X

Roma, alla Galleria Borghese una mostra di opere dell’artista Wangechi Mutu in un intreccio di storie, miti, ricordi e poesie

Wangechi Mutu

L’intervento dell’artista americana-keniota Wangechi Mutu introduce un vocabolario inedito nell’architettura storica e simbolica della Galleria Borghese. Attraverso la scultura, l’installazione e l’immagine in movimento, l’artista propone un approccio innovativo allo spazio museale.

Il titolo della mostra “Poemi della terra nera” evoca il profondo significato della pratica duplice di Mutuintrecciata tra poesia e mitologie, ma profondamente ancorata ai contesti sociali e materiali contemporanei. La terra nera, ricca e malleabile sotto la pioggia, quasi come argilla, appare in molteplici geografie, inclusi i Giardini Segreti della Galleria Borghese, che offrono un punto di risonanza con l’immaginario dell’artista.

Le sezioni della mostra

La mostra si articola in due sezioni complementari. Presenze eteree che si librano in aria, volano leggere, oppure sono poggiate su piani orizzontali. Opere come Ndege, Suspended Playtime, First Weeping Head e Second Weeping Head sfidano la logica gravitazionale, pendendo delicatamente dai soffitti e incorniciando nuove vedute.

I materiali – bronzo, legno, piume, terra, carta, acqua e cera – sono cruciali per l’etica della mostra

Il bronzo in particolare, si spoglia del suo significato più tradizionale per diventare veicolo di memoria ancestrale, di recupero e di molteplicità. L’artista ribadisce la poetica della trasformazione, del divenire, anticipando così un tema che sarà centrale nel programma espositivo del museo del 2026: le metamorfosi. All’esterno, sulla facciata del museo e nei Giardini Segreti si dispiegano: The Seated I e The Seated IV, due moderne cariatidi realizzate per la facciata del Metropolitan Museum di New York nel 2019 nell’ambito della Facade Commission e che testimoniano un importante momento di confronto dell’artista con un’istituzione pubblica; Nyoka, Heads in a Basket, Musa e Water Woman, che reinterpretano i vasi archetipici come spazi di trasformazione. Con The End of eating Everything, Mutu espande il proprio linguaggio artistico attraverso il video, aggiungendo una dimensione temporale e immersiva alla sua continua esplorazione del mito. Anche il suono, vero o suggerito, e la sua traccia giocano un ruolo sottile ma pervadente nella mostra: dal ritmo sospeso di Poems for my great Grandmother I al testo appoggiato di Grains of War, tratto dalla canzone War di Bob Marley ispirata ad una figura chiave dei movimenti anticoloniali, l’ultimo imperatore d’Etiopia Haile Selassie (1930-1974), il cui discorso del 1963 alle Nazioni Unite chiedeva la fine dell’ingiustizia razziale. Il linguaggio diventa scultoreo e il suono una forma di memoria.

La mostra prosegue all’American Academy in Rome, dove è esposta Shavasana I

La figura in bronzo, sdraiata e coperta da una stuoia di paglia intrecciata, è intitolata alla posa yoga “shavasana” e si ispira a un reale fatto di cronaca. La collocazione, nell’atrio dell’Accademia, alla presenza di iscrizioni funerarie romane, fa da cassa di risonanza al concetto di morte, abbandono e dignità del vivere. Con questa esposizione, la Galleria Borghese continua il suo impegno nell’arte contemporanea, proponendo un nuovo modo di vedere lo spazio, rinnovato di connessioni e prospettive attraverso la visione di un’importante artista internazionale.

Related Post
Categories: Arte