X

Tour, il trionfo di Nibali: le pagelle

A Parigi, dove vince per la seconda volta Marcel Kittel,  è il grande trionfo di Vincenzo Nibali, strameritato dopo un Tour perfetto: una corsa dominata e controllata ogni giorno con un’autorevolezza che fa del campione italiano uno dei maggiori protagonisti del ciclismo mondiale di oggi. Commosso sul podio più alto degli Champs Elysées, Nibali si è finalmente reso conto dell’impresa che ha compiuto. Ora il suo palmarès è impressionante: in quattro anni dal 2010 a oggi lo Squalo ha vinto Vuelta, Giro e Tour, salendo sul podio ben otto volte nelle tre più grandi corse a tappe. Un capolavoro da 10 e lode.  Dietro di lui è il vuoto. Ad approfittarne del ritiro di Froome e Contador per riagguantare il podio sono stati soprattutto i francesi con Peraud e Pinot. Troppa la superiorità del campione italiano che ha finito per schiacciare tutti. Pochi si sono salvati meritando la sufficienza. Dato il voto massimo all’imperatore, vediamo le pagelle dei sudditi. Molti bocciati, pochi promossi, tantissimi senza voto per la sequenza di cadute e ritiri: da Froome a Contador, da Cavendish a Andy Schleck. 

 

Promossi

Marcel Kittel: quattro tappe come l’anno scorso: il tedesco della Giant-Shimano, primo per la seconda volta consecutiva sul traguardo finale degli Champs Elysées, si è confermato il re degli sprinter. Dopo aver vinto tre frazioni nei primi quattro giorni di corsa, Kittel sembrava scomparso nel Tour che affrontava le montagne, dai Vosgi ai Pirenei: ma dopo aver lasciato tre tappe per velocisti ai suoi due principali rivali,  Alexander Kristoff (Saint-Etienne e Nimes) e Marcel Greipel (Reims), il biondo tedescone è riemerso sul traguardo più prestigioso, battendo proprio Kristoff (secondo) e Greipel (quarto).

Jean Christophe Peraud e Thibaut Pinot: sono i due transalpini, rispettivamente secondo e terzo in classifica alle spalle di Nibali, che hanno riportato la Francia sul podio di Parigi. Era dal 1984 che un tale evento non capitava. Senza acuti ma nemmeno crolli, Peraud e Pinot hanno atteso che Valverde si cuocesse da solo per sopravanzarlo. Sfruttando il migliore risultato nella crono rispetto al suo connazionale, Peraud a 37 anni ha colto il risultato più importante di una carriera tra i professionisti  cominciata appena quattro anni fa dopo una lunga permanenza tra mountain bike e ciclocross. Un secondo posto guadagnato con il brivido finale di una caduta nella passerella degli Champs Elysées. Ma nessuno voleva infierire, tanto meno Thibaut Pinot, maglia bianca di leader dei giovani, che con i suoi 24 anni ha tutto il tempo di migliorarsi anche in salita dove va già forte.

Rafal Maika: maglia a pois di migliore scalatore del Tour e due vittorie di prestigio sulle Alpi e sui Pirenei. Chiamato all’ultimo momento per sostituire nella Tinkoff Saxo Roman Kreuziger, che alla vigilia del Tour aveva rivelato valori fuori norma nel suo passaporto biologico, il polacco, reduce da un buon Giro, aveva accettato di malavoglia, rinunciando in pratica a curare la classifica. Ma dalla vittoria solitaria di Risoul è cominciato per lui un altro Tour culminato con la conquista della maglia a pois e con il capolavoro-bis  a Saint-Lary-Pla d’Adet. Con Michael Rogers, vittorioso a Bagnères-de-Luchon, ha reso positivo un Tour che dopo il ritiro di Contador prometteva assai poco alla squadra del magnate russo, Oleg Tinkoff, e di Bjarne Rijs. 

Tony Martin: lo si conosceva come il più forte cronoman in circolazione, non per nulla è il campione del mondo della specialità da tre anni, ma quello che il tedesco ha messo in mostra in questo Tour va oltre al previsto successo nell’unica gara contro il tempo da Bergerac a Perigueux: il trionfo a Mulhouse dopo una fuga solitaria per tantissimi km su un tracciato anche di montagna è stata la sua perla inattesa. Fuori classifica, Martin si è spesso sacrificato anche per aiutare un Kwiatkowski sotto le attese. L’Omega Quick Step deve a lui (e al bravo Matteo Trentin, vincitore a Nancy) se ha salvato il Tour stravolto fin dall’inizio con la sfortunata caduta di Mark Cavendish, costretto al ritiro al termine della prima tappa.  

Bocciati

Alejandro Valverde: il quarto posto al Tour non inganni. Per il capitano della Movistar l’ultima settimana di corsa è stata un disastro, cominciato sui Pirenei e completato con la modestissima prestazione nella crono di Bergerac, che gli è costato l’estromissione dal podio. Che era l’obiettivo minimo per Valverde soprattutto dopo l’uscita di scena di Froome e Contador, anche il quarto posto resta il suo migliore risultato ottenuto nell’arco dei suoi sette Tour disputati. Nessuna vittoria di tappa, quasi mai protagonista di un’azione se non di quella molto velleitaria nella discesa del Tourmalet. Di fatto ha ceduto alla fatica giorno dopo giorno: a 34 anni anche per quel che da dilettante era chiamato “L’Embatido“ è cominciato un tramonto difficilmente arrestabile, con alle spalle una carriera imperlata di un solo grande successo (la Vuelta del 2006) e ricca solo di tantissimi piazzamenti, ma anche macchiata dal coinvolgimento nell’Operacion Puerto.

Peter Sagan: la maglia verde per il terzo anno consecutivo lo promuoverebbe di diritto ma la mancanza di una vittoria di tappa lo condanna all’insufficienza, un record scomodo che condivide con Eric Zabel per chi vince la classifica a punti. Ci ha provato ogni volta lo slovacco ma non è mai andato oltre a tanti secondi posti.

Michal Kwiatkowsky: per il 24enne polacco un Tour finito decisamente al di sotto di tutte le aspettative, un autentico crollo nelle ultime due tappe pirenaiche – accumulando quasi un’ora di ritardo –  l’ha fatto precipitare nella classifica generale dopo aver illuso nella prima parte di poter aspirare anche alla top ten. Nella frazione della Planche des Belles Filles, quella in cui cadde e si ritirò Contador, è stato a lungo maglia gialla virtuale prima che si scatenasse Nibali che quel giorno riconquistò il simbolo del primato prestato per 24 ore a Tony Gallopin.

Joaquim Rodriguez: si sapeva che avrebbe corso il Tour non per la classifica ma per fare la gamba in vista della Vuelta, dopo le disavventure primaverili e il ritiro prematuro al Giro per una brutta caduta. Ma vederlo nelle retrovie della corsa, anche sulle salite più impegnative, superato da corridori che grimpeur non sono, è stata un’immagine che fa male ricordando il Purito dallo scatto esplosivo. Fallita anche la difesa della maglia pois conquistata tra Vosgi e Alpi, Rodriguez spera di rifarsi alla Vuelta ma in Spagna lo aspetta un Froome che ha fame di rivincite dopo il ritiro al Tour, per non parlare di Nairo Quintana che tornerà alle grandi corse dopo il successo del Giro.

Richie Porte: in partenza era la seconda forza del Team Sky, anche lui al servizio del favoritissimo Chris Froome. Poi si sa come è andata. Una doppia caduta nella tappa del pavé ha messo fuori gioco il marziano del Tour 2013. Porte di fatto diventava l’uomo di punta, per vincere il Tour, dello squadrone britannico. Mai protagonista, fino a Saint-Etienne l’australiano era comunque ancora secondo a poco più di due minuti da Nibali. Con le Alpi e i Pirenei da scalare e la crono da Bergerac a Perigueux da disputare Porte veniva indicato come il più serio avversario di Nibali, più dello stesso Valverde. Ma già sull’ascesa di Chamrousse Porte andava in crisi scivolando indietro nella generale. E da quel giorno è diventato una comparsa del Tour fuori dai giochi, incolore e deludente.

Rui Costa: dopo aver centrato due tappe l’anno scorso,  si è presentato in questo  Tour in maglia iridata, forte anche della terza vittoria consecutiva al Giro della Svizzera: tutto lasciava presagire di un Rui Costa finalmente con le carte in regola per stare tra gli uomini di classifica. Invece è stata una delle grandi delusioni di questo Tour che l’ha visto in corsa fino a Nimes senza mai entrare nel vivo della corsa. Nessuna vittoria di tappa, fisicamente provato da qualche caduta, Rui Costa si ritirava prima che il Tour ripartisse per i Pirenei quando era 13esimo nella genrale a quasi 13 minuti da Nibali.    

Related Post
Categories: Sport