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Più lavoro in Italia ma di che tipo e per chi?

Da inizio 2014 a metà 2016 l’occupazione ha puntato verso l’alto, con un incremento che varia tra +2,3% e +2,9% a seconda dell’indicatore usato per misurarla. La crescita delle persone occupate (+651mila) è stata trainata dalla componente dipendente. L’84% dell’aumento dell’occupazione dipendente registrato nel corso del 2015 (+288mila unità) è avvenuto con contratti a tempo indeterminato; degli aggiuntivi 210mila posti di lavoro dipendente guadagnati nei primi 9 mesi del 2016, quasi i due terzi sono a tempo indeterminato.

L’aumento dell’occupazione è quasi interamente avvenuto nei servizi privati mentre la massiccia perdita nell’industria in senso stretto non è stata recuperata (ancora 715mila occupati in meno nel terzo trimestre 2016 rispetto a fine 2007). Si è verificata un’espansione delle opportunità lavorative anche per i giovani: il tasso di occupazione dei 25-29enni è aumentato di 3,8 punti percentuali da fine 2013 a metà 2016, quello dei 15-24enni di 1,7 punti.

Le informazioni disponibili per la seconda parte del 2016 indicano che la risalita dell’occupazione ha subito un arresto, anche quella dipendente nell’ultimo quarto dell’anno. Quanto di questi andamenti è attribuibile al Jobs Act e/o ai temporanei esoneri contributivi? È troppo presto per dare una risposta conclusiva. Il recente stallo dell’occupazione è almeno in parte spiegato dal processo di riallungamento degli orari che, finché non sarà esaurito, smorzerà la creazione di nuovi posti di lavoro.

Lavoro su fino a metà 2016, non solo le ore ma anche le teste

Da inizio 2014 a metà 2016 l’occupazione ha puntato verso l’alto indipendentemente dall’indicatore usato per misurarla: sono aumentati non solo le ULA (+2,4% dall’ultimo quarto 2013 all’estate 2016) e il monte ore effettivamente lavorate (+2,9%), ma anche, contemporaneamente e con intensità simile, il numero di persone occupate (+2,3%), contrariamente a quanto ci si sarebbe atteso (Grafico A). Nelle due recessioni (2007-2009 e 2011-2013), infatti, le imprese hanno tagliato gli organici, ma anche diminuito le ore lavorate, decurtando gli straordinari, utilizzando il part-time o altre forme di riduzione temporanea dell’orario di lavoro e ricorrendo alla Cassa integrazione; ciò ha fatto sì che le ULA e il monte ore lavorate calassero in misura molto maggiore delle persone occupate.

Simmetricamente, come accaduto in passato, l’ampio bacino di sottoutilizzo degli occupati (in termini di ore lavorate procapite) si sarebbe prosciugato all’aumento dell’attività e ciò avrebbe potuto rallentare l’aumento delle persone occupate.

CIG quasi sui livelli pre-crisi ma non ancora l’orario 

In effetti il ricorso alla CIG si è progressivamente sgonfiato da autunno 2012 e le unità di lavoro a tempo pieno equivalenti complessivamente coinvolte sono scese da quasi 400mila a meno di 140mila. Ciononostante, le ore lavorate procapite sono ancora molto basse rispetto ai valori pre-crisi: nel terzo trimestre 2016 in Italia ogni occupato ha lavorato mediamente 1 ora e mezza in meno a settimana rispetto a fine 2007, da un punto di minimo di circa due ore in meno toccato a inizio 2013 e mantenuto fino a inizio 2015.

La diminuzione dell’orario di lavoro procapite era già in atto prima della crisi (-1 ora a settimana da inizio 2000 a fine 2007), quindi parte del calo osservato negli ultimi anni è strutturale, legato all’aumento dell’occupazione femminile e nei servizi, con maggior diffusione del part-time. Tuttavia, dai dati dell’indagine ISTAT sulle Forze Lavoro, si osserva che l’aumento della quota di occupati con contratti part-time, dal 14,0% di fine 2007 al 18,6% nel terzo trimestre 2016, è interamente ascrivibile all’espansione della componente involontaria (che da sola è passata dal 5,5% all’11,4% dell’occupazione totale). Al consolidarsi del recupero dell’attività il part-time involontario diminuirà, comportando un allungamento dell’orario procapite di lavoro che smorzerà la creazione di nuovi posti.

Occupazione finora trainata dai contratti a tempo indeterminato…

Scomponendo la crescita dell’occupazione per tipologia contrattuale, si osserva che nel 2014 le assunzioni sono ripartite via aumento dei contratti a tempo determinato. Ciò è in linea con la maggiore reattività della componente temporanea dell’occupazione all’andamento dell’attività economica – maggiore reattività che ha caratterizzato il mercato del lavoro italiano, almeno fino ai più recenti interventi normativi. Con l’istituzione transitoria della decontribuzione sulle assunzioni a tempo indeterminato (da gennaio 2015) e l’introduzione del contratto a tutele crescenti (da marzo 2015) si è osservato un cospicuo aumento dell’occupazione a tempo indeterminato, che ha trainato la crescita dell’occupazione totale, sostituendosi in larga misura a quella a termine e compensando gli ulteriori cali di quella indipendente (quasi 500mila unità perse da fine 2007, di cui 85mila da inizio 2014). Infatti, l’84% dell’aumento dell’occupazione dipendente registrato nel corso del 2015 (+288mila unità a dicembre su dicembre 2014) è avvenuto con contratti a tempo indeterminato; degli aggiuntivi 210mila posti di lavoro dipendente guadagnati nei primi 9 mesi del 2016, quasi i due terzi sono a tempo indeterminato (nel 2014 la quota era un quarto).

… e in risalita nei servizi privati

L’aumento dell’occupazione registrato dal 2014 è quasi interamente avvenuto nei servizi privati (+626mila unità al terzo trimestre 2016 rispetto al quarto 2013, +616mila rispetto a fine 2007). Da fine 2015 si sono osservati lievi guadagni occupazionali anche nell’industria in senso stretto (+42mila unità), che però hanno appena scalfito la massiccia perdita registrata negli anni precedenti (ancora 715mila
occupati in meno). Nelle costruzioni non si è invece arrestato il processo di espulsione di manodopera (506mila unità complessivamente perse).

Cambio di rotta per le opportunità lavorative dei giovani

Considerando l’andamento dell’occupazione per classi di età, si osserva che la ripresa del mercato del lavoro dal 2014 ha interessato anche i giovani che, in Italia come in altri paesi, sono stati i più colpiti dalla crisi. La quota di occupati tra i 25-29enni è scesa di 13,9 punti percentuali da fine 2007 a fine 2013; quella tra i 15-24enni di 8,1 punti. Il tasso di occupazione dei 55-64enni nello stesso periodo è, al contrario, salito di 10,4 punti e di altri 6,5 negli ultimi tre anni, proseguendo una tendenza già in atto dai primi anni Duemila e spiegata da modifiche comportamentali e dalle riforme del sistema previdenziale. Con la ripartenza della domanda di lavoro, il tasso di occupazione dei 25-29enni è aumentato di 3,8 punti percentuali da fine 2013 a metà 2016, quello dei 15-24enni di 1,7 punti (Grafico B). Ciò è avvenuto anche grazie all’incentivo dell’abbattimento contributivo: dei nuovi rapporti di lavoro attivati via contratto a tempo indeterminato che hanno coinvolto gli under 30, circa i due terzi hanno usufruito della minore contribuzione sia nel 2015 sia nei primi 9 mesi del 2016, contro un’incidenza media delle assunzioni esonerate pari rispettivamente al 57,7% e al 48,2% (Tabella A).

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