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Venture Capital Italia 2025: più round ma meno investimenti, frenano i grandi deal

Foto di StartupStockPhotos da Pixabay

Il primo semestre 2025 si chiude per il venture capital italiano con un saldo che mostra segnali contrastanti. Le operazioni complessive sono aumentate del 21%, salendo a 153 dai 129 deal dello stesso periodo del 2024, ma l’ammontare investito è sceso del 9%, passando da 488 a 443 milioni di euro per le sole startup italiane, e crollando a 523 milioni complessivi includendo le realtà estere fondate da italiani (erano 758 milioni un anno fa).

A certificare l’andamento è il report semestrale del Venture Capital Monitor – VeM, l’osservatorio curato dall’Università Liuc con Aifi, Intesa Sanpaolo Innovation Center, KPMG, CDP Venture Capital e Iban. L’Italia, spiegano i curatori, resta ancora indietro rispetto ai principali competitor europei. A pesare è soprattutto l’assenza di grandi round, che in mercati più maturi come Germania o Francia rappresentano una leva cruciale di crescita.

L’Italia senza campioni nazionali

“Nel nostro ecosistema mancano ancora le condizioni per favorire la nascita di veri campioni nazionali“, osserva Anna Gervasoni, rettrice della Liuc e direttrice generale di Aifi. “I mega deal sono ancora troppo pochi, e questo limita la capacità del sistema di fare un salto di scala. Bisogna lavorare sugli stadi precedenti per costruire un gruppo di startup in grado, un domani, di attrarre capitali più importanti”.

“Ora la priorità è chiarire le modalità con cui le casse previdenziali potranno investire nel venture capital“, afferma Gervasoni. Un passaggio normativo che, se ben calibrato, potrebbe immettere nuova linfa nel mercato italiano, ancora troppo dipendente da poche fonti di capitale e da logiche di breve termine.

Anche Giovanni Fusaro, project manager del VeM, sottolinea che “in un mercato come quello italiano, non ancora maturo, la presenza o meno di operazioni di grandi dimensioni ha un impatto decisivo”. La rarefazione dei big deal si riflette nel calo del contributo dei fondi esteri, scesi al 27% del totale investito, rispetto al 47% del 2024.

Più round, ma ticket più piccoli

Il dato positivo è l’aumento del numero di operazioni, passate da 129 a 153, con 107 nuovi investimenti (erano 97 nel 2024). I round complessivi sono stati 142, in crescita rispetto ai 117 dell’anno precedente. Tuttavia, l’importo medio per deal è sceso, anche per effetto della prudenza degli investitori. Come spiega Luca Pagetti, head of Finanziamento Crescita Startup di Intesa Sanpaolo Innovation Center, “la fase seed e pre-seed resta particolarmente penalizzata, mentre i capitali si concentrano su soggetti già strutturati”.

La contrazione è ancora più marcata per le startup estere fondate da italiani, in questo caso si passa da 270 a soli 80 milioni di euro, distribuiti su 11 round. I business angel, nel frattempo, hanno investito 22,5 milioni di euro, in linea con l’anno scorso. L’early stage nel suo complesso ha mobilitato 465 milioni su 156 round (erano 511 su 133 nel 2024).

Tecnologia e IA trainano gli investimenti

A livello settoriale, l’Ict continua a dominare la scena del venture capital italiano, rappresentando il 39% delle operazioni. Al suo interno, il 73% degli investimenti ha interessato startup enterprise, il restante 27% i servizi digitali al consumatore. Forte anche la crescita dell’intelligenza artificiale, soprattutto in ambiti verticali come difesa e spazio.

“L’AI sta trainando gli investimenti globali, e l’Europa sta passando da un ruolo di technology taker a quello di technology maker”, osserva Alessandro Soprano, partner di KPMG. Seguono l’healthcare (14%) e i servizi finanziari (9%), entrambi in crescita rispetto al 2024. In forte espansione anche il technology transfer, che nei primi sei mesi del 2025 ha attratto 137 milioni su 33 operazioni.

Lombardia leader, ma servono nuovi poli dell’innovazione

La Lombardia si conferma epicentro del venture capital italiano, con il 48% delle startup finanziate localizzate nella regione, in netto aumento rispetto al 34% registrato nel primo semestre 2024. A grande distanza seguono Lazio ed Emilia-Romagna, ciascuna con una quota pari all’8%.

Questo dato, se da un lato testimonia la forza dell’ecosistema lombardo, dall’altro evidenzia un marcato squilibrio territoriale nella distribuzione degli investimenti. Una concentrazione che rischia di frenare la crescita complessiva del Paese. Per rafforzare la competitività dell’innovazione italiana, diventa cruciale promuovere lo sviluppo di nuovi poli regionali, capaci di attrarre capitali, valorizzare i talenti locali e creare filiere innovative diffuse su tutto il territorio nazionale.

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