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Mercati: un gennaio fuori dagli schemi per petrolio e Borse

FIRSTonline

Gennaio fuori dagli schemi e dalle statistiche. Senza avere alcun segnale di recessione in USA, le Borse decidono di aprire il 2016 con un ribasso che a tratti ha raggiunto il panic selling. In questo frangente i mercati europei si sono dimostrati più deboli, mentre gli USA hanno dato prova di tenere meglio.

Per molte settimane non c’è stato un vero e proprio flight to quality, tutte le asset class si sono deprezzate con l’unica eccezione dell’oro che già avevamo indicato nella newsletter di inizio anno in una situazione di potenziale decorrelazione rispetto alle altre asset class per un posizionamento interessante degli operatori professionali sul metallo giallo (Commercials).

L’impressione è che le Borse siano rimaste senza una visione chiara per il futuro sul supporto delle Banche Centrali all’economia. Infatti dopo un periodo di silenzio nella seconda parte del mese le Banche Centrali si sono tutte espresse, o con parole o con azioni. La FED, pur non rimangiandosi i futuri aumenti dei tassi, ha annunciato che essi torneranno ad essere condizionati dai dati macro, correggendo quindi per ora a parole il programma di rialzi quasi deterministici annunciato a dicembre. La BCE per bocca del governatore Draghi ha fatto aperture per un ampliamento a marzo del QE europeo.

Chi non si è espresso con annunci ma con fatti è la Bank of Japan che con una mossa non del tutto inattesa nei contenuti ma a sorpresa per i tempi, nella serata di giovedì 28/1 ha per la prima volta introdotto in Giappone tassi di interesse negativi per i depositi in eccesso delle istituzioni finanziarie presso la banca centrale (-0,1%, dal precedente  +0.1%). Una mossa accompagnata dall’affermazione che, se necessario, i tassi diventeranno ancora più negativi. Immediata la reazione del tasso di cambio dollaro/yen considerato da molti analisti un marcatore di crisi se il cambio dovesse scendere sotto il livello di 116.

Insomma, una boccata di ossigeno per i mercati proprio negli ultimi giorni di gennaio, non certo ancora risolutiva. Gli altri due temi che hanno dominato il mese sono stati il petrolio e le banche europee (in particolare quelle italiane).

Petrolio

Un vero e proprio ottovolante quello imboccato dal petrolio nel mese di gennaio. Qui di seguito le quotazioni su base continua del petrolio WTI nell’ultimo mese:

Il minimo del 20/1 poco sopra i $26/barile ha riportato le quotazioni a livelli che non si vedevano dal 2004.Ormai il mercato ha identificato il prezzo del petrolio come l’indicatore leader da seguire e il basso prezzo la fonte di tutti i mali. Indubbiamente un prolungarsi di prezzi sotto i $30 al barile avrebbe conseguenze severe sull’intera catena dell’industria estrattiva e della raffinazione, senza contare l’effetto deflazionistico che è proprio quello che mezzo mondo cerca oggi di contrastare.

Negli ultimi giorni la ripresa dei prezzi è stata in parte guidata da indiscrezioni e notizie su una maggiore disponibilità dei paesi dell’OPEC ad una riduzione della produzione e alla partecipazione anche della Russia ai negoziati in tal senso, voci poi in parte smentite. Più concrete sono le notizie provenienti da oltre oceano dove il crollo del prezzo sembra aver convinto i produttori di shale oil a fare i conti con la realtà. Tre dei maggiori produttori americani (Continental Resources, Hess Corp e Noble Energy) hanno annunciato nuovi pesanti tagli degli investimenti che porteranno a un sensibile calo di produzione. A ciò si aggiunge il fatto che nel 2015 ben 42 società che si erano lanciate nel business dello shale oil hanno dichiarato bancarotta. L’impressione è che il drastico calo degli investimenti in tutto il mondo e una modifica della politica dell’inondazione dei mercati da parte dei produttori mediorientali possa portare ad una qualche normalizzazione di prezzi verso l’alto nel corso dell’anno. Secondo i dati di Baker Hughes, i pozzi attivi negli USA sono 498 a fine gennaio. Erano 1480 a inizio 2015, poco più di un anno fa.

Non è un caso che il contratto future sul petrolio per consegna Dicembre 2016abbia chiuso venerdì sera a $41,75, ben il 24% in più del contratto corrente con consegna Marzo. Una normalizzazione verso i $40 per la fine dell’anno è probabile e auspicabile, ma temiamo che ancora molti possano essere gli scossoni nei prossimi mesi.

Settore bancario europeo

Se gennaio è stato molto negativo per quasi tutti i mercati, per il settore bancario è stato catastrofico. Si è parlato e discusso molto della situazione delle banche italiane, ma ad una lettura meno superficiale il problema ha investito le banche europee nel suo complesso. L’indice azionario italiano FTSE-MIB ha sofferto più di altri a causa dell’elevato peso delle banche nell’indice, ma è tutto il settore europeo che è andato male. Il mercato qualche distinguo lo ha fatto. L’indice europeo nel suo complesso ha perso il 17,3% in un mese e quasi il 25% dai massimi relativi di ottobre, sintomo di un malessere non solo italiano.

Alla base di questo calo ci sono molte cause, alcune generali altre specifiche. Non c’è dubbio che le nuove regole per il bail-in bancario non siano piaciute al mercato, né nel merito né nelle tempistiche di attuazione. In alcuni casi hanno pesato il timore e le voci di nuove ricapitalizzazioni richieste al mercato. È questo il caso di Unicredit: ancora sabato 30/1 in occasione del convegno Assiom forex di Torino l’amministratore delegato Ghizzoni ha risposto in maniera sibillina ad una precisa domanda sulla necessità di aumento di capitale: “Il 9 febbraio presenteremo i conti della banca, meglio vederli e poi ne riparleremo”. In ogni caso c’è un problema di fiducia nel settore bancario che appare deteriorata nel migliore dei casi, sgretolata in altri (Monte dei Paschi). Non c’è dubbio che, se i conti fossero veritieri, ci siano a questi prezzi occasioni di acquisto. Occorrerà però vedere prima se l’emorragia dei prezzi in Borsa si fermerà. Un rimbalzo è possibile.

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