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“L’aumento tassi non sarà un terremoto e la transizione green spinge la produttività”, parla Favero (Bocconi)

Imagoeconomica

Negli Stati Uniti e in Europa si rischia di assistere ad una politica economica destinata a seguire il “flip flop” delle banche centrali, impegnate in una sfiancante rincorsa dietro la curva dei tassi per arginare l’inflazione e subito dopo per scongiurare recessioni troppo severe. È uno scenario che porterebbe molto più danni ad un’economia, quella dell’Eurozona, che nonostante la moneta unica continua ad avere politiche fiscali autonome e rapporti asincroni con i mercati finanziari che comprano le emissioni di debito sovrano. Sta di fatto, che negli USA nel primo trimestre del 2022 la crescita è risultata negativa (-1,6%), con un’ampia revisione al ribasso per i consumi. Ancora più significativi i dati sulla fiducia delle imprese, scesi nella rilevazione di giugno molto più delle attese degli analisti. Carlo Ambrogio Favero, macroeconomista, dirige il Dipartimento Finanza della Bocconi ed è uno ricercatori di punta del Centre for Economic Policy Research.

Il dilemma delle banche centrali è stato sciolto a favore della recessione?

«Direi di no, per varie ragioni. E comunque il dilemma vero da risolvere riguarda la BCE, la FED ha di fronte uno scenario più facile da affrontare. Negli USA l’inflazione è spinta dalla grande espansione della domanda costruita con le politiche di Biden per fronteggiare la pandemia. Il problema della guerra si sta in parte già riassorbendo con una riorganizzazione dei meccanismi dell’offerta aggregata. In Europa invece l’inflazione dipende da uno shock dal lato dell’offerta. Gli effetti di una politica monetaria restrittiva sono meno recessivi in risposta ad uno shock alla domanda (FED)».

Arriviamo da dieci anni di politiche monetarie espansive, molti sistemi economici si sono assuefatti ai tassi bassi o vicini alla zero. L’aumento dei tassi in questa particolare situazione internazionale che conseguenze inedite potrebbe avere?

«La curva dei rendimenti negli USA è omogenea, in Europa si deve scongiurare il rischio della frammentazione. In ogni caso, distinguerei il ciclo economico determinato dalla politica monetaria e il trend economico che invece è determinato nel medio lungo termine dalla produttività e dalla demografia. La produttività e l’attuale struttura demografica portano ad una previsione di tassi reali di equilibrio positivi, anche in questi ultimi anni».

Non dobbiamo quindi aspettarci deviazioni “non preventivabili” nei prossimi mesi?

“La politica monetaria deve guardare anche all’equilibrio dei tassi di lungo periodo. E questo processo di rialzo tassi sicuramente ci riporta vicino ad una situazione di equilibrio. Nonostante una demografia occidentale in grande sofferenza, pur invecchiando molto, le economie continuano a crescere”.

Ritorno alla domanda iniziale: la recessione in arrivo sarà leggera e facilmente gestibile, per questo non preoccupa il dilemma?

“La transizione verso il green sta facendo riemergere in modo importante la produttività. Produttività e demografia permettono agevolmente una politica dei tassi vicina al 2%. Anzi, l’attuale struttura dell’economia è vicina a tassi ancora più elevati”.

Il riposizionamento globale degli schieramenti geopolitici sta ridefinendo anche le posizioni strategiche delle valute globali. Per il cambio euro-dollaro cosa dobbiamo aspettarci?

“L’Europa ha un compito molto più difficile degli Usa, bisogna ribadirlo. Mi aspetto un apprezzamento del dollaro, perché l’incertezza sull’inflazione porterà comunque dei problemi di frammentazione in Europa. La prospettiva è la parità. Non vedo una situazione politica ed economica in grado di vedere l’euro superiore al dollaro. I movimenti delle due valute attorno alla parità saranno quindi il benchmark per prevedere il futuro”.

Le frizioni tra le due valute saranno anche un’arma per ripesare le quote dell’export tra le due sponde dell’Atlantico?

“Nei prossimi mesi saranno le transazioni finanziarie e i movimenti di capitale a determinare i rapporti di forza, più che le partite commerciali correnti”.

Se la politica monetaria della BCE dovesse dimostrarsi inefficiente per gestire economie ancora molto diverse tra loro, ritroveremo in agenda il rischio di tenuta dell’eurozona?

“È uno scenario estremo. La geopolitica ha rafforzato in questi mesi l’Unione Europea, non sono nemmeno immaginabili le conseguenze di un’implosione della moneta unica. Anche qualsiasi singolo progetto di uscita dall’euro sarebbe un errore, la Brexit è sotto gli occhi di tutti. Per l’Italia significherebbe trovarsi addirittura in una situazione di totale ingestibilità dei tassi di interesse sui titoli pubblici”.

L’inflazione ci messo di fronte all’estrema fragilità energetica del nostro Paese. Potrebbe essere questo il grimaldello per ampliare la nostra gamma di approvvigionamenti?

“Assolutamente sì, tra l’altro abbiamo la fortuna di poter contare su un premier come Mario Draghi e su un governo che si è mosso molto proprio in questo senso. L’inflazione è sicuramente un’opportunità per modernizzare la nostra politica industriale, “silver lining” la chiamano gli inglesi. Ed è allo stesso tempo un’opportunità per ridimensionare in parte la taglia del nostro debito sovrano rispetto ai principali indicatori macroeconomici. Se la politica sarà in grado di gestire al meglio questo fase potremmo anche metterci alle spalle gli ultimi 30 anni di bassa crescita e bassa produttività”.

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