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L’Italia in declino demografico: perché abbiamo bisogno di più immigrati regolari per sopravvivere. Analisi Osservatorio Cpi

Imagoeconomica

L’Italia sta vivendo una delle trasformazioni demografiche più profonde degli ultimi decenni. La natalità è ai minimi storici, la popolazione invecchia e il saldo naturale, la differenza tra nascite e decessi, è da anni negativo. Questa dinamica non è solo una questione statistica: ha conseguenze concrete sul presente e sul futuro del Paese, perché mina le basi del nostro sistema sociale ed economico, mettendo sotto pressione il welfare, il mercato del lavoro e le finanze pubbliche.

Di fronte a un declino che sembra inarrestabile, l’immigrazione si propone come una delle poche leve ancora disponibili per evitare lo spopolamento e mantenere in equilibrio la struttura della popolazione. Ma quante persone straniere dovremmo accogliere per sostenere la crescita, finanziare le pensioni e garantire servizi essenziali come la sanità? E quali politiche sarebbero necessarie per gestire questi flussi in modo efficace e sostenibile?

L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani ha provato a rispondere a queste domande, offrendo dati e proiezioni che aiutano a delineare i contorni reali di una sfida cruciale per il futuro del Paese.

L’Italia invecchia e si svuota: i numeri del declino demografico

Negli ultimi cinquant’anni, il nostro Paese ha assistito a un crollo della natalità. Se negli anni ’60 si registravano oltre un milione di nascite l’anno, oggi i nuovi nati sono scesi sotto le 400mila unità, con un minimo storico di 370mila nel 2024. Allo stesso tempo, l’aspettativa di vita si è allungata, portando a un invecchiamento generalizzato della popolazione.

Il risultato è un saldo naturale profondamente negativo. Dal picco di 60,8 milioni di residenti nel 2014, la popolazione italiana è scesa a meno di 59 milioni nel 2024. Le previsioni sono ancora più allarmanti: secondo il Working Group on Ageing, senza nuove ondate migratorie, scenderemo sotto i 50 milioni entro il 2050 e potremmo arrivare a soli 28 milioni entro il 2100, numeri da Italia preunitaria.

L’età media oggi è di 46,4 anni, la seconda più alta al mondo dopo il Giappone. Il rapporto tra over 65 e under 15 è di 2 a 1. Questa sproporzione genera forti squilibri nel sistema pensionistico e sanitario, e mette a rischio la tenuta economica del Paese.

Il declino della forza lavoro e il peso sul welfare

Oltre alla popolazione totale, ciò che preoccupa è la contrazione della fascia in età lavorativa (20-67 anni), che oggi rappresenta circa il 62% del totale ma che, senza correttivi, scenderà sotto il 52% entro il 2050. Meno lavoratori significano meno entrate fiscali e contributive, a fronte di una crescente domanda di servizi da parte degli anziani.

Questo squilibrio rende evidente che non è sufficiente fermare il calo della popolazione: occorre garantire un adeguato ricambio generazionale nella forza lavoro, per sostenere il sistema previdenziale e i servizi pubblici. In questo quadro, l’immigrazione può offrire un contributo essenziale.

L’immigrazione come risorsa demografica (se ben gestita)

Secondo l’Osservatorio CPI, per mantenere stabile l’attuale livello della popolazione italiana entro il 2050, sarebbero necessari circa 10 milioni di immigrati netti. Ma se si vuole mantenere stabile anche il rapporto tra popolazione attiva e totale, la vera metrica della sostenibilità economica, il fabbisogno sale a circa 13,5 milioni di immigrati entro il 2050, con un flusso netto annuale di circa 380mila persone fino al 2035, e fino a 450mila dopo quella data.

Senza questi numeri, l’Italia rischia un collasso demografico che si tradurrebbe in un peso insostenibile per il welfare e un freno strutturale alla crescita economica.

Le previsioni sulla natalità: segnali positivi, ma non sufficienti

Sebbene alcune proiezioni indichino un possibile aumento del tasso di fertilità nei prossimi anni, questo miglioramento sarebbe comunque insufficiente. Per stabilizzare la popolazione esclusivamente con le nascite, servirebbe un tasso di almeno 2 figli per donna, un livello che non si registra da oltre 40 anni.

In questo senso, l’immigrazione può contribuire anche indirettamente al saldo naturale, grazie a tassi di natalità spesso più alti tra le famiglie immigrate.

La realtà attuale: flussi legali troppo bassi, irregolarità in crescita

Nonostante l’urgenza demografica, le politiche migratorie italiane sono rimaste per anni su numeri molto inferiori alle necessità. Tra il 2010 e il 2020, gli ingressi regolari autorizzati dai decreti flussi sono scesi da circa 180mila a meno di 30mila l’anno. Solo dal 2023 si è registrata un’inversione di tendenza, con quote salite a 136mila ingressi nel 2023, 151mila nel 2024 e 165mila previsti per il 2025.

Ma questi numeri sono ben lontani dai 400-450mila ingressi annui ritenuti necessari per riequilibrare il sistema. Nel frattempo, però, l’immigrazione irregolare è cresciuta: oltre un milione di arrivi non regolari negli ultimi dieci anni. Una dinamica che genera tensioni sociali e rende ancora più urgente una riforma strutturale del sistema migratorio.

L’integrazione come leva per produttività e coesione sociale

Aumentare i flussi migratori non basta. La vera sfida è trasformare l’immigrazione in una risorsa duratura. È una sfida complessa che richiede politiche serie di integrazione culturale, economica e sociale: riconoscimento delle competenze, accesso al lavoro qualificato, formazione linguistica e inserimento scolastico per i figli.

In parallelo, è fondamentale puntare su un aumento della produttività, attraverso investimenti in innovazione, digitalizzazione e capitale umano. Solo così sarà possibile compensare il calo numerico della forza lavoro con un aumento dell’efficienza economica.

Un bivio decisivo per il futuro dell’Italia

Il declino demografico italiano non si risolverà da solo. Come evidenzia l’Osservatorio CPI, serve un approccio integrato che combini immigrazione regolare, sostegno alla natalità e rilancio della produttività. Interventi parziali o ritardi rischiano di compromettere la sostenibilità economica e sociale del Paese.

Al contrario, una strategia ambiziosa e basata su dati concreti può trasformare una crisi annunciata in un’opportunità per rinnovare il tessuto produttivo, sociale e demografico dell’Italia. Ma il tempo per agire non è infinito: le scelte di oggi determineranno il benessere delle prossime generazioni.

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