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Su Gaza l’insostenibile silenzio dell’Europa. Ma cosa avrebbero fatto Craxi e Andreotti?

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La pace impossibile per Gaza sta interrogando sempre di più le coscienze di larghe fette dell’opinione pubblica israeliana. La stessa senatrice Liliana Segre ha confessato di provare “repulsione” per la politica di Netanyahu, il cui Governo ha deciso di invadere tutta la striscia di Gaza in una sorta di “soluzione finale” che ha già lasciato sul terreno circa 50mila morti, un terzo dei quali minori.

Un’iniziativa per Gaza nel silenzio europeo

Nell’assordante silenzio delle cancellerie occidentali e delle istituzioni europee, un gruppo di accademici e intellettuali (tra cui Tomaso Montanari e Paola Caridi) ha lanciato un’iniziativa per il 9 maggio dal titolo provocatorio “Ultimo giorno di Gaza”. Una data che coincide (non a caso) con la Festa dell’Europa e con la celebrazione degli 80 anni della vittoria dell’ex Urss contro i nazisti. Silenzio e sottovalutazione della crisi che riguarda anche il nostro Paese con il Governo Meloni schierato acriticamente con Israele nel liquidare la questione di Gaza e i suoi morti come “emergenza umanitaria” causata unicamente dal terrorismo di Hamas.

Craxi e Andreotti: cosa avrebbero fatto oggi?

Ma cosa avrebbero fatto, e soprattutto come si sarebbero comportati, Bettino Craxi e Giulio Andreotti se fossero stati ancora vivi e in sella al Governo in una situazione simile a quella attuale? Se ne è discusso lunedì scorso al SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale), in un dibattito moderato dal presidente del SIOI, ambasciatore Riccardo Sessa, dal titolo “Medio Oriente ieri, oggi e domani”, che è stata anche l’occasione per la presentazione dell’ultimo libro edito da Mazzanti Editore dell’ex consigliere diplomatico di Craxi, Antonio Badini, e del giornalista Gerardo Pelosi, dal titolo “Da Sigonella a Gaza, quando Craxi lottava per la pace”. Al dibattito hanno preso parte anche l’ambasciatore Giovanni Brauzzi, già capomissione ad Amman e Luca Micheletta, ordinario di storia delle relazioni internazionali.

La lezione dell’“equivicinanza”

Sia Sessa che Badini hanno sottolineato come la politica dell’equidistanza (meglio, dell’“equivicinanza”) con Israele e l’Autorità Palestinese fosse riuscita nel passato a rimettere in moto un difficile processo di pace, usando tutti gli strumenti del “soft power” offerti dalla diplomazia e dalla politica, riconoscendo torti e ragioni di entrambe le parti. Ma soprattutto, hanno spiegato Sessa e Badini, non si sarebbe mai arrivati a una situazione così drammatica, perché la diplomazia preventiva avrebbe agito alle radici della crisi, impedendo che si arrivasse all’attacco di Hamas e alla sproporzionata risposta dell’esercito israeliano.

L’Italia che osava nel Mediterraneo

L’Italia della metà degli anni ‘80 aveva in realtà la piena consapevolezza del ruolo di primo piano che il nostro Paese poteva giocare nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, senza paura di scontrarsi, ove necessario, con il principale alleato americano, come avvenne nella vicenda del dirottamento dell’Achille Lauro e di Sigonella nell’ottobre ’85, e poi durante la guerra della Sirte nell’‘86, quando Craxi avvertì in anticipo Gheddafi dell’imminente attacco americano, salvandogli così la vita.

L’allarme inascoltato su Hamas

Badini ha anche ricordato che fu proprio Craxi, nell’‘87, a mettere in guardia Shimon Peres sui primi passi che stava compiendo la nascente Hamas, non ancora partito politico e formazione militare, per fare proseliti tra i palestinesi filoislamisti anche nei territori occupati. “Ma Peres – ricorda ora Badini – rassicurò Craxi dicendo: Hamas ci serve per indebolire l’Olp di Arafat”. Purtroppo, i risultati di quella sottovalutazione sono oggi sotto gli occhi di tutto il mondo.

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