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Ue, la direttiva sul fumo tutela la salute ma tocca anche il business

“Sì, ne sono consapevole, il mercato dei prodotti del tabacco potrà registrare un calo ulteriore quando entrerà in vigore la direttiva appena approvata dall’Europarlamento. Ma l’arretramento sarà di dimensioni molto più contenute rispetto agli anni più recenti: da oggi al 2020, prevede la Commissione europea, non andrà oltre il 2%. Un prezzo da pagare sostanzialmente modesto per i produttori di sigarette al quale corrisponderà, per la società europea, il risparmio di moltissime vite umane (il fumo in UE è la causa di 700.000 morti l’anno). E, per restare in ambito economico, determinerà una consistente riduzione della spesa pubblica per la cura del cancro e delle altre gravi malattie procurate dal fumo. Mi pare che per i cittadini europei il bilancio possa considerarsi positivo”.

Questo afferma Linda McAvan, gentile signora inglese da 15 anni parlamentare europea, aderente al gruppo dei socialisti e democratici, e da quasi un decennio componente della commissione parlamentare Ambiente, Salute pubblica e Sicurezza alimentare,  relatrice della direttiva anti-fumo licenziata a larga maggioranza (560 voti a favore, 92 astensioni e 32 contrari) dall’Assemblea di Strasburgo. Un provvedimento che si propone di riformare in chiave restrittiva la normativa sul tabacco in vigore da 12 anni. Ma che, rispetto alla proposta avanzata nel dicembre scorso dalla Commissione UE, ha perso per strada qualche pezzo del rigore originario. Abbandonando l’idea di equiparare le sigarette elettroniche a un farmaco e concedendo però alle multinazionali del tabacco (segnate dai colpi della travolgente avanzata delle e-sigarette) generosi margini di tempo per uniformarsi ad alcuni dei divieti introdotti dalla direttiva.

“Certo, come gran parte dei testi legislativi, anche questa direttiva – riconosce la relatrice – è il risultato di alcuni inevitabili compromessi. Non mi fa certo piacere, per esempio, che l’introduzione di alcuni limiti sia stata così tanto diluita nel tempo”.  Linda McAvan si riferisce ai tre anni di tempo che il  testo approvato ora a Strasburgo concede ai produttori di sigarette per eliminare quelle al mentolo e addirittura agli otto anni (sic!) per rinunciare a immettere sul mercato le slim, quelle più sottili.

“Però il più è stato fatto”, aggiuge l’eurodeputata britannica. “Sin da ora quindi si può affermare che, con le modifiche che con ogni probabilità scaturiranno dai  prossimi incontri a tre della delegazione dell’Europarlamento con quelle della Commissione e del Consiglio, la riforma della direttiva anti-fumo ormai è una realtà. E che il timore di ulteriori conseguenze negative per le imprese e per gli occupati del settore non ha motivo d’essere. Anche perché in questi anni, con la proliferazione a livello nazionale del divieto di fumare (in aereo, in treno, in albergo, al ristorante, in ufficio, a scuola), volenti o nolenti, i fumatori già si sono dovuti adattare alle limitazioni”. E i produttori della filiera del tabacco, con la nascita della sigaretta elettronica e il conseguente avvio della riconversione produttiva verso questa nuova invenzione da parte dei fabbricanti di sigarette tradizionali, hanno preso le loro contromisure. Così tutto lascia prevedere che difficilmente il mercato del settore potrà essere segnato da nuovi sconvolgimenti.

Queste misurate valutazioni dell’eurodeputata britannica – che afferma di non aver mai fumato in vita sua (“mio marito sì, per trent’anni, ora non più”, dice) ma non assume atteggiamenti da intollerante suffragetta anti-fumo – non affievolisce la virulenza delle affermazioni degli esponenti dei due campi: da un canto coloro i quali sostengono la tesi che la sigaretta elettronica è un rimedio efficace per liberarsi gradualmente della dipendenza dal fumo, dall’altro di chi teme che la diffusione di questo nuovo prodotto favorirà soprattutto nei più giovani il passaggio al consumo della sigaretta tradizionale.

Oltre al confronto incentrato sul tema della tutela della salute, sullo sfondo si intravvede, non sufficientemente velato, quello originato dagli enormi interessi economici in gioco in un mercato che in Europa registra scambi per svariati miliardi l’anno. E che rappresenta per l’erario di tutti gli Stati membri dell’UE una ragguardevole fonte di entrate. Una fonte che, con la massiccia riduzione dei consumi di sigarette, si è sensibilmente inaridita: solo in Italia nei primi otto mesi di quest’anno i proventi fiscali legati al tabacco sono calati di 455 milioni rispetto allo stesso periodo nel 2012.

In tale contesto allora – si è sostenuto in un editoriale apparso l’indomani dell’approvazione della direttiva a Strasburgo sul quotidiano economico francese  “Les Echos” – bene ha fatto il Parlamento europeo, rifiutandosi di considere farmaco la sigaretta elettronica, a riportare sul terreno della salute il dibattito su una questione che è fondamentalmente di business. Come dimostra l’intensissima attività di lobbying messa in atto da tutti i soggetti interessati nelle settimane che hanno preceduto il voto dell’Europarlamento. “Un’attività che – ha sottolineato Linda McAvan, che guiderà la delegazione dell’Europarlamento alle imminenti trattative con il Consiglio e con la Commissione – è arrivata ad esprimersi anche con la diffusione per conto di una multinazionale del tabacco di documentazioni che sembravano evocare un’operazione militare”.

Con manovre di questo tipo, dunque, i produttori delle sigarette più economiche ci rimettono a favore del contrabbando e dei produttori di sigarette più costose, che, da questa rimodulazione delle accise, al contrario degli altri, non subiscono gravi conseguenze. Lo Stato infine, che sperava di incassare di più, torna invece di nuovo a fare i conti col mercato illegale che, se non combattuto anche attraverso il non aumento ulteriore delle tasse, e di conseguenza dei prezzi, continuerà a crescere, e le entrate dello Stato a diminuire. Una regolamentazione delle accise dunque, se applicata, sembra poter portare il mercato del tabacco solo ad una situazione di sempre più scarsa concorrenza, dove il competitor attualmente più forte e pericoloso, il contrabbando, ne guadagnerà.

(con il contributo di Giorgia Rossi)

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