Toyota, primo costruttore mondiale di automobili, rallenta bruscamente. Il primo trimestre fiscale (aprile-giugno 2025) si chiude con un crollo dell’utile netto del 36,9%, sceso a 841 miliardi di yen (circa 4,88 miliardi di euro), mentre il fatturato cresce del 3,5% a 12.253 miliardi di yen (oltre 71 miliardi di euro). Un risultato che appare paradossale. Le vendite e la produzione, infatti, sono ai massimi, ma la redditività viene erosa da un nemico ben preciso. Ed ha un solo nome: i dazi Usa.
I dazi mordono: -450 miliardi di yen in tre mesi
Le tariffe aggiuntive volute da Donald Trump, entrate in vigore da aprile, impongono un sovrapprezzo del 25% su auto e componenti giapponesi destinati agli Stati Uniti – oltre al 2,5% già previsto da tempo.
Toyota stima che l’impatto di questi dazi sia stato di 450 miliardi di yen (circa 2,6 miliardi di euro) solo nel primo trimestre. Il colpo più duro è arrivato proprio sul mercato chiave del Nord America, dove l’attività operativa è passata da un utile di 85 miliardi di yen a una perdita di 21 miliardi.
E non è finita. Il costo complessivo stimato dei dazi per l’intero esercizio in corso è 1.400 miliardi di yen: poco meno di 10 miliardi di dollari.
Toyota resta però un gigante inarrestabile sul fronte dei volumi. Nel primo semestre del 2025 ha venduto 5,5 milioni di veicoli, un nuovo record (+7,4%). Crescono anche i veicoli elettrificati, che raggiungono quota 1,26 milioni di unità, il 47,6% delle vendite globali.
Ma i margini soffrono. Tra dazi, cambio sfavorevole (yen rafforzato) e costi di produzione in aumento, la profittabilità è finita sotto pressione. Nonostante gli sforzi sul fronte del taglio costi, il risultato operativo del trimestre è sceso dell’11%.
Toyota taglia le stime: utile annuo giù del 44%
Con questi numeri, la revisione delle previsioni era inevitabile. Toyota ha abbassato la stima di utile netto per l’intero anno fiscale da 3.100 a 2.660 miliardi di yen (da 18 a 15,5 miliardi di euro), in calo del 44% su base annua. Anche l’utile operativo è stato rivisto al ribasso da 3.800 a 3.200 miliardi di yen.
Il margine operativo scende così dal 10% al 6,6%. Un crollo che mette in discussione la solidità della strategia globale del primo costruttore d’auto del mondo.
Toyota rilancia in Giappone, ma punta a produrre negli Usa
Toyota però non demorde e rilancia la costruzione di un nuovo stabilimento in Giappone, il primo dal 2012, con operatività prevista nei primi anni del 2030. Una decisione sorprendente, in controtendenza rispetto alla contrazione strutturale del mercato domestico, penalizzato dall’invecchiamento demografico e dal calo della proprietà privata di auto.
Parallelamente, però, Toyota punta a espandere la produzione locale negli Stati Uniti, sfruttando impianti già attivi o pianificati, per ridurre l’esposizione ai dazi e mantenere la leadership nel mercato più competitivo al mondo.
Tokyo chiede l’accordo sulle tariffe, ma manca la firma
A luglio, Tokyo e Washington hanno trovato un’intesa per ridurre le tariffe sulle auto giapponesi al 15%, rispetto al 27,5% precedente. Ma la data di applicazione non è ancora stata comunicata, e restano incertezze su possibili “tariff stacking“, ovvero sovrapposizione di dazi.
Il negoziatore giapponese Ryosei Akazawa ha incontrato a Washington il Segretario al Commercio Howard Lutnick, chiedendo l’esecuzione immediata dell’accordo e chiarezza sulle altre categorie merceologiche coinvolte. Ma dalla Casa Bianca, nessun documento ufficiale è stato diffuso.
Una lacuna che ha scatenato nuove polemiche in Giappone con il premier Shigeru Ishiba che è stato duramente attaccato in Parlamento per non aver ottenuto garanzie scritte. Alcuni deputati della maggioranza ne chiedono apertamente le dimissioni.
Trump vuole vendere i suoi pick-up a Tokyo (e all’Europa)
Mentre Toyota cerca di difendersi, Trump rilancia all’attacco. Il presidente ha fatto della crociata pro-auto americana uno dei cardini della sua politica commerciale: “Voglio vedere più pick-up americani sulle strade giapponesi ed europee“, ha dichiarato in più occasioni.
Ma il piano si scontra con la realtà. Nel 2024, in Giappone si sono venduti appena 570 Chevrolet, 450 Cadillac e 120 Dodge. Ford ha abbandonato il mercato nipponico nel 2016. Le ragioni? Strade strette, consumi elevati, guida a sinistra e cultura automobilistica diversa.
Lo stesso vale per l’Europa. Le vendite di Ford in Ue sono scese da 1,26 milioni nel 2005 a 426.000 nel 2024. Gm ha lasciato il continente nel 2017, salvo tornare con il Suv elettrico Cadillac Lyriq, che però ha venduto appena 1.514 unità lo scorso anno.
Al di là dei dazi, il vero ostacolo alla penetrazione delle auto americane resta culturale e infrastrutturale. In Giappone, oltre un terzo delle nuove immatricolazioni riguarda le kei car, veicoli compatti e ultra-efficienti. Le vie cittadine non sono pensate per i mastodontici Ford F-150 o Cadillac Escalade.
Lo stesso vale per le metropoli europee, dove trovare parcheggio per un pick-up è spesso un’impresa. E anche quando le regole cambiano, come nel caso dei recenti accordi tariffari, non basta abbassare le barriere per conquistare i consumatori.