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Non è un mestiere facile fare il guardiano del mercato tra imprese e concorrenza

C’è un’irresistibile tentazione che si affianca a questa crisi economica che ha reso il Popolo europeo più povero e insicuro: quella di considerare le regole un optional. Le si rispetta come fossero un menù a la carte. Questa sì, quella nì, perché magari un po’ troppo restrittiva, quell’altra proprio no: se non si può rispedirla al mittente, cioè al legislatore, chiedendone l’abolizione, la si aggira.

E’ una deriva che va arrestata se vale la presunzione che le regole siano finalizzate al bene comune. Lo sono le norme, inserite nel trattato europeo, poste a baluardo della concorrenza. Eppure l’insofferenza nei confronti di quelle regole si tocca con mano. Sono insofferenti le imprese, che nei momenti di difficoltà sono più propense a fare cartello per difendere come possono la loro stessa sopravvivenza. Lo è la politica che deve fare i conti con le aziende in rosso e i lavoratori licenziati. In questo contesto fare il guardiano del mercato non è mestiere semplice: l’accusa di essere dogmatico o di vivere su Marte è sempre dietro l’angolo.

Eppure se c’è un merito che attribuisco a questa Antitrust è proprio quello di avere applicato le regole della concorrenza in modo non dogmatico, cercando di interpretare la realtà economica. L’azione di un’Autorità che deve tutelare il mercato non può, per ragioni ontologiche, favorire la distruzione di imprese. Se si è convinti che il tessuto industriale italiano rappresenti la spina dorsale del nostro Paese (e io lo sono) il compito dell’Antitrust è quello di aiutare le imprese a rafforzarsi. In modo pragmatico, appunto, e senza dogmi. E’ un dogma ritenere che il mercato e le crisi economiche facciano giustizia dei meno efficienti: spesso a rimanere stritolate sono imprese con un enorme potenziale di crescita, veri ‘gioiellini’ per i quali un improvviso blocco dei finanziamenti può essere fatale. Non è invece un dogma ritenere che se le imprese, per rafforzarsi, fanno accordi sui prezzi o sulle quote di mercato danneggiano i consumatori. E vanno fermate.

C’è invece una schizofrenia nel dibattito economico del nostro Paese: una spasmodica attenzione all’offerta, una disattenzione alla domanda. Come se la prima potesse crescere senza l’altra. Lasciare che i consumatori si sentano preda delle aziende che lavorano per danneggiarli significa creare un mercato asfittico, dove mancherà la fiducia. Una domanda già debole per effetto della crisi risulterebbe ancora più flebile. Non sarebbe un bene per nessuno.

L’ultima conferma di questa “schizofrenia” è in qualche malumore creato da una comunicazione al mercato fatta dall’Antitrust sul contratto di rete. Uno strumento intelligente, reso ancora più attraente da incentivi fiscali, finalizzato a rafforzare una struttura produttiva eccessivamente polverizzata. Obiettivo dichiarato dal legislatore aiutare le piccole e medie imprese a raggiungere maggiori capacità innovativa e competitività sul mercato. In base al contratto di rete più imprenditori possono stipulare un accordo, obbligandosi, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme predeterminate attinenti all’esercizio delle proprie imprese o a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o ancora a esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.

In altri tempi sarebbe bastato la previsione dello “scambio di informazioni di prestazioni industriale, commerciale e tecnica” per fare saltare sulla sedia l’Antitrust e costringerla a prendere carta e penna per dire al legislatore che quella norma violava la concorrenza. Proprio perché l’Antitrust non è dogmatico ha scelto un’altra strada: ha pubblicato sul suo sito una comunicazione al mercato che, andando al succo, suona così: ottimo lo strumento, meritevoli i fini, ma ricordatevi che le regole della concorrenza ammettono le intese solo quando hanno un effetto pro-concorrenziale. Tradotto in pratica significa che vanno benissimo i contratti finalizzati ad accrescere la capacità innovativa e la competitività delle imprese, non vanno bene, e sono a rischio di sanzione antitrust, i contratti finalizzati a fare cartello sui prezzi o a sulle quote di mercato. Si è trattato di una comunicazione in linea con la scelta del dialogo e del confronto con le aziende attuata da questa Istituzione negli ultimi anni, peraltro sollecitata da qualche imprenditore illuminato che paventava problemi antitrust legati ai contratti di rete. L’alternativa, in linea con le regole europee, sarebbe stato aspettare in silenzio le aziende al guado e sanzionarle in caso di violazioni alla legge sulla concorrenza. In nome di una visione dogmatica che non ci appartiene.

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