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Mercato auto Italia: 2022 in forte calo, nel 2023 prevista una ripresa ma non basta. L’appello di Unrae al Governo

FIRSTonline

Il 2022 è una pessima annata per il mercato auto italiano e il 2023 promette poco di più, ma l’Italia può attingere a una tradizione ricca, a un’immagine solida e a un nome eccellente che possono essere una forza trainante per il futuro. È quanto emerge dai dati e prospettive di mercato del settore dell’Unrae presentati durante la conferenza di fine anno presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali, Luiss Guido Carli a Roma.

Secondo l’associazione negli ultimi tre anni il mercato ha perso 1.612.000 auto rispetto al 2019, anno pre-pandemia, e in parallelo le casse dello Stato hanno perso 7,85 miliardi di euro solo di gettito Iva. Intanto la transizione energetica si è già arenata: negli 11 mesi 2022 l’Italia, fra i 5 maggiori mercati europei, è all’ultimo posto nella diffusione di auto elettriche e ibride plugin con una quota dell’8,8%, lontanissima dalla Germania (38,2%), dal Regno Unito (21,4%) e dalla Francia (21,2%) e superata dalla Spagna (9,5%). In compenso è al primo posto per le ibride HEV con una quota del 34%. 

Per giunta, in Italia il parco circolante ha una età media di 12,2 anni, contro 8,7 anni nel Regno Unito, 10,1 anni in Germania e 11 anni in Francia e per il 25,4% del totale è ancora composto da vetture ante Euro 4 (ben 9.916.000): “Con un mercato a livelli così depressi – ha dichiarato il direttore generale Unrae Andrea Cardinali – per sostituire tutto il parco nazionale ci vorrebbero 30 anni”. Un parco vetusto, insicuro e inquinante anche per i veicoli industriali (età media 14,5 anni), veicoli commerciali (14 anni), autobus (12,5 anni), rimorchi e semirimorchi (17 anni).

Cardinali ha poi sottolineato come la salute del mercato automobilistico italiano nel 2022 va a discapito non solo dei consumatori che scontano un problema di offerta, oltre che di domanda, ma anche dell’erario. “Quest’anno stiamo stimando una chiusura con 1,3 milioni di immatricolazioni, numeri degli anni ’70, numeri che non sono sostenibili nel lungo periodo, inferiori a quelli del 2020 anno del lockdown. Problematiche non legate alla domanda ma all’offerta ed è anche molto difficile fare previsioni di lungo termine”. Cardinali ha ricordato che con il crollo delle vendite “anche l’erario ci sta rimettendo: 8 miliardi soltanto di Iva con un crollo del gettito fiscale di cui lo Stato dovrebbe occuparsi urgentemente”.

Mercato auto italia: 2023 più promettente ma non basta

La “buona” notizia è che per il 2023 è prevista una piccola ripresa: secondo Unrae dovrebbe chiudersi a 1,4 milioni di unità, in crescita del 7,7%. “Nel 2023 la quota dei modelli elettrici ed ibridi plug-in crescerà ulteriormente, anche se nel 2022 le elettriche pure scenderanno dal 4,6% del 2021 al 4%”, ha spiegato Cardinali. Nel 2023, quindi, la quota di mercato delle ibride plug-in toccherà il 6,8% mentre le elettriche pure dovrebbero rappresentare il 6%. Più forti gli incrementi attesi per le ibride mild e full, per cui si prevede una fetta di mercato che passerà dal 29% del 2021 al 34% del 2022 e, successivamente, al 36,6% del 2023. Mentre benzina e diesel potrebbero chiudere il 2023 rispettivamente al 25,4% e al 16,7%.

“Il mercato dell’automotive in Italia è in grave sofferenza a causa delle congiutura mondiale ed europea, ma anche di una non chiara e non coordinata strategia verso la transizione sostenibile da parte delle istituzioni italiane centrali e locali”, ha concluso il direttore generale dell’Unrae. 

Unrae: ecco come il settore può tornare in salute

Tuttavia, Unrae tiene il punto su quelli che, secondo l’associazione, sono i requisiti fondamentali affinché il settore torni in salute: in linea col principio della neutralità tecnologica, l’associazione richiede di mantenere e potenziare gli incentivi all’acquisto di auto a basso impatto ambientale; elaborare una politica infrastrutturale per la ricarica elettrica e il rifornimento a idrogeno, nonché rivedere l’impianto fiscale del settore automotive, in particolare attraverso una revisione di detraibilità Iva e deducibilità dei costi in base alle emissioni di CO2 per le auto aziendali. Infine, pianificare una riconversione industriale della filiera automotive e della componentistica per riportare il nostro paese a essere un riferimento a livello europeo nonché prevedere ulteriori interventi a sostegno del trasporto merci e trasporto collettivo di persone.

Tutte proposte che il presidente dell’associazione Michele Crisci evidenzia nella lettera aperta al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Crisci (Unrae) a Meloni: “Serve una direzione chiara per le nuove tecnologie”

Per sensibilizzare il Governo sul delicato periodo che sta attraverso il comparto, Michele Cresci evidenzia come “l’introduzione ormai definitiva di nuove tecnologie motoristiche che riducano fortemente l’impatto ambientale, di tecnologie legate, all’elettronica, al digitale, all’intelligenza artificiale, stanno profondamente sfidando la capacità dell’Italia di tenere il passo. I sacrosanti target ambientali dettati dall’Europa impongono una riconversione industriale rapida ed efficiente, basata su queste nuove tecnologie e non sulla difesa del passato”.

Crisci sottolinea poi che la questione è strettamente legata anche al mondo della componentistica: “Oltre il 60% del fatturato delle aziende italiane si sviluppa verso le aziende estere che Unrae rappresenta. Le chiedo cosa succederà alle nostre aziende italiane quando le loro clienti estere, come sta accadendo, si concentreranno velocemente sul fabbisogno solo di queste nuove tecnologie? Come saranno in grado le aziende della componentistica italiana di rispondere a questa sfida per mantenere quel 60% di fatturato, senza il quale è facile prevedere la loro chiusura e la perdita di migliaia di posti di lavoro? Difendere il passato non significa proteggere l’Italia dagli ‘invasori esteri’ come qualcuno continua a dire in giro. Piuttosto, ahimè, significa consegnare le nostre aziende ad un futuro senza futuro”.

Come velocizzare questa riconversione?

“Dando direzioni chiare al mercato (operatori e clienti, sia aziende che consumatori) sull’accoglimento delle nuove tecnologie. Perché solo un mercato in salute – e quello italiano non lo è più da tempo – può rappresentare un’interessante area dove investire, sia per le nostre aziende che per quelle estere. Sì, perché quello a cui stiamo assistendo in Italia è una serie di provvedimenti poco pragmatici, quasi di facciata o che spesso, per non si capisce quale fine ultimo sociale, restano incompiuti e inefficaci”.

Crisci fa riferimento anche agli incentivi basati sulle classi di CO2, “che prima sono stati ben pensati su base triennale e poi sono stati rovinati da limitazioni senza senso, quali le soglie di prezzo o l’esclusione delle aziende, che di fatto ne hanno completamente sterilizzato l’efficacia. Ma mi riferisco anche e soprattutto alla ormai cronica assenza di una revisione fiscale sull’automotive, per le auto aziendali e non solo”.

Crisci: “Investire sulle infrastrutture è una grande opportunità”

Inoltre, “L’Italia deve poter contare su infrastrutture di ricarica in grado di convincere gli italiani di quale sia la scelta da fare, con impianti di ricarica potenti, capillari su tutto il territorio italiano, su tutte le autostrade e le strade di maggior traffico. Oggi per l’elettrificazione, domani o forse prima, per l’idrogeno. Investire sulle infrastrutture sarà una grande opportunità per le aziende italiane, esattamente quelle che vogliamo difendere”.

Una transizione in cui le auto elettrificate avranno un compito importante: “Le auto legate ai cicli omologativi ante euro 5 (4,3,2,1) vanno gradualmente ma velocemente sostituite, aiutando chi non è in grado di farlo con scivoli verso ibridi o piccoli endotermici nuovi e/o usati di ultima generazione, virtuosissimi rispetto alle auto che guidano, che invece vanno inderogabilmente rottamate. Non possiamo pensare e nemmeno aspettare che sia l’elettrico o l’idrogeno la soluzione in questo caso specifico perché la legge della domanda e dell’offerta e i costi relativi non lo consentirebbero”.

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Categories: Economia e Imprese