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Matteo Metullio, cucina, amore e due stelle andata e ritorno

Matteo Metullio Chef 2 stelle Michelin dell'Harry's Piccolo di Trieste

D’un tratto ha cancellato tutti gli stereotipi più ricorrenti costruiti nell’immaginario collettivo attorno alla figura dello Chef di successo. Quei singhiozzi irrefrenabili, le parole che gli si strozzavano in gola, le lacrime che si asciugava in continuazione, l’impossibilità di parlare, la commozione che ha trasmesso ai tanti che erano in collegamento televisivo con la cerimonia di assegnazione delle stelle Michelin 2021, hanno mostrato più di ogni altro come la figura più mitizzata dai media televisivi di questi ultimi anni, quella dello Chef, possa celare un Re nudo nella sua umanità, nella sua umiltà e nella tensione nervosa che sottende al suo operare. E se non ci si vuol fermare alle suggestioni di certi atteggiamenti sfrontati e provocatori alla Vissani, o duramente spietati alla Cannavacciuolo, o severamente algidi alla Cracco e ci si vuol chiedere come si diventa grandi chef, ebbene le lacrime in diretta di Matteo Metullio alla notizia della nuova conquista di due stelle Michelin per il ristorante Harry’s Piccolo di Trieste, la dicono lunga.

Matteo Metullio in realtà la sua umanità l’aveva già coraggiosamente attestata due anni prima, quando a 28 anni, dall’alto di una carriera carica di primati, aveva deciso di lasciare la Siriola di San Cassiano, in Alta Badia il raffinato ristorante della famiglia Wieser dove in sei anni aveva conquistato due stelle Michelin, tre cappelli per la guida dell’Espresso e tre forchette per il Gambero Rosso, per stare accanto alla sua famiglia, a sua moglie Elena, a suo figlio, appena nato, Nicolò e ritornarsene a Trieste rinunciando a riflettori e guadagni.

Non so se avesse letto una delle grandi massime di Confucio : “Per mettere il mondo in ordine dobbiamo mettere la nazione in ordine, per mettere la nazione in ordine dobbiamo mettere la famiglia in ordine, per mettere la famiglia in ordine dobbiamo coltivare la nostra vita personale, per coltivare la nostra vita personale dobbiamo prima mettere a posto i nostri cuori”.

Certo è che la sua decisione aveva sconcertato il mondo della ristorazione.

Ma come, uno che a soli 24 anni conquista la stella Michelin, il più giovane d’Italia, e a 28 arriva alla seconda stella, a due passi dal cielo, lascia tutto? Qualcuno parlò di un calcio alla fortuna. Ma in realtà la Fortuna con la F maiuscola, per dirla con Eduardo De Filippo, il giovane Matteo l’aveva in casa, illuminata dall’arrivo di Nicolò, e non voleva perdersela. «Faccio una pausa per il mio equilibrio» aveva spiegato ai molti increduli della notizia del suo abbandono. Non è facile per me e per mia moglie Elena seguire nostro figlio Nicolò, 10 mesi, senza aiuti in Val Badia mentre io lavoro sempre. Ho bisogno di concentrarmi su di loro per un po’, quindi torniamo a Trieste, dove continuerò la consulenza per l’Harry’s Piccolo e dove i miei genitori potranno darci una mano».

Certo è che, insediatosi a Trieste, alla fine non se ne è stato con le mani in mano, perché il sacro fuoco per la cucina pulsa nelle sue vene.

“Ho sempre avuto la passione per la cucina – confessa – anche se da giovane sognavo di fare il calciatore. La scelta definitiva l’ho fatta però quando ho dovuto scegliere la scuola superiore. Nello stesso periodo stavo facendo dei provini calcistici che, sia per infortuni che per capacità, non sono andati come volevo e li ho deciso di iscrivermi alla scuola alberghiera”.

E col cuore d’atleta si è buttato a capofitto nel mondo della cucina. Una carriera tutta d’un fiato. A soli 12 anni si era già iscritto alla scuola alberghiera I.P.S.S.A.R. di Falcade andando d’estate a lavorare in vari hotel e ristoranti per acquisire esperienza. Il primo incontro formativo per lui è quello con Oscar Tibolla lo chef di Alle Codole di Canale d’Agordo, formatosi con Giorgio Nardelli e Giancarlo Perbellini, che in pochi anni ha trasformato la trattoria di famiglia in un apprezzato punto di riferimento per la cucina di qualità del bellunese. Si mette subito in evidenza e si fa apprezzare per le sue qualità ed è così che a soli 19 anni entra nella cucina di Norbert Niederkofler, il grande maestro assoluto dell’Alta Val Badia con il St. Hubertus dell’Hotel Rosa Alpina, che è arrivato a conquistare tre stelle Michelin, 4 cappelli e 19 punti di Gault-Millau. Per quattro anni guarda, studia, osserva e apprende tutto così bene che i Wieser intenzionati ad investire in un percorso di crescita del ristorante dell’albergo Ciasa Salares. lo chiamano a dirigere le cucine del Siriola di San Cassiano, in Alta Badia. Le competenze acquisite dal giovane sono una garanzia. E difatti la loro fiducia viene subito premiata. A distanza da un anno dal suo insediamento Metullio, che si è portato con se Davide de Pra, amico e braccio destro ai fornelli, conquista la prima stella Michelin, che porta con orgoglio tatuata sul braccio, contemporaneamente viene nominato da Witaly Miglior Chef Emergente del Nord Italia.

Metullio firma una cucina senza troppi fronzoli e molto mediterranea. Si focalizza soprattutto sulla ricerca della migliore materia prima disponibile sul mercato. Per lui il rispetto e l’esaltazione della stessa materia prima che poi creano l’esplosione dei gusti che lo Chef ricerca in ogni piatto.

È la filosofia del KMVERO a fare da padrona, l’ha ereditata da Norbert Niederkofler: “l’onestà di proporre agli ospiti la miglior materia prima, ovunque sia la sua origine. Non è l’esaltazione della vicinanza ad un determinato territorio, ma l’esaltazione di tutti i prodotti d’eccellenza sparsi nella nostra stupenda penisola e oltre”.

Ne fa testimonianza il titolo di un suo classico, lo “Spaghetto freddo a km 4.925”, dove quel numero segna la distanza con le materie che vengono da Gragnano per la pasta, da Sarno per i pomodori di San Marzano, da Cetara per la colatura delle alici, e da porto Santo Spirito per gli scampi che gli arrivano freschi appena pescati. E così ironicamente l’eccellenza selezionata della materia lontana migliaia di chilometri obnubila quella supercelebrata del Km0.

Oltre a Niederkofler si ispira molto anche alla cucina Alex Atala, lo chef brasiliano di origini irlandesi e palestinesi, che gestisce il ristorante D.O.M. a San Paolo. considerato il 4 ° miglior ristorante al mondo nella S.Pellegrino World’s 50 Best Restaurants, vincitore del titolo di “Acqua Panna Best Restaurant In South America”, noto per trasformare i piatti tradizionali brasiliani, adattando le tecniche culinarie francesi e italiane agli ingredienti brasiliani. Ci ha lavorato per un evento in Brasile e ne è rimasto impressionato.

Ma Matteo Metullio è molto riconoscente anche a Massimiliano Alajmo, “il primo pranzo da lui a Le Calandre – dice – mi ha aperto la mente”.

La sua carriera subisce una forte accelerazione. E’ chiamato dall’Enoteca Italiana di Bangkok per l’organizzazione di cene esclusive, l’Intercontinental Hotel in Vietnam lo richiede per importanti eventi. Un anno dopo si divide fra Bruxelles e Amsterdam in manifestazioni gastronomiche come portabandiera del Trentino Alto Adige. Nel 2016 gli arriva un nuovo riconoscimento, questa volta dal Gambero Rosso che lo premia come Chef emergente dell’anno e gli attribuisce tre forchette definendolo “talento cristallino e padrone della tecnica, autore di piatti leggeri ed emozionanti che sorprendono”. Anche Gault et Millau guarda con interesse al giovane Metullio attribuendogli ben 17 punti, due in meno del suo maestro Niederkofler.

Dalle sue mani escono veri e propri capolavori come il Roastbeef di cervo, pistacchio, riso soffiato al wasabi e miele al limone dove il forte del wasabi si confronta e confonde nella dolcezza del miele dai toni leggermente aciduli creando un bel cesto di profumi e sapori. O come l’Agnello, melanzane e bietole del Maso Aspinger, un raffinato gioco di sponde tra i sapori del Nord e quelli del sud che ha il sapore della rievocazione di mondi contadini ma ricreati con grande raffinatezza, fino a diventare quasi eterei.

E, come era prevedibile, nel 2017 arriva la seconda stella Michelin. “Le due stelle Michelin a La Siriola, oltre alla gratificazione personale mi hanno fatto pensare che da quel momento sarei entrato a far parte di un “élite” che porta con se anche grandi responsabilità “.

Un impegno gravoso da gestire per tenere alto il livello del suo ristorante. Ma arriva Nicolò e Matteo non se la sente di starsene rinchiuso giorno e notte a 1.500 metri trascurando il grande dono di una famiglia, di una moglie di cui è innamoratissimo e di un figlio che gli ha cambiato la vita.

“Il nostro – dice – è un lavoro dove il tempo libero è poco e lo stress è sempre al massimo. Ho sempre cercato di non annullare la mia vita privata, soprattutto la mia famiglia, sia per lo smisurato amore che provo per loro sia per mantenere un equilibrio interno mio. Quando ho visto che queste basi avrebbero potuto cedere ho pensato che non volevo rinunciare, anche solo parzialmente, all’essere un compagno e un padre presenti, ho scelto di tornare nella mia Trieste”.

Dove nella piazza più bella della città c’è l’Harry’s Piccolo, inaugurato da Arrigo Cipriani negli anni Settanta dentro il Grand Hotel Duchi d’Aosta per cui svolgeva funzioni di consulente. Stando fisso a Trieste ora può occuparsene da vicino.

La pandemia lo ha cambiato? La risposta è molto pacata: “Abbiamo mantenuto la stessa linea del pre Covid, in termini di offerta. Ovviamente adeguando spazi e comportamenti alle norme, affrontando questo periodo come tutti i periodi difficili, aspettando e dando sempre il massimo”. E subito, ma non c’erano dubbi è arrivata una stella, Poi a distanza di un anno, è cronaca di questi giorni, si è ripreso al ritorno nella sua città le due stelle che aveva lasciato nell’andata alla Siriola, continuando così una storia fatta di primati. E data la sua giovane età si può immaginare che siamo solo all’inizio…

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