Abbassare i tassi di un quarto di punto, nonostante i rischi sui prezzi al rialzo nel mercato americano e un’economia interna ancora solida. Lo ha detto qualche giorno fa Christopher J. Waller, membro della Fed, al Money Marketeers della New York University, un prestigioso forum di finanzieri attivo fin dal 1946.
Siamo nel pieno dello scontro istituzionale tra Casa Bianca e Federal Reserve, con addirittura il presidente Donald Trump che visita la sede della banca centrale per controllare e contestare il computo metrico di alcuni lavori in corso d’opera nel tempio dell’economia mondiale.
Le parole di Waller sono state chiarissime: il Federal Open Market Committee (FOMC) deve ridurre il tasso di riferimento di 25 punti base nella prossima riunione. Per due ordini di motivi: i dazi avranno effetti una tantum sui prezzi e la politica monetaria deve essere neutrale. “I dazi sono aumenti una tantum del livello dei prezzi e non causano inflazione, oltre un’impennata temporanea. La prassi standard nella politica monetaria è quella di “guardare oltre” questi effetti sul livello dei prezzi, finché le aspettative di inflazione restano ancorate”.
Più complesso e probabilmente meno politico il secondo appiglio sulla neutralità in un’ottica di rendere la politica monetaria statunitense più accomodante. “Un insieme di dati indica che la politica monetaria dovrebbe essere vicina alla neutralità, non restrittiva. La crescita reale del prodotto interno lordo è stata intorno all’1% nella prima metà dell’anno e si prevede che resterà debole per il resto del 2025, ben al di sotto della stima mediana dei partecipanti al Fomc. Nel frattempo, il tasso di disoccupazione è al 4,1%, vicino alla stima a lungo termine del Comitato e l’inflazione headline è prossima al nostro obiettivo, leggermente sopra il 2 per cento se escludiamo gli effetti dei dazi, che a mio avviso saranno temporanei. Nel complesso, questi dati implicano che il tasso di riferimento dovrebbe essere intorno alla neutralità, che la mediana dei partecipanti al Fomc stima al 3%, e non al livello attuale, cioè 1,25–1,50 punti percentuali sopra il 3%”.
Waller: non attendere che il mercato del lavoro si deteriori per intervenire
L’economista Waller nel suo speech aggiunge un altro tassello a supporto del taglio dei tassi, ovvero un mercato del lavoro che potrebbe deteriorarsi in un orizzonte di tempo più vicino del previsto. “Sebbene sembri in buona salute in superficie, una volta considerati i dati attesi dalle revisioni, la crescita dell’occupazione nel settore privato è prossima allo stallo e altri dati indicano che i rischi al ribasso per il mercato del lavoro sono aumentati. Non dovremmo attendere che il mercato del lavoro peggiori per intervenire”.
In base ai dati attuali, ha sottolineato il membro del board della Fed, si stima che il Pil reale degli Usa sia cresciuto a un tasso annualizzato di circa l’1 per cento nella prima metà dell’anno, rispetto al 2,8 per cento della seconda metà del 2024. Questo confronto è importante non solo per l’entità del rallentamento, che è considerevole, ma anche perché è ben al di sotto della maggior parte delle stime sul tasso di crescita potenziale dell’economia. “Non mi aspetto una ripresa nella seconda metà dell’anno, la maggior parte delle previsioni suggerisce che la crescita reale del Pil resterà intorno all’1 per cento su base annua. Sebbene la recente riforma fiscale contenga molti elementi che stimoleranno la crescita futura, i loro effetti non si vedranno significativamente quest’anno”.
Sul fronte prezzi al consumo ed effetti probabili dei nuovi dazi all’importazione sul carrello della spesa delle famiglie americane, il governatore Christopher J. Waller sembra depotenziare tutti i rischi al rialzo dei listini che prevedono invece quasi il consenso degli economisti. “Per comprendere come i dazi stiano influenzando i prezzi, non mi sono limitato a seguire i dati mensili del Bureau of Labor Statistics, ma ho anche tenuto d’occhio studi basati su dati ad alta frequenza.
Alcuni ricercatori quest’anno stanno monitorando in tempo reale l’impatto a breve termine dei dazi sui prezzi dei beni, esaminando dati a livello di singolo prodotto provenienti dai negozi online di grandi rivenditori statunitensi. Utilizzando i dati fino a metà luglio, hanno riscontrato che, nel complesso, i prezzi dei beni importati sono aumentati in modo contenuto, mentre i prezzi dei beni domestici sono rimasti pressoché invariati. Considerando la provenienza dei beni, le importazioni dalla Cina hanno registrato gli aumenti di prezzo più persistenti e costanti. Detto ciò, finora i dati indicano aumenti di prezzo molto limitati rispetto all’entità dei dazi applicati”.
Waller: gli aumenti dei dazi non saranno trasferiti sui consumatori
In sostanza per l’influente membro del board Fed, nominato da Donald Trump nel 2020, gli aumenti dovuti ai dazi non saranno trasferiti ai consumatori. Più nello specifico, i consumatori dovranno sostenere solo circa un terzo degli aumenti di prezzo derivanti dai dazi più alti, mentre il resto sarà suddiviso tra i fornitori esteri e gli importatori statunitensi. “Se si dovesse verificare un aumento permanente dei dazi all’importazione pari al 10%, mi aspetto che ciò comporti un incremento dell’inflazione Pce (Personal Consumption Expenditures Price Index) di tre decimi di punto percentuale nel corso di quest’anno, e che tale aumento si dissolva nel corso del prossimo anno circa”.
Basterà attendere qualche mese dopo l’introduzione definitiva dei dazi applicati ai diversi partner commerciali degli Usa per vederne l’effetto sulle tasche degli americani, nel frattempo dentro alla più importante istituzione finanziaria del mondo si sta aprendo un conflitto di poteri durissimo.