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Salario minimo: la classifica dei Paesi europei

Foto di Tumisu da Pixabay.

In Italia se ne parla poco, ma il salario minimo è realtà in ben 21 dei 27 Stati dell’Unione europea. Fuori dal club, insieme al nostro Paese, ci sono soltanto Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia. Attenzione però a considerare il salario minimo come una realtà monolitica nel resto d’Europa, perché non è così. Anzi, a ben vedere – come dimostra un recente rapporto di Eurostat – i livelli salariali garantiti sono tutt’altro che omogenei.

Partendo dal fondo della classifica – che prende a riferimenti i valori del primo gennaio 2021 – i Paesi europei in cui il salario minimo non arriva a 700 euro sono ben 10:

  • Bulgaria (332 euro);
  • Ungheria (442);
  • Romania (458);
  • Lettonia (500);
  • Croazia (563);
  • Repubblica Ceca (579);
  • Estonia (584);
  • Polonia (614);
  • Slovacchia (623);
  • Lituania (642).

La fascia mediana comprende invece cinque Paesi – collocati principalmente nell’area meridionale dell’Unione – dove il salario minimo è compreso fra 700 e 1.100 euro al mese:

  • Grecia (758 euro);
  • Portogallo (776);
  • Malta (785);
  • Slovenia (1.024);
  • Spagna (1.108).

I sei Stati rimanenti rientrano tutti nel Nord Europa. Si tratta di alcuni dei Paesi Ue dove il Pil pro-capite è più alto e il costo della vita più salato. Proprio l’incrocio di questi due fattori spiega come sia possibile trovare dei salari minimi che in Italia sembrerebbero in linea con la media delle retribuzioni, se non addirittura superiori. Ecco la parte alta della classifica:

  • Francia (1.555);
  • Germania (1.614);
  • Belgio (1.626);
  • Olanda (1.685);
  • Irlanda (1.724);
  • Lussemburgo (2.202).

A conti fatti, quindi, la differenza fra il salario minimo registrato ai due estremi della classifica (Lussemburgo e Bulgaria) è pari 1.870 euro.  

COME FUNZIONA IN ITALIA

In Italia si parla da anni della possibilità d’introdurre un salario minimo, ma il progetto è rimasto finora lettera morta. Peraltro, la riforma è contrastata anche dai sindacati, che con l’introduzione di questo parametro perderebbero potere di contrattazione. Nel nostro Paese, infatti, i livelli di retribuzione minima sono stabiliti nei contratti di categoria negoziati dai rappresentanti dei lavoratori con i datori di lavoro. E le differenze, a seconda del settore, sono molto ampie: come rileva l’Istat in una memoria depositata il mese scorso in commissione Lavoro al Senato, “nel complesso dell’economia, la retribuzione oraria lorda varia da un minimo di 6,15 euro degli operai agricoli con la qualifica più bassa ad un massimo di 56,85 euro per le figure apicali del settore del credito. Il valore medio è pari a 14,00 euro e quello mediano è 12,57 euro”.

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Categories: Lavoro

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