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Sos energia, il caro bollette piega l’industria Made in Italy

Open Gate Italia

Si sgonfiano i prezzi del gas naturale europeo. Ma, vista dal mondo industriale italiano, l’emergenza energia resta. Anzi, a causa del caro bollette, buona parte della manifattura italiana minaccia di non riaprire i battenti dopo Capodanno. Un clamoroso autogol – visto che i quaderni degli ordinativi, una volta tanto, sono pieni – che il governo cercherà di scongiurare in extremis, anche sotto la pressione di Matteo Salvini, lesto ieri a correre alla fonderia di Torbole, nel cuore del bresciano, per manifestare la sua solidarietà ai rappresentanti di buona parte dell’industria di trasformazione di casa nostra, riuniti per chiedere un immediato sostegno a fronte dell’impennata del costo dell’elettricità (+280% da gennaio, +650% dall’inizio del 2020) e, soprattutto, delle nuove, imminenti tariffe di luce e gas per il prossimo trimestre: salvo interventi governativi, sembra scontata una stangata tra il 40 (per il gas)ed il 50% (elettricità) come anticipato dal presidente dell’Arera (l’Autorità di regolazione per l’Energia reti e Ambiente)  Stefano Besseghini a causa dell’impennata del costo delle materie prime.

Di fonte a questi numeri è una ben magra soddisfazione il calo delle quotazioni in Europa del gas naturale, scivolato stamane sotto i 100 euro MWh contro il picco di 187 euro per megawattora di una settimana fa (+670% in un anno). In parte perché il calo è legato al fatto che molti carichi di Gnl (gas naturale liquefatto) hanno deviato le loro rotte e dall’Asia o dagli Stati Uniti e si stanno dirigendo verso il vecchio continente. Inoltre, a incidere sulle quotazioni anche le temperature miti di questi giorni in Europa continentale. Le piogge permettono alle centrali idroelettriche di funzionare a pieno regime ed è in corso una ripresa della generazione eolica in Germania. Ma la situazione resta ad alto rischio. Un po’ perché il prezzo del gas naturale sta salendo anche negli Stati Uniti perché in alcune aree del Paese l’inverno è molto rigido. Al confine con il Canada centro-occidentale si sono toccate temperature record per il periodo nella stazione di Rabbittkettle, ben -51,1°C di temperatura minima ma anche in California dove nevica abbondantemente fino a bassa quota.

  Molto perché restano più forti che mai le cause geopolitiche della crisi così come pochi giorni fa le ha elencate Davide Tabarelli, direttore di Nomisma energia. In sintesi: “Gli stoccaggi sono bassi, perché la Russia consegna meno gas all’Europa. Un po’ perché vuole spingere sul gasdotto Nord Stream, un po’ perché ha problemi di trasporto, dato che la sua rete è molto vecchia. Poi c’è stata la ripresa produttiva dopo la pandemia; la Cina ha aumentato la domanda di gas per uscire dal carbone; le compagnie energetiche investono di più sulle rinnovabili e meno sulle fossili, ma la domanda di gas non cala; l’eolico e l’idroelettrico in alcuni paesi hanno ridotto la produzione per motivi di meteo”.

Il nodo, insomma, è strutturale. Certo, la pressione sui prezzi potrebbe attenuarsi nei prossimi mesi, a mano a mano che verranno ricostituite le scorte e, passato il freddo, si ridurrà la pressione della domanda. Ma, al di là della contingenza, affiorano i problemi di sempre. L’Italia, ad esempio, ormai dipende al 90% dall’estero per il fabbisogno complessivo di gas naturale. Ogni anno il Bel Paese brucia 70-75 milioni di metri cubi. Nei primi nove mesi del 2021 abbiamo usato 53,2 miliardi di mc (+6,8%) di cui solo 2,48 (-20,2%) estratti dai giacimenti in pianura padana, dall’Adriatico e dalla Sicilia, a fronte delle importazioni dalla Russia, dall’Algeria e via nave dal rigassificatore di Rovigo e dal nuovo metanodotto Tap.  

Intanto, con l’eccezione di Argo Cassiopea nel canale di Sicilia per cui l’Eni ha avuto il via libera per i lavori e che per un decennio darà un miliardo di metri cubi di gas, diversi giacimenti sono bloccati da anni per norme, ricorsi, divieti e moratorie.   Senza considerare i 30 miliardi di metri cubi sotto i fondali dell’Alto Adriatico. L’attuale situazione è, dunque anche il prezzo per aver fatto certe scelte, come ha detto il ministro Roberto Cingolani. “Abbiamo deciso che era meglio comprare all’estero il gas invece di utilizzare il nostro”. “Nei prossimi 12-18 mesi dobbiamo muoverci anche in altre direzioni. Come quella di aumentare la produzione di gas nazionale con giacimenti già aperti”. Si potrebbero “magari raddoppiare i 4 miliardi di metri cubi attuali”, spiega.

Cosa possibile secondo uno studio dell’Assorisorse: i soli giacimenti di gas dell’Emilia Romagna in terraferma e nell’Adriatico possono raddoppiare la produzione da 800 milioni a 1,6 miliardi di metri cubi con un investimento di 322 milioni di euro. Per estrarre circa 10 miliardi di metri cubi l’anno per dieci anni in Italia servirebbero un paio di miliardi. Ma bisogna fare i conti con il Pitesai, che sta per “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee” introdotto nel 2018 dal governo Conte che finora, in realtà, è stato soprattutto uno strumento efficace per impedire lo sfruttamento dei giacimenti nazionali. Ma finché non sarà emanato il Pitesai, attualmente all’esame della Conferenza unificata, l’incertezza blocca gli investimenti.

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Categories: Economia e Imprese