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Non è solo il tapering a mettere in ginocchio i Paesi emergenti che però non sono tutti eguali

Crollo dei valori, intervento d’urgenza delle Banche centrali, un nuovo giro di tapering targato Fed. Si è chiusa una settimana da brivido per i mercati emergenti. E i mercati temono che le turbolenze di una settimana si trasformino in una rovinosa valanga, simile a quella asiatica del 1997 che contagiò l’America latina e l’Europa dell’est. Già nella scorsa primavera l’annuncio del tapering aveva innescato un fuggi fuggi dai mercati emergenti: la prospettiva di un giro di vite sulla politica espansiva della Fed e di aumento dei rendimenti obbligazionari, ha innescato la fuga da zone considerate più rischiose da parte di quei  capitali che negli scorsi anni erano affluiti nei paesi emergenti alla ricerca di rendimenti più elevati (rispetto a quelli garantiti dai titoli di stato americani, per esempio).  E in questi primi mesi del 2014 il tapering è entrato nel vivo, seppur in formato mini. La riduzione degli stimoli all’economia della Fed è stata di dieci miliardi due mesi fa e di altri dieci nella settimana appena conclusa.  Nessun sussulto da parte di Bernanke. Che nella decisione del suo ultimo Fomc ha snobbato il caos emergenti.D’altronde per statuto la Fed deve tener conto solo di quanto accade nei confini statunitensi. E negli States l’economia dà segni di rispresa con il  pil del quarto trimestre che è cresciuto del 3,2 per cento. 

“Il problema del tapering andava bene a maggio. Dire che le monete emergenti sono andate in crisi per il tapering è da prendere con le pinze”, ha detto a inizio settimana l’esperto forex di Unicredit Roberto Mialich nel convegno milanese sull’outlook 2014. “Le monete colpite – ha spiegato –  presentano tutte fattori comuni. Hanno un disavanzo con i conti con l’estero, che vengono finanziati o con investimenti di lungo periodo o con portafoglio speculativi. Questi entrano in massa se va tutto bene ma escono altrettanto in massa se tutto va male. C’è poi il problema dell’instabilità politica: tutti i Paesi che hanno problemi con le partite correnti sono anche Paesi in cui si deve votare nelle elezioni politiche”.

Gli emergenti soffrono da ogni parte del globo. La miccia si è accesa in Argentina dove i nodi lasciati irrisolti dal governo sono giunti al pettine:  altissima inflazione, collasso delle riserve della banca centrale e politica monetaria espansiva a fronte di deficit.  A Buenos Aires il governo, facendo dietrofront rispetto alla politica eterodossa seguita fin qui, ha attuato una serie di misure tra cui la svalutazione del cambio ufficiale a 8 pesos per dollaro. Per gli analisti si tratta però di “palliativi”: è necessario un  piano complessivo che porti anche a una stretta alle spese di bilancio e un rientro del paese sul mercato dei capitali, bloccato dai tempi del default. La presidente Kirchner  ha accusato “le banche” e “i gruppi economici” di essere responsabili della svalutazione del peso, raccontando da Cuba -in una serie di messaggi su Twitter- il suo incontro con Fidel Castro e la sua riunione con la collega brasiliana, Dilma Rousseff.

Diverse le mosse delle banche centrali per contrastare il crollo delle valute e l’infiammarsi dell’inflazione. In India il costo del denaro è stato aumentato dello 0,25% portandoli all’8% per quanto riguarda il repo, il tasso usato dalle banche per i prestiti commerciali. Il governatore della banca centrale indiana ha denunciato l’indebolimento delle monete delle monete di Paesi in forte sviluppo a vantaggio delle economie occidentali. In Sud Africa è stata decisa una stretta sul costo del denaro al 5,5% dal 5%, la prima dal giugno 2008, con il rischio di indebolire un’economia colpita dal rallentamento della domanda globale e dagli scioperi dei minatori. Intervento shock in Turchia dove le incertezze politiche dalla tangentopoli del Bosforo hanno contribuito a un crollo verticale della lira turca ai minimi storici. La banca centrale turca ha alzato il tasso overnight al 12% dal 7,75%.

Nel caos sono finite al tappeto anche valute di Paesi che però così male non stanno. “Ed è necessario essere selettivi – ha detto Mialich – la pressione sulla Polonia è incomprensibile alla luce dei fondamentali. Così come sul Messico. Non credo che ci sarà l’effetto valanga che abbiamo visto altre volte nelle crisi degli emergenti”. E l’Eurozona sembra mostrare i muscoli. “L’euro/dollaro ha tenuto in maniera molto buona – ha rilevato Mialich – nonostante ci siano stati diversi tentativi di imboscata sull’euro, dal tapering, alle aperture di Draghi a nuove mosse espansive. L’Eurozona ha poi una attivo discreto dei conti con l’estero e allo stesso tempo stimiamo prospettive di crescita più alte.  Oggi ci sono diversi fattori che frenano la discesa e che ci fanno pensare che non è pensabile un indebolimento sotto 1,30/1,40”.

Sulla tenuta dell’Eurozona ha rassicurato anche il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni. “Seguiamo con grande attenzione l’evolversi della situazione – ha detto – oggi l’euro è un’isola di tranquillità e questo non è indifferente nelle scelte degli investitori internazionali”. Per Saccomanni è proprio in questi momenti che si vede “l’importanza dello scudo dell’euro per un Paese come l’Italia”che non a caso nei giorni scorsi ha registrato tassi ai minimi sulle nuove emissioni di titoli di Stato.

Ma la situazione è da monitorare. Per il Fmi  ”sostenute turbolenze finanziarie nei paesi emergenti potrebbero causare una stretta ulteriore delle condizioni finanziarie globali”.


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