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Samsung, addio Cina: produrrà tutto in Vietnam

FIRSTonline

Samsung lascia definitivamente la Cina. Il gigante coreano, che ha recentemente perso la leadership mondiale della vendita di smartphone proprio a vantaggio della cinese Huawei, ha annunciato che non produrrà più nulla in Cina. Il motivo: le tensioni geopolitiche, la guerra dei dazi e anche il costo del lavoro, che da anni è inferiore in Vietnam, dove Samsung (ma non solo, il Sud-Est asiatico è un trend) ha già spostato da qualche anno la produzione degli smartphone. Il gruppo coreano produceva però ancora pc e portatili nello stabilimento di Suzhou, inaugurato nel 2002, un anno dopo l’ingresso della Cina nel Wto (World Trade Organization).

La fabbrica, che ancora oggi impiega quasi 2.000 dipendenti (un terzo del picco di 6.000, raggiunto nel 2012) sarà definitivamente chiusa entro fine agosto. Una decisione del resto inevitabile, visto che la sua redditività era precipitata negli anni: otto anni fa generava 4,3 miliardi di export di materiale informatico, nel 2018 solo 1 miliardo. Quella di Suzhou era una delle tante fabbriche di Samsung in territorio cinese: le altre, tra cui quelle di Shenzhen, Tianjin et Huizhou, erano già state chiuse tra il 2018 e il 2019. Quello di Samsung non è l’unico caso di addio alla Cina, in seguito alle nuove tariffe commerciali, all’escalation delle tensioni con l’Occidente e soprattutto alla nascita di nuovi “eldorado” del costo del lavoro, come appunto il Vietnam.

In alcuni casi, come quello delle aziende giapponesi, è stato lo stesso governo a favorire il reshoring, attraverso aiuti finanziari per i gruppi che decidessero di tornare a produrre in patria. E’ già stato il caso di 87 aziende nipponiche, che hanno riportato la produzione o nella terra d’origine oppure nel Sud-Est, dove Tokyo e Pechino si giocano una sfida di influenza geopolitica. Che ultimamente sembra volgere a favore del Giappone.

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