michelin) a Castrezzato, per un anno lavora senza mai prendere un giorno di ferie e riesce a farsi apprezzare per la sua costanza.

Quello che ha imparato in così poco tempo si concretizza in un piatto col quale partecipa al concorso “Chef per una notte” del Giornale di Brescia e, indovinate un po’? Vince.

La ricetta ha un titolo che è un ossimoro “Memorie future” , che richiama , guarda caso, a “Fino ad allora se non prima”. E segnerà la svolta della vita di Gipponi. Perché il 9 Aprile il nostro riesce a prenotare un tavolo all’Osteria Francescana di Massimo Bottura, tre stelle Michelin, primo ristorante al mondo secondo The World’s 50 Best Restaurants negli anni 2016 e 2018. E con grande audacia, o spinto dal cuore, a fine pranzo, consegna al grande Chef le sue “Memorie Future”. Una crema di buccia di zucca, che affronta il tema del di riciclo, del rispetto per la materia prima, da utilizzare fino all’ultimo, del lavoro del contadino, dei significati della terra. Il cavallo di battaglia che Bottura proprio in quegli anni andava propalando per combattere lo spreco alimentare. Lo chef prende il foglio e lo mette in tasca. Passa poco più di una settimana e Gipponi riceve una chiamata sul telefonino. Richiama e per poco non sviene, Bottura si complimentava con lui e lo incitava a “seguire il suo sogno”. Per Gipponi è il segno di un destino che lo sta conducendo per mano perché lo possa realizzare. Dal giorno dopo si attacca al telefono e cerca di prenotare nuovamente un tavolo all’Osteria di Mantova ma è tutto pieno per mesi. All’improvviso (“Until then in not before”) si libera una possibilità il giorno 9 giugno a due mesi da un altro 9, il 9 aprile in cui consegnò la sua ricetta al grande Chef. Ed eccolo ancora seduto al tavolo e intrattenersi con Bottura chiedendo quello che centinaia di giovani da ogni parte del mondo gli chiedono in continuazione, poter fare uno stage all’Osteria. Bottura lo ascolta ma nulla di più, non si impegna. Gipponi non si scoraggia. Aspetta la chiusura in strada e quando vede uscire lo Chef lo blocca mentre se ne sta tornando a casa. Tanta tenacia sorprende e convince il grande chef: si può fare, ma non pensi che potrà accedere ai fornelli, al massimo potrà sgusciare i gamberi. E invece Gipponi si mette immediatamente in mostra, studia il maestro e studia la cucina, apprende i segreti. E resta un anno a farsi le ossa all’Osteria. Ma non di più perché ha una voglia sfrenata di mettersi alla prova . “Until then in not before”… Sfidando tutto e tutti, ma ascoltando solo le ragioni del suo cuore, solo dopo 8 mesi riesce ad aprire il suo ristorante a Brescia. E, incredibilmente, nel giro di 9 mesi, il ristorante viene premiato dalla Guida dell’Espresso come la novità dell’anno. Se non è bruciare le tappe questo…

Gipponi lo ammette “Io amo osare e stupire, amo sorprendere” e già l’insegna del suo ristorante Dina omaggio alla nonna, e quindi alla memoria, nasconde un significato non percepibile nell’immediato: diventa espressione di un costante gioco delle parti “La ‘D’ iniziale, volutamente marcata, rappresenta – spiega Gipponi – la mia parte maschile, mentre la ‘a’ con la grazia finale esprime la mia nota “rosa”, che spero sia profonda e si possa ritrovare sia negli ambienti che nei piatti”.

Sia chiaro dunque che chi entra da lui lo fa con la consapevolezza che da Dina non ci si siede solo per mangiare ma per dialogare fisicamente e virtualmente, entrare in simbiosi, con lo Chef.

Da Dina tutto ha un significato, le opere d’arte moderna sparse casualmente nei vari locali, espressioni delle sue passioni e dei suoi stati d’animo, che si frammistano a quelle della Galleria Massimo Minini di Brescia : due fotografie di Francesca Woodman che esprimono grande profondità e malinconia; i “panni stesi a Venezia” di Paul P. e la trilogia sui peccati dell’artista bulgaro Nedko Solakov o le installazioni dell’artista israeliano Ariel Schlesinger. Ogni opera è un sentimento che si trasmette all’ambiente. E anche il libricino lasciato su ogni tavolo per un pensiero, un disegno, vuole fissare un momento di dialogo che divenga permanente.

Ogni stanza ha una sua anima e una sua storia, – si avvertono gli studi di sociologia – come i piatti che sono strumento di dialogo fra lo chef e i suoi clienti. “Tutto ci passa attraverso e ci cambia” una Crema di cozze, pomodoro confit, aria di limone, erbe aromatiche e tartare di fungo secondo Gipponi è un piatto che racchiude la natura umana. “Siamo filtri e parassiti, tutto ciò che incontriamo ci lascia un segno e proviamo ad attaccarci a tutto ciò che desideriamo” o “Dentro al sacchetto: casoncello crudo, ma cotto”, un casoncello, piatto di pasta ripiena tradizionale bresciana, di carne apparentemente crudo, ma in realtà cotto grazie a una particolarissima tecnica, presentato in un sacchettino del pane. Il tema in questo caso è la memoria unita al gioco, la riproposizione di un gesto, quello del bambino che ruba di nascosto un raviolo ancora crudo, che riporta alla spontaneità dell’infanzia. O ancora “Vi rode il fegato (invidia) ” un Fegato di fassona con salsa bordolese, cipolle fritte, noci tostate, estrazione di mela e riduzione di mela alla curcuma che apre la serie dei suoi piatti dedicati ai vizi capitali. E si può proseguire con “L’agnello Nella Bocca Del Lupo”, Agnello marinato nella melissa (la “bocca di lupo”), stufato e accompagnato da una crema di patate arrosto, radici di soncino, spinaci, fondo di agnello e polvere di erbe accompagnato da un consommé di funghi e melissa. Un piatto che parla di quelle attrazioni che nella vita “dovremmo proprio lasciar perdere”.

Per chiudere con “Come una volta” un Tiramisù in teglia che rappresenta un omaggio a Christo, l’artista bulgaro che ha impacchettato monumenti, edifici storici in tutto il mondo, per aumentare il desiderio del bello o “C’è qualcosa che non… quaglia!”, Quaglia al miele, crema di pinoli, caramello e mou alla salvia, crumble al cacao e whiskey e gelée al whiskey, il tutto accompagnato da un brodo di quaglia, miele e spezie.

Tutto questo è Alberto Gipponi, un sociologo ai fornelli che non prepara cibo per i clienti ma piatti narranti che lo pongano in sintonia con i suoi ospiti a discorrere di umanità. Ricordando sempre che “Non esiste un momento giusto per fare le cose, esiste solo il momento in cui il tuo cuore decide di farle”.

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