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La ricchezza delle famiglie italiane censita dalla Banca d’Italia sembra smentire i timori di S&P

LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE ITALIANE, L’asso nelle mani del Tesoro

La propensione al risparmio delle famiglie nel 2010 è calata al 12,15 (1,4 punti percentuali in meno) secondo una linea di tendenza di lungo periodo: nello scorso decennio si è osservato un calo di quattro punti percentuali. Detto ciò, le preoccupazioni di S&P’s, che ha collegato il warning sul debito pubblico italiano ad un calo del tesoretto delle famiglie, sembrano esagerate, dai dati raccolti dalla Banca d’Italia. La ricchezza finanziaria netta delle famiglie, infatti, è rimasta stabile: 2,6 volte il reddito disponibile, un valore di poco inferiore a quello dei paesi anglosassoni (2,9 volte) ma sopra la media Ue (2 volte).

UN PATRIMONIO DI MATTONI

Soprattutto, però, va rilevato che la ricchezza netta delle famiglie italiane risulta pari a 8,2 volte disponibile. Al confronto con il Duemila cresce di dieci punti percentuali al 68 % il peso delle attività reali rispetto alla ricchezza finanziaria. Sono però aumentati, nel 2010, gli investimenti in attività finanziarie.

La mappa degli investimenti è così articolata: a) acquisti per 12 miliardi di strumenti del risparmio postale; b) 24 miliardi nelle polizze assicurative del ramo vita, soprattutto di tipo tradizionale con garanzie sul rendimento minimo. c) La quota di riserve assicurative e previdenziali, inclusi i fondi di quiescenza, sulle attività totali è aumentata con continuità negli ultimi 15 anni fino al 18,2% ma l’aggregato rimane comunque inferiore al valore registrato per l’area dell’euro (30,2 per cento), principalmente a causa del limitato sviluppo della previdenza complementare.

Si sono interrotti, rispetto al 2009, gli acquisti netti di strumenti di origine bancaria. Dopo tre anni di ingenti investimenti, le vendite di obbligazioni bancarie hanno superato gli acquisti di quasi 10 miliardi. Nel complesso la quota di attività finanziarie detenuta in strumenti bancari è diminuita dal 28,2 al 27,7 per cento. Sono anche proseguiti i disinvestimenti in titoli pubblici (-4 miliardi). Il portafoglio delle famiglie continua a distinguersi rispetto al resto d’Europa per l’alta percentuale di obbligazioni presenti, soprattutto di natura bancaria: il 19,8% contro una media del 7,5.

Gli acquisti netti di azioni e altre partecipazioni sono stati pari a 48 miliardi, in leggero aumento rispetto al dato del 2009; la quota in portafoglio è però diminuita al 21 per cento per effetto del calo delle quotazioni azionarie .

E I LORO (POCHI) DEBITI

I debiti finanziari delle famiglie hanno raggiunto il 66 per cento del reddito disponibile (fig. 14.2), un dato inferiore a quello medio dell’area dell’euro (99 per cento) e dei paesi anglosassoni (oltre il 100 per cento). Dal 2004 il rapporto fra i debiti finanziari e il reddito delle famiglie è cresciuto di quasi 21 punti percentuali, 7 punti in più di quanto osservato nell’area dell’euro. L’incremento ha riguardato tutte le diverse forme di prestito. La differenza con la media dei paesi dell’area in termini di credito al consumo si è annullata: alla fine del 2010 il rapporto tra il credito al consumo e il reddito disponibile delle famiglie italiane era pari a circa l’11 per cento.

GLI ITALIANI TORNANO A FARE MUTUI

Il livello storicamente basso dei tassi di interesse ha determinato un rafforzamento della domanda da parte delle famiglie consumatrici dei prestiti per l’acquisto di abitazioni, cresciuti del 3,4 per cento su base annua; nei primi mesi del 2011 il ritmo di espansione è ulteriormente incrementato (4,0 per cento a marzo). Nel 2010 sono aumentati in misura sostenuta anche gli altri prestiti diversi dal credito al consumo (8,5 per cento), soprattutto per effetto della crescita dei mutui senza finalità specifica; tale dinamica si è attenuata nei primi mesi del 2011 (6,0 per cento a marzo). Dopo essere diminuite per due anni consecutivi, le erogazioni di prestiti per l’acquisto di abitazioni sono aumentate del 12 per cento rispetto all’anno precedente, risultando pari a 57 miliardi.

In base ai dati dell’Agenzia del territorio, nel 2010 le compravendite di immobili residenziali sono risultate sostanzialmente stabili, mentre sono aumentate del 9 per cento circa quelle avvenute ricorrendo a un mutuo; queste ultime rappresentavano nell’anno oltre il 40 per cento delle compravendite totali.Le erogazioni di mutui sono state influenzate dal ricorso a surroghe e sostituzioni da parte della clientela alla ricerca di migliori condizioni contrattuali: l’incidenza delle surroghe sulle erogazioni è stata pari al 13 per cento (16 per cento nel 2009); il peso delle sostituzioni è risultato stabile attorno al 3 per cento. Le rinegoziazioni delle condizioni del contratto con la propria banca, che non comportano una nuova stipula, hanno riguardato il 2 per cento dei mutui in essere. Nel 2010, in media, oltre l’80 per cento dei nuovi mutui è stato concesso a tasso variabile , un valore doppio rispetto al dato registrato per l’area dell’euro.

FAMIGLIE VULNERABILI MA NON TROPPO

Nonostante il raddoppio dell’ incidenza dei contratti che prevedono un limite massimo al livello dei tassi di interesse e di quelli che consentono di allungare la durata o di sospendere temporaneamente i pagamenti senza costi addizionali (nel 2010 rispettivamente pari al 23 e al 26 per cento), i rischi derivanti da un possibile rialzo dei tassi di interesse restano comunque in parte in capo alle famiglie, che non ne sono sempre consapevoli. In base ai dati dell’IBF, un quinto dei nuclei familiari che hanno un mutuo non è in grado di distinguere tra le diverse tipologie di contratto e di valutare adeguatamente il connesso rischio di tasso.

Le banche hanno continuato a mantenere un atteggiamento selettivo nella concessione dei mutui. Il rapporto medio tra i prestiti concessi e il valore dell’immobile (loan to value), che prima della crisi era prossimo al 65 per cento, si è ulteriormente ridotto nel 2010, raggiungendo il 61 per cento. In particolare, nel 2010 è diminuita l’incidenza sulle erogazioni di mutui di quelle con un loan to value superiore all’80 per cento (5 per cento, rispetto all’8 del 2009).

Nonostante la dinamica estremamente debole dei redditi delle famiglie, si legge nella relazione, “la marcata riduzione dei tassi di interesse e i provvedimenti adottati nel biennio 2009-2010 a favore delle famiglie mutuatarie hanno contribuito a evitare un incremento dell’onere del debito rispetto al reddito. Si stima che il servizio del debito per i mutui relativi alla casa di residenza, pari a circa il 17 per cento del reddito delle famiglie che avevano un mutuo alla fine del 2008, si sia ridotto nel biennio successivo; l’andamento risulta meno favorevole per i nuclei con basso reddito a causa delle peggiori dinamiche occupazionali e salariali : il 2,4 per cento delle famiglie italiane, circa 600.000 nuclei, ha un servizio del debito complessivo superiore al 30 per cento del reddito. Di queste, oltre la metà appartiene al quartile di reddito più basso ed è particolarmente vulnerabile a una flessione del reddito o ad aumenti della rata connessi con variazioni dei tassi di interesse; tali famiglie detengono poco più di un decimo dell’indebitamento complessivo del settore.

Fino allo scorso marzo le famiglie mutuatarie che avevano beneficiato della sospensione per almeno 12 mesi della rata del mutuo erano circa 43.000 famiglie, con un debito residuo per mutui pari a 5 miliardi, poco meno del 2 per cento delle consistenze in essere.

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