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La guerra di Gaza chiama la responsabilità dell’Europa che fa solo finta di mobilitarsi

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Il diluvio di parole sulle guerre in corso, che prendono spunto spesso da fake news, avvolge tutto in una nuvola di buoni sentimenti, di generiche invocazioni alla pace ed al dialogo, di commozione per i morti “innocenti”, ma di fatto allontana dalla vera comprensione delle questioni per cui si combatte, e dalla individuazione degli interessi in gioco e quindi delle possibili vie d’uscita. Questo vale per la guerra della Russia contro l’Ucraina e vale per la battaglia di Gaza scatenata da Israele dopo l’incursione terroristica del 7 ottobre.

Se si riesce a mettere un attimo da parte il sentimento di orrore per la guerra e le sue vittime, e si guarda alla questione di Gaza con mente fredda pensando in termini politici e strategici si possono forse rintracciare i veri nodi della questione. Lasciamo anche perdere la storia antica e quella più recente degli ebrei in Palestina , e il subbuglio di sensi di colpa dell’Occidente che parteggia per i palestinesi senza però appoggiare i proclami dei più estremisti che vogliono la distruzione di Israele, vediamo quali sarebbero i veri interessi dell’Europa e come si potrebbero perseguire.

Il centro del problema sta nel fatto che bisogna cacciare Hamas da Gaza e in genere dalla Palestina. E poi bisogna mettere l’Iran (la testa del serpente) in condizioni di non nuocere. Purtroppo bisogna prendere atto che la strategia militare di Israele non ha funzionato. Il suo esercito in più di un anno non è riuscito a liberare nemmeno un ostaggio. Ha bombardato, occupato più volte il territorio , ha inflitto perdite ad Hamas, ma l’organizzazione sta ancora in piedi e probabilmente riesce a controllare Gaza e la sua popolazione (che solo ora, timidamente, riesce a fare qualche dimostrazione contro le angherie di Hamas). Gli europei, e forse anche gli americani (ma con Trump non si sa mai) invocano la fine delle ostilità, dei bombardamenti e dell’occupazione di Gaza da parte delle forze di terra israeliane. Senza peraltro esercitare analoga pressione sui vertici di Hamas e sugli altri Paesi arabi per rilasciare gli ostaggi ancora vivi e per far loro accettare un nuovo assetto politico dell’area.

Ma forse pensi nel mare di chiacchiere, ci siamo dimenticati una delle ragioni, forse la più importante, che hanno spinto Hamas a scatenare l’offensiva del 7 ottobre contro i civili inermi degli insediamenti israeliani oltre il confine. Lo scopo principale non era quello di sconfiggere militarmente Israele, ma quello di influire sugli altri Paesi arabi risvegliandone lo spirito combattivo, e in primo luogo cacciare dalla Cisgiordania il vecchio Abu Mazen e unificare i palestinesi sotto il suo comando. Per il momento questo non è riuscito, ma la strenua resistenza dei capi di Hamas si basa sulla convinzione che l’ulteriore sacrificio di altre migliaia di civili possa suscitare quella pressione internazionale che alla fine costringa Netanyahu a ritirarsi. Questi significa che Hamas potrà sfilare nelle piazze di Gaza, frettolosamente liberate dalle macerie, con le insegne della vittoria. L’eroica resistenza di Gaza sarà l’epopea fondante non solo di una nuova Palestina ma di un più vasto territorio arabo oggi controllato da dittatori traballanti. Un riscatto di tutti gli arabi non solo rispetto agli ebrei invasori, ma rispetto allo stesso Occidente europeo colonialista ed infedele. Già altre volte nella storia la vista corta dei responsabili politici ha portato non la pace, ma guai molto maggiori. E questa lezione dovrebbe valere anche per gli Usa che quando sono stati dominati dall’isolazionismo, sono poi finti in conflitti molto più grandi come due guerre mondiali.

Gli europei possono assistere indifferenti al rischio che una vittoria di Hamas generi simili sconvolgimenti? O peggio blandire i sanguinari capi di questo raggruppamento bellicista, sperando di tenerlo buono? E se si cede a Gaza, come si potrà poi arginare l’aggressività del regime iraniano che ha subito per il momento duri colpi ma che, indebolito dalla contestazione dei giovani al suo interno, non può non continuare una politica estera aggressiva?

Ma se Israele non può imporre una soluzione militare, perché il terreno non lo consente e la pressione internazionale si farà sempre più insistente, come uscire dall’impasse? L’Europa che sta cercando un nuovo riconoscimento del proprio ruolo nel mondo oltre all’Ucraina dovrà occuparsi anche del medio Oriente. E dovrà quindi essere disposta ad impegnarsi in prima persona, insieme ad una serie di paesi arabi moderati da coinvolgere, per inviare truppe con il compito non solo di pacificare la striscia di Gaza, ma di disarmare Hamas, per poi arrivare ad una qualche forma di Stato palestinese, secondo le linee indicate recentemente dal primo ministro del Governo di Ramallah. In questo modo si garantirebbe l’esistenza di Israele riducendo anche le pressioni dei suoi estremisti di destra. Oggi tutti gli europei benpensanti sono contro Netanyahu . Ma lui politicamente è già sconfitto: non ha saputo gestire la striscia di Gaza prima dell’attacco del 7 ottobre, e poi non ha vinto la guerra finendo in una situazione militare di stallo e politica di completo isolamento.

Il problema è quindi l’Europa. Siamo disposti ad inviare un corpo di spedizione a Gaza non solo per portare aiuti umanitari ma anche per rimettere in riga gli eserciti di Hamas? A proposito, chiamarli terroristi ormai è molto riduttivo. Sono un esercito regolare che usa tecniche di guerriglia ma che vanno sconfitti non solo con le armi , ma anche con strumenti politici, cioè alleandosi con gli arabi che vogliono la pace. Se è vero che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, allora per l’Europa è il momento di mettere in campo una forte idea politica che magari possa anche servirsi temporaneamente dello strumento militare.

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