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Wikileaks, il paradossale legame tra Assange e l’Ecuador

Il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, che ha pubblicato i report segreti del governo statunitense, ha trovato asilo politico nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Vi era rifugiato da giugno, dopo che la Corte Suprema Britannica aveva rifiutato il suo ricorso per l’estradizione in Svezia, e oggi il presidente del Paese sudamericano, Raffael Correa, gli ha concesso lo status di “rifugiato politico”. Correa, che da anni è accusato di limitare la libertà di stampa nel proprio Paese, ha dichiarato che entrambi fanno parte “del club dei perseguitati”. Ma l’unica cosa che li accomuna per davvero è la battaglia contro quello che definiscono l’impero americano.

In una conferenza stampa, il ministro degli Affari Esteri ecuatoriano Ricardo Patiño, ha elencato 11 punti che giustificano la scelta di Quito. “Se fosse estradato negli Usa” – cosa che secondo Assange avverrebbe non appena arrivasse in Svezia in quanto Stoccolma non ha garantito il contrario, “Assange non riceverebbe un processo equo e potrebbe essere giudicato da tribunali speciali o militari. Sarebbe sottoposto a trattamenti crudeli e degradanti e condannato all’ergastolo o alla pena capitale”, ha dichiarato Patiño.

Eppure sembra proprio una mossa per rimarcare la lotta di Correa ai poteri forti degli Stati Uniti con cui i battibecchi diplomatici vanno avanti da oltre tre anni, tra il no ecuatoriano alla costruzione di una base militare americana a Manta nel 2009 e l’espulsione dal Paese dell’ambasciatrice americana proprio dopo alcune rivelazioni rese note da Wikileaks. Assange, alleato di Correa in questa battaglia anti-americana, va protetto.

A Quito però i giornalisti alzano la voce. Infatti Correa da diversi anni sta limitando la libertà di stampa nel suo Paese e la Ong Human Right Watch ha già denunciato la questione. Sembra dunque paradossale che dia asilo ad Assange con la giustificazione che entrambi si sentano “perseguitati”. Fino a poche ore fa, secondo molti, i perseguitati erano i giornalisti che non potevano esprimere opinioni contrarie a quelle del Presidente. Ma sembra che per Correa la differenza di fondo è tra chi critica il suo operato e chi critica l’impero degli Stati Uniti. 

Una cosa ha dato molto fastidio al Paese sudamericano, che Londra minacci di entrare nell’ambasciata per arrestare Assange: “Non siamo una colonia britannica”, ha puntualizzato ferocemente Patiño, che ha già dichiarato che convocherà l’Alba, l’Unasur, e l’Osa (l’Organizzazione degli Stati americani) per discutere quella che per Quito sarebbe una grave violazione della Convenzione di Vienna.

 

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Tags: SveziaUsa