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Nba, favola Toronto: i dinosauri canadesi sbancano gli Usa

Toronto Raptors on Twitter

La pecora nera del basket americano ha vinto l’Nba. I Toronto Raptors, unica franchigia canadese tra le 30 del più importante campionato di pallacanestro del mondo, hanno sconfitto in finale i favoriti e campioni in carica dei Golden State Warriors, mettendo fine a oltre due decenni di sfottò. Dal 1995, anno dell’esordio in Nba insieme all’altra franchigia canadese dei Vancouver Grizzlies (poi scomparsa), i dinosauri dell’Ontario non avevano mai vinto il titolo, né tanto meno disputato una finale, e nemmeno combinato granché nei playoff, sebbene tra le loro fila abbiano annoverato – negli anni – campioni del calibro di Vince Carter, Tracy Mc Grady, Demar Derozan e da ultimo Kawhi Leonard, che invece il titolo in Canada è riuscito a portarlo da Mvp delle Finals, bissando la doppietta (titolo e miglior giocatore) del 2014 con i San Antonio Spurs.

Non solo non avevano mai vinto, ma i Toronto Raptors, come recita lo stesso video celebrativo pubblicato dalla franchigia sui social subito dopo la vittoria per 114-110 a Oakland, “sono spesso stati sottovalutati e trascurati“. Oggi però, la squadra di basket “nata nella terra dell’hockey e che ha costruito il palazzetto dove prima c’era lo stadio del baseball”, è la regina dell’Nba. Ha messo in fila le 29 avversarie, tutte statunitensi e molte delle quali più blasonate e considerate. Solo nei playoff, i Raptors hanno fatto fuori Philadelphia 76ers e Milwaukee Bucks, entrambe partite con ottime carte per giocarsi il titolo, e in finale i Warriors, che seppur azzoppati dagli infortuni sono sempre la squadra che ha vinto 3 degli ultimi quattro campionati, arrivando sempre all’ultimo atto.

Il trionfo di Toronto, timonato da Leonard ma con il contributo di campioni meno acclamati come Lowy, Ibaka, Marc Gasol, se non di semi-sconosciuti come Vanvleet e Siakam (quest’ultimo candidato al titolo di most improved player della stagione), ha anche un forte sapore di Italia. Per tanti motivi. Il primo c’entra poco con il basket ma riguarda i nostri concittadini emigrati in Canada: nell’Ontario, la provincia di Toronto, gli italo canadesi sono oggi quasi un milione, e a Toronto – città multietnica per eccellenza, dove si parlano decine di idiomi – l’italiano è la terza lingua più parlata, la prima dopo le ufficiali inglese e francese. Secondo alcune stime, Toronto è la città nel mondo, escluse quelle in territorio italiano, dove risiedono più persone di sangue italiano.

Ma anche per quanto riguarda il basket, i legami con l’Italia non mancano. I Raptors sono stati la franchigia che ha accolto il primo italiano in Nba, Vincenzo Esposito, credendoci sin da subito, dalla loro prima stagione, nel 1995. Il casertano abbandonò dopo un solo anno, senza lasciare tracce del suo passaggio, ma da lì a pochi anni sarebbe stato rimpiazzato da un altro azzurro che invece diede un contributo più significativo alla crescita lenta, graduale e agli occhi di tutti impercettibile, della franchigia canadese. Si trattava di Andrea Bargnani, primo e tuttora unico italiano ad essere stato scelto col numero uno assoluto al draft. Un onore, ricordiamolo, riservato a pochi, e tra questi pochi non c’è nemmeno Michael Jordan.

Bargnani da tempo ha a sua volta lasciato il Canada e l’Nba, con un bilancio in chiaroscuro. Ancora oggi però a Toronto si respira aria azzurra: tra i collaboratori di coach Nick Nurse c’è il nostro Sergio Scariolo, uno degli artefici invisibili di un successo per molti inaspettato ma del tutto meritato. Nessuno aveva preso sul serio “quelli del Nord”, come amano chiamarsi, ma alla fine hanno vinto loro. “The North has spoken“: questo è il motto scelto per festeggiare.

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