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Olanda al voto tra post-verità ed euroscetticismo

Nell’era della post-verità o, per meglio dire, delle grandi menzogne, i principi fondanti dell’Unione europea, Ue quali democrazia, solidarietà ed integrazione non possono essere dati per scontati.

In effetti, mentre tali ideali vengono spesso strumentalizzati in chiave anti-europea, un uso sempre più esteso di false o faziose notizie, divulgate tramite la rete ma non solo, sembra essere lo specchio di una sempre più diffusa cultura politica basata su emozioni e paure, invece che su fatti e policy.

Questo trend risulta abbastanza allarmante, soprattutto a fronte dei numerosi appuntamenti elettorali che l’Ue dovrà affrontare nel corso del 2017.

1) Uno scontro a due tra Wilders e Rutte

Il 15 marzo, dieci giorni prima del 60° Anniversario della Firma del Trattato di Roma, gli olandesi saranno chiamati ad eleggere un nuovo Parlamento. L’Olanda è un Paese economicamente forte, che solo nel 2016 ha visto una crescita del Pil pari al 2,1% con una disoccupazione del 6%. Nonostante questo, rischia di divenire teatro di uno scontro politico che vedrà uno dei partiti anti-europei più controversi d’Europa, il partito della Libertà (PVV) guidato da Geert Wilders, ottenere un numero elevato di preferenze.

In effetti, il partito di Wilders, di orientamento nazionalista, euroscettico e xenofobo, ha acquisito negli ultimi mesi sempre maggior consensi, e sembra possa riuscire non solo ad imporsi su altre forze politiche, ma anche a spuntarla contro il suo diretto rivale ed ex alleato, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD) guidato dall’attuale premier Mark Rutte.

Le elezioni si presentano come una sfida diretta tra i due leader, mentre più distanti appaiono il seppure in crescita CDA (Appello Cristiano Democratico), il progressista D66 (Democratici 66) ed il probabile grande sconfitto di queste elezioni: il PvdA (Partito Laburista).

Il PvdA, il partito di sinistra maggiormente rappresentativo in Olanda, per anni protagonista della scena politica nazionale, questa volta potrebbe andare incontro ad una pesante sconfitta: alcune previsioni di voto lo piazzano al 7%, con un 20% di consensi in meno rispetto alle elezioni del 2012.

2) Ue e migranti cavalli di battaglia del PVV

Certamente, il successo della campagna elettorale del PVV è dovuto all’attenzione rivolta alla crescente disaffezione dei cittadini olandesi verso l’Ue e ad un’esagerata amplificazione della crisi migratoria. Soprattutto quest’ultimo tema risulta essere elettoralmente vincente. Basti pensare che durante il picco dei flussi migratori verso il continente europeo, avvenuti principalmente durante la metà del 2015, la distanza fra Wilders e Rutte era aumentata di ben dieci punti, con il primo in netto vantaggio sul secondo.

Nonostante l’attenzione posta su questo fenomeno, nell’ultimo anno i migranti che hanno presentato domanda d’asilo nel Paese sono stati 33 mila tra siriani, eritrei, afghani ed iracheni. Queste sono cifre irrisorie, se si pensa che un Paese come la Svezia, con una popolazione di nove milioni di abitanti – circa la metà di quella olandese -, ne ha ricevute oltre cento mila nello stesso arco di tempo.

Collegando il problema della migrazione con il terrorismo e il radicalismo islamico, Wilders non solo propone di chiudere i centri di accoglienza per i richiedenti asilo, ma sta conducendo una campagna elettorale marcatamente anti-Islam (stop Islam), proponendo di de-islamizzare la società olandese chiudendo le moschee, vietando il possesso del Corano – che è paragonato al Mein Kampf di Hitler – ed impedendo alle donne musulmane di indossare il velo.

3) Spiragli di speranze per i filo-europei

Le posizioni ultra nazionaliste su migrazione ed integrazione sociale mal si sposano però con il supporto incondizionato al neoliberalismo economico da parte del PVV. In questo caso, il Partito ipotizza l’uscita dell’Olanda dall’Unione monetaria e crede che l’Ue dovrebbe limitarsi ad essere un grande libero mercato, sostenendo la necessità per l’Olanda di riacquisire sovranità nazionale a scapito di Bruxelles e delle istituzioni europee non solo nell’ambito di politiche nazionali ma anche di quella estera. Ad esempio, Wilders sostiene sia necessario che Amsterdam sospenda il regime di sanzioni in vigore nei confronti di Mosca.

I filoeuropei olandesi non devono però disperare. In effetti, anche se il PVV dovesse primeggiare rispetto al VVD di Rutte, il partito di Geert Wilders arriverebbe ad occupare solo 33 dei 150 seggi della Seconda Camera, ben lontano dai 76 necessari per ottenere una maggioranza sufficiente a governare.

Inoltre, tutti i partiti in corsa hanno già dichiarato di non essere disposti a formare alcuna alleanza di governo con il PVV. Al contrario, per contrastare l’ascesa di Wilders, si potrebbe formare una grande coalizione tra partiti, con l’obiettivo di ottenere la maggioranza nella Camera.

Nell’era post-Brexit, le elezioni olandesi rappresenteranno soltanto una delle tappe di una sfida che verosimilmente si protrarrà per tutto il 2017. Dopo l’Olanda, le presidenziali francesi potrebbero portare Marine Le Pen, leader del partito euroscettico Le Front National, al ballottaggio finale, mentre ad ottobre, durante le elezioni federali in Germania, il partito euroscettico Alternativa per la Germania (AfD) si potrebbe attestare al di sopra del 10%.

In questo frangente, mentre il 25 marzo i Paesi Membri dell’Ue festeggeranno il 60° Anniversario della firma del Trattato di Roma, la diffusione di un sentimento anti-europeo amplificato dalla propaganda nazionalisti di partiti euroscettici sta minando le basi valoriali della stessa Unione.

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