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Librerie, un finale aperto Dall’India la migliore analisi sullo stato del libro e delle librerie

Fai le valigie e vai in India

Insieme agli Stati Uniti e ai paesi scandinavi, l’India è la nazione con la più brillante industria del software e dei servizi collegati. L’hub tecnologico di Bangalore, nel sud dell’India, non ha niente da invidiare a San Francisco o a Berlino. I manager di origine indiana stanno salendo vertiginosamente la scala dei capi d’impresa più ricercati e più pagati del mondo. Satya Nadella è diventato CEO di Microsoft e la capitalizzazione della società di Seattle è tornata ai valori del 2000; Sundar Pichai si è visto consegnare la direzione delle attività più importanti di Google dopo che i due fondatori hanno preso la guida di Alphabet; Shantanu Narayen, alla testa di Adobe, ha traghettato con successo l’impresa di Photoshop e Illustrator in un complicato e difficile passaggio al cloud. Il “Guardian” ha stilato una lista, piuttosto sorprendente, dei più influenti tecnologici di origine indiana che hanno contributo e contribuiscono a fare della Silicon Valley quel fenomeno unico che conosciamo.

Il ruolo preminente degli indiani nel mondo degli affari globali va oltre la tecnologia: Ajay Banga è alla testa di Mastercard, Indira Nooyi di PepsiCo e Ivan Menezes del gigante del beverage Diageo. Lo stile dei manager indiani è inconfondibile: sanno ascoltare, non sono impulsivi, sono genuinamente umili, sanno lavorare in team, sono affidabili e determinati nelle azioni che intraprendono. Lavorare con loro è anche rilassante e il loro candore è contagioso. Merito della cultura che li ha formati e che continua a ispirare il loro modo di essere e di agire. Quando pensiamo alla saggezza e all’equilibrio, il nostro primo pensiero va proprio all’India. Una volta Steve Jobs ebbe modo di dire che se Bill Gates fosse stato in India, la sua Microsoft sarebbe stata migliore. Una profezia indiretta visto che con Satya Nadella, a capo di Microsoft, quest’ultima sembra davvero migliore. “Pack your bags for India” è stato il consiglio dello stesso Jobs al giovane Mark Zuckerberg, quando Facebook  si chiamava ancora The Facebook .

Non è quindi un caso che la migliore analisi che ci è capitato di leggere sullo stato dell’industria del libro e delle librerie di fronte alla sfida del digitale provenga proprio da Anuj Srivas, il reporter di tecnologia e business per “The Hindu”, il più grande e diffuso quotidiano indiano in lingua inglese. Abbiamo pensato di offrire ai nostri lettori, nella traduzione italiana di Ilaria Amurri, l’articolo di Srivas dal titolo The Past, Present and Future of the Printed Book, pubblicato dal magazine “The Wire”.

La libreria di Amazon

Lo sentite questo rumore? È Johannes Gutenberg che si rivolta nella tomba. Amazon, che più di chiunque altro ha cercato di distruggere l’industria dei libri cartacei, ha deciso di aprire una libreria vera.

Su “The New Republic” c’è una bellissima recensione di Dustin Kurtz su quello che la società di Bezos sta promuovendo come un “negozio vero senza pareti“, cioè Amazon Books, posizionato all’uscita del centro commerciale University Village di Seattle e in puro stile Amazon, con tanto di recensioni, classifiche e quant’altro. I titoli sono organizzati in sezioni del tipo “Libri di cucina più inseriti nella lista dei desideri”, si possono leggere le recensioni online mentre si sfogliano i libri e i prezzi sono stabiliti con lo stesso algoritmo che la società utilizza per il suo sito web.

Forse ci sta che Amazon abbia aperto un negozio, perché questo dimostra che, dopo dieci anni in cui il cambiamento dell’editoria ha spiazzato gli analisti più e più volte, il cerchio si è finalmente chiuso.

La solita storia della rivoluzione digitale che ha messo a tappeto la televisione (con Netflix), i mezzi di trasporto (con applicazioni come l’americana Uber o l’indiana OlaCabs), gli alloggi (con Airbnb) e la musica (con iTunes e Spotify) non è finita allo stesso modo nel mondo dei libri. Nessuno vuole insinuare che Amazon stia gettando la spugna e che progetti di aprire altre librerie o di prendere sul serio questa strategia, ma sicuramente l’avanzata del digitale non ha seguito il corso conosciuto.

Il passato: la paura dell’apocalisse digitale

Le librerie tradizionali hanno attraversato due principali fasi di disintermediazione. Prima sono nati i siti di e-commerce (un termine che suona sempre più obsoleto), dove si potevano ordinare i libri online e farseli consegnare direttamente a casa. Due fra le principali categorie di consumatori si sono adattate subito: chi compra libri da regalare e chi vuole avere l’ultimissimo capitolo del libro del momento il giorno stesso in cui esce. Gli altri sono arrivati dopo, attirati dalla convenienza.

La fase successiva è iniziata nel 2007, quando il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha introdotto il Kindle, che secondo lui avrebbe “fatto rinascere la passione per la lettura”, perché la gente lo avrebbe visto come “un dispositivo geniale e non come un mezzo austero di trasmissione della cultura”.

Le vendite di ebook sono aumentate a dismisura tra il 2008 e il 2010 (secondo una stima più del 1260%) e molti editori hanno temuto di lasciarci le penne. Così, mettendo in discussione la sua stessa esistenza, nel 2009 la catena americana di librerie Barnes & Noble ha deciso di tentare la sorte creando un suo lettore di ebook , cioè il Nook.

L’ansia e la preoccupazione che avvolgevano il settore hanno raggiunto il culmine quando la catena Borders ha dichiarato bancarotta nel 2011, anche se a dire il vero la rivale di Barnes & Noble stava puntando più sul merchandising e aveva fatto una scelta poco fortunata investendo milioni in musica e CD pochi anni prima che arrivasse iTunes.

Nel 2011 sembrava che la metamorfosi digitale dei libri (almeno nell’area più sviluppata del mercato occidentale) fosse quasi completa, al punto che Amazon aveva annunciato che per la prima volta, nella prima metà dell’anno, le vendite di ebook Kindle negli Stati Uniti avevano superato quelle dei libri cartacei.

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Il presente: il picco degli ebook?

Dopo il boom del 2011, però, le vendite hanno cominciato a rallentare. Gli ebook venduti negli Stati Uniti sono aumentati solo del 43% durante il resto dell’anno, una crescita sostenuta, ma leggermente calante rispetto alle tre cifre degli anni precedenti, e negli anni successivi, se si esclude un leggero miglioramento nel 2013, il tasso di crescita nei mercati occidentali si è stabilizzato al di sotto del 50%.

Come succede a tutti i prodotti nuovi, sembrava essere in corso una prima fase di resistenza naturale e secondo le previsioni più pessimiste il mercato degli ebook rischiava di raggiungere un punto di saturazione. Infatti, se tra il 2010 e il 2011 i libri digitali coprivano poco meno del 20% di tutto il mercato librario statunitense, nel 2014 hanno superato a stento il 20%.

A dirla tutta, questi dati fanno riferimento principalmente alle case editrici tradizionali e non tengono in considerazione l’aumento delle pubblicazioni digitali indipendenti sostenute da Amazon. Il recente film di fantascienza Sopravvissuto – The Martian, ad esempio, è tratto da un libro che è stato pubblicato con Kindle Direct Publishing. Lo stesso dicasi della serie televisiva Wayward Pines, tratto dall’omonima serie autopubblicata sul Kindle Store.

In ogni caso è chiaro che non stiamo assistendo a un cambiamento radicale, non come quello introdotto da Uber nel campo dei trasporti o come quello prodotto dalle email e dai messaggi istantanei nella sfera della comunicazione.

Le statistiche pubblicate da Nielsen BookScan, ad esempio, mostrano che nei primi nove mesi del 2015 e per la prima volta dal 2007 il mercato del libro del Regno Unito si è espanso notevolmente rispetto al 2014. La catena britannica Waterstone’s, che lo scorso dicembre ha finalmente visto un incremento nelle vendite di libri, ha deciso di togliere il Kindle dai suoi negozi, dopo che nel 2012 aveva avviato una collaborazione con Amazon presentandola come una chance di sopravvivenza nel futuro digitale.

Perciò, la morte rapida e dolorosa del cartaceo che molti avevano previsto nel 2008 non sembra sul punto di concretizzarsi. Gli ebook non hanno mai invaso il mercato, anzi, adesso siamo nel 2015 e Amazon ha appena aperto una libreria!

Ma allora cos’è che impedisce ai libri di affermarsi in formato digitale, come invece è successo alla musica (perfino in India)? Ecco alcune possibili cause:

1) Il prezzo: il fattore più importante (e fondamentalmente noioso). Gli analisti e la stampa si affrettano a sottolineare che gli ebook non sono poi molto più convenienti dei libri cartacei. In India, per esempio, nella sezione ebook di Flipkart una copia digitale di Cinquanta sfumature di nero costa 254 Rupie, mentre il libro cartaceo ne costa 250. I clienti che si sono avventati sugli e-reader si aspettano di poter comprare ebook a basso prezzo, ma di solito rimangono delusi.

2) La diffusione dei tablet: il successo dell’iPad è stato visto inizialmente come un fattore che avrebbe potuto giovare alle vendite di ebook, solo che i tablet si sono rivelati una fonte di distrazione per i lettori, tra la posta elettronica, Google, Facebook , Whatsapp, ecc. Sul Kindle l’“applicazione ebook” è sempre aperta, sul tablet invece no. Quindi se qualcuno possiede un lettore apposito è molto più facile che compri ebook, ma il fatto che i tablet siano generalmente più venduti degli e-reader è, in definitiva, un freno.

3) Il tipo e l’occasione di lettura: un po’ alla volta è venuto fuori che il digitale si presta maggiormente ad alcuni generi letterari e a precisi momenti di lettura. I dati di vendita rivelano che chi legge ebook Kindle preferisce la narrativa alla saggistica e che predilige certi generi in particolare (le donne statunitensi ultraquarantenni, ad esempio, preferiscono il formato digitale per leggere i romanzi erotici).

Allo stesso tempo sembra che in molti, soprattutto gli studenti, preferiscano il cartaceo per la saggistica e per i testi universitari. Dovendo indovinare il perché, si potrebbe azzardare che gli ebook portano a scorrere le pagine più velocemente, un’abitudine che viene da anni di ricerche in internet, mentre in questo tipo di testi è meglio non perdersi niente.

In più gli ebook sono più comodi in alcune situazioni, ad esempio quando si viaggia o quando si prende l’aereo, mentre i vantaggi diminuiscono fino a trasformarsi in fattori deleteri in altri contesti, come quando ci si rannicchia a letto in una fredda notte di pioggia.

Questi fattori sono molto interessanti, perché indicano il modo in cui gli esseri umani interagiscono con i libri e il risultato è che forse gli ebook non si sostituiranno mai al cartaceo come la musica digitale ha rimpiazzato il vinile, ma diventeranno una semplice alternativa o meglio un’opzione complementare.

Il futuro: un finale aperto

Tutto ciò non significa che gli ebook siano destinati a rimanere nell’ombra, anzi, forse presto domineranno il mercato. Attualmente Amazon sta sfruttando a suo vantaggio il fatto che le case editrici si rifiutino di abbassare i prezzi, introducendo servizi di abbonamento (Kindle Unlimited), come Spotify ha fatto con la musica, ma non si può dire con certezza se questi sistemi avranno successo (Oyster, una delle più grosse società di lettura su abbonamento ha appena chiuso i battenti).

Per di più, il fatto che gli ebook non siano riusciti a conquistare il mondo non toglie che le case editrici e soprattutto le librerie abbiano accusato un brutto colpo.

In India, ad esempio, gli effetti disruttivi della digitalizzazione iniziano a farsi sentire solo adesso: nel sud del Paese la catena Landmark è in liquidazione e a Nuova Delhi la gente è rimasta sconvolta quando ha saputo che la famosa libreria Fact & Fiction stava per chiudere.

Amazon Books darà forse il buon esempio agli altri negozi che stanno cercando di adattarsi all’era digitale? Molto probabilmente no. Molte decisioni che Amazon sta prendendo sul piano del design e delle scelte editoriali sono dettate da informazioni di dominio pubblico (recensioni, classifiche e liste dei desideri) e qualcun altro potrebbe benissimo fare lo stesso (probabilmente i dati di vendita di Amazon nella regione di Seattle rivelerebbero un certo vantaggio sulla concorrenza).

Qualcuno ha detto che Amazon Books è solo un miraggio, un cavallo di Troia il cui unico scopo è di fare pubblicità al marchio, esattamente come gli “experience store” che Microsoft ha aperto in tutti gli Stati Uniti. Può essere che sia così, ma Amazon sarebbe ancora più subdola di quanto sembra se stesse cercando di accaparrarsi la percentuale relativamente alta di libri che si vendono ancora nelle librerie “off line” (circa il 50%, con poco più di 7 miliardi di ricavi).

La maggior parte dei librai passa notti insonni a scervellarsi su come fare la stessa cosa: i clienti arrivano, danno un’occhiata, perdono un po’ di tempo e poi vanno a casa e si comprano i libri online a un prezzo più basso.

Le librerie devono sostenere i costi operativi della vendita e dell’esperienza del cliente, ma poi è il negozio online (cioè Amazon) a raccogliere i frutti del loro lavoro. Quindi, se da un lato le librerie guadagnano ancora qualche soldo, dall’altro perdono clienti per colpa dei rivenditori online, ma ovviamente il Amazon Books non perderà mai contro la concorrenza del web, dato che il colosso di Seattle vende circa il 70% dei libri acquistati in internet negli Stati Uniti.

Se il piano di Amazon è davvero questo le altre librerie non riusciranno mai a replicare il suo successo. È il classico trucco del “far leva sul benessere del proprio ecosistema”, come hanno fatto Apple e Microsoft in passato.

Qual è, in conclusione, il futuro delle librerie? Le grandi catene hanno fatto le spese della situazione più di chiunque altro e i loro problemi non sono finiti, a causa dell’avidità e del bisogno costante di espandersi di alcune società del settore. Tornando all’esempio dell’India, uno zoccolo industriale come Chennai può accontentarsi di due o tre grandi catene, senza contare che la scelta di estendere l’offerta al merchandising, ai profumi, alla musica e ai giocattoli ha esiti tendenzialmente negativi, perché spesso le librerie finiscono per perdere le loro radici e i maggiori profitti non si traducono in un’esperienza di alta qualità.

Allo stesso tempo le librerie indipendenti non devono dimenticarsi del loro ruolo di istituzioni della cultura e della loro capacità di calamitare comunità letterarie, come avviene di frequente in America e con discreto successo (secondo le statistiche più recenti, le librerie indipendenti sarebbero aumentate da 1.651 nel 2009 a 2.094 nel 2014).

Inoltre non vanno ignorate le misure governative in materia di affitti e di controllo dei prezzi, ossia le leggi anti-Amazon, che in Europa e soprattutto in Francia hanno avuto effetti parzialmente positivi e che anche l’India sta cercando di imitare per sostenere le piccole librerie. A Nuova Delhi, però, il controllo degli affitti è stato recentemente modificato in favore delle lobby dell’edilizia e come ha spiegato Ajit Vikram Singh, il proprietario di Fact & Fiction, è stato proprio questo cambiamento a dare la mazzata finale a quella che era una delle librerie più prestigiose della città.

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