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La “Bibbia” dello sport 2015: da Djokovic a Hamilton, dagli All Blacks a Bolt

Dall’inizio alla fine. Sta per concludersi un altro anno ricco di sport a livello mondiale, che lascerà negli archivi conferme, come Hamilton in Formula 1 e Djokovic nel tennis, attesi ritorni, come il Real Madrid del basket sul tetto d’Europa, ma anche prime volte, come la qualificazione ai prossimi Europei di calcio da parte di ben cinque cenerentole, ovvero Albania, Galles, Irlanda del Nord, Islanda e Slovacchia. Le due manifestazioni che hanno aperto e chiuso questi ultimi dodici mesi sono entrambe calcistiche, sebbene di diversa importanza e attenzione mediatica. I primi ad esultare sono stati quelli della nazionale australiana, che a fine gennaio hanno vinto per la prima volta nella loro storia la Coppa d’Asia, organizzata per l’occasione proprio nella terra dei canguri, mentre gli ultimi ad alzare un trofeo sono stati i più noti giocatori del Barcellona, che solo pochi giorni fa hanno conquistato in Giappone il Mondiale per Club (il terzo per la società blaugrana) battendo nettamente in finale il River Plate (vincitore in agosto della Copa Libertadores) per 3-0, grazie alle giocate da playstation del trio Messi-Neymar-Suarez. Per il Barça si è trattato del quinto titolo del 2015, dopo Liga, Coppa del Re, Champions e Supercoppa europea, con il solo Athletic Bilbao capace di rovinare l’anno perfetto dei catalani, riuscendo a sorpresa a portarsi a casa la Supercoppa spagnola (e con un clamoroso 4-0 nella prima gara). Ma ovviamente non c’è stato solo calcio, anzi, e allora andiamo a rivivere tutti gli eventi sportivi internazionali che hanno caratterizzato quest’ultimo anno, partendo da quelli più seguiti, con milioni di tifosi e appassionati, ma non dimenticando anche quelli meno pubblicizzati, ma che resteranno comunque nella storia di questo 2015.

Tennis. Se c’è uno sportivo che ha iniziato e finito da protagonista questo è certamente Novak Djokovic, partito subito forte con il successo all’Australian Open, ha ribadito la sua leadership in campo maschile chiudendo con la vittoria al Masters di Londra di un mese fa, battendo ancora una volta in finale Roger Federer. Per il serbo è stata una stagione vissuta da cannibale, forse la migliore della sua carriera e per le statistiche una delle migliori per un giocatore nell’Era Open, diventando il terzo (dopo Rod Lever e Federer) ad arrivare in finale in tutti e quattro i tornei dello Slam (conquistandone tre), stabilendo il record di sei Masters 1000 vinti (con altre due finali perse) e raggiungendo 15 finali consecutive nei vari tornei, chiudendo con 82 vittorie e sole 6 sconfitte totali. Nelle prove dello Slam i tre successi sono arrivati a Melbourne battendo Murray, a Wimbledon superando Federer e agli US Open sempre ai danni di Federer, mentre a fare da guastafeste ci ha pensato Wawrinka, che con una strepitosa prova in finale al Roland Garros è riuscito a mettere ko Djokovic non permettendogli di centrare il Grande Slam (mentre per lo svizzero è stato il secondo grande successo dopo l’Austrlian Open dell’anno precedente).

Wawrinka che promette di dar battaglia anche nella prossima stagione e che si assesta in quel gruppetto alle spalle del, al momento, inattaccabile numero 1 serbo, che comprende Andy Murray (capace di avere la meglio su Nole in finale a Montreal), Federer, che a 34 anni è tornato a correre come un ragazzino, regalando la solita classe di sempre ma inventandosi anche nuovi colpi come la risposta anticipata ( e comunque superando in tre occasioni Djokovic, nelle finali di Dubai e Cincinnati e nell’incontro del girone del Masters), e, almeno a sprazzi Rafa Nadal, con il maiorchino che ha attraversato momenti davvero bassi e preoccupanti, ma negli ultimi mesi ha chiuso in crescendo mostrando nell’ultimo impegno a Londra colpi che fanno ben sperare per la stagione che sta per incominciare. Ma dietro questi mostri sacri, e dopo i vari e soliti  Berdych, Ferrer o Nishikori, o quelli sempre alla ricerca della loro dimensione migliore (vedi Anderson o Dimitrov) sta venendo fuori prepotentemente una nuova ondata di giovani che hanno già mostrato il loro valore, ma che nei prossimi mesi potrebbero esplodere definitivamente, da Kyrgios a Thiem, da Coric a al coreano Chung.

Il 2015 è anche l’anno in cui Andy Murray (con il prezioso aiuto del fratello Jamie nel doppio) è riuscito a riportare alla vittoria della Coppa Davis la Gran Bretagna, giunta al suo decimo successo, ma che aspettava questo momento dal lontanissimo 1936, ben 79 anni. La conquista dell’”insalatiera” della 104° edizione del trofeo tennistico più antico (ma spesse volte snobbato nell’arco della stagione dai big del circuito) è arrivata grazie al 3-1 rifilato a Gand in casa del Belgio, tra le cui fila l’ottimo Goffin ha fatto quel che ha potuto. Nell’equivalente delle donne, la Fed Cup, a Praga c’è stato il secondo successo consecutivo da parte della Repubblica Ceca, con il doppio finale che ha assegnato il punto decisivo per superare la Russia.

In campo femminile la stagione si è chiusa con il successo della Radwanska sulla Kvitova nel Masters finale di Singapore, torneo che ha visto l’ultimo incontro della carriera della nostra Flavia Pennetta (sconfitta dalla Sharapova) e l’assenza della numero uno del mondo Serena Williams, ancora scossa dall’incredibile ko subito qualche settimana prima nella semifinale degli US Open contro una super Roberta Vinci, quando finalmente la classe pura ha avuto la meglio sulla potenza. Nella storica finale tutta italiana ha poi trionfato la Pennetta, ma quella sconfitta ha impedito a Serena di provare a completare un Grande Slam che ormai sembrava già fatto, e che comunque non cancella l’ennesimo anno da dominatrice dell’americana, che in bacheca ha dovuto far posto al suo sesto Australian Open (battuta la Sharapova), terzo Roland Garros (Safarova) e sesto Wimbledon (Muguruza). Fra poco più di un mese la sua caccia al Grande Slam ricomincerà e come nelle ultime stagioni, nonostante la crescita di qualche nuova giocatrice interessante (come Muguruza o Keys), la sensazione è che non abbia vere rivali (a parte le solite Sharapova o Kvitova) e, a meno di episodi come con la Vinci, tutto dipenderà esclusivamente dalla Williams e dalla sua condizione fisica. Quello che sta per concludersi è stato un anno indimenticabile per il tennis azzurro e, detto delle trionfi in campo femminile, anche tra gli uomini va ricordata la storica vittoria agli Australian Open nel doppio della coppia Bolelli-Fognini (con il ligure apparso leggermente più costante e meno polemico degli anni precedenti), ma anche l’impresa di Andreas Seppi, capace di sorprendere in quattro set re Federer a Melbourne, ciliegina sulla torta di una stagione più che positiva per l’altoatesino.

Motori. Nei motori, i due campioni del mondo delle categorie più importanti a quattro e due ruote (Forumula 1 e Moto GP) alla fine si sono laureati Lewis Hamilton e Jorge Lorenzo, ma il cammino dei due verso il titolo, come sapete, è stato profondamente diverso. Se per l’inglese bissare il successo dell’anno precedente (e terzo totale con quello del 2008) è stato quasi una formalità, lo spagnolo ha dovuto aspettare l’ultima gara della stagione per avere la meglio, tra mille polemiche, di Valentino Rossi. In una Formula 1 che ormai di spettacolare e di incerto ha ben poco, con la tecnologia, gomme e regole ogni anno diverse a farla da padrone, Hamilton ha comandato dall’inizio alla fine , tagliando per primo il traguardo per 10 volte su 19 e lasciando solo nelle ultime tre gare la scena al compagno (si far per dire) di scuderia Rosberg (che ha terminato con 6 successi, ma bloccato durante la stagione da qualche problemino di troppo e non sempre per colpa sua). Per il britannico, autore anche di 11 pole e arrivato a 43 vittorie in carriera, alle spalle solo di Prost (51) e dell’inarrivabile Schumacher (91), la fortuna di avere tra le mani una macchina quasi perfetta e la certezza di ripartire il prossimo 20 marzo da favorito indiscusso, intanto lui se la gode tra modelle, feste e vestiti stravaganti. Per la Ferrari, arrivata seconda in classifica costruttori dietro la Mercedes, un anno sicuramente soddisfacente, impreziosito dalle tre vittorie di Sebastian Vettel (unico ad arrivare davanti a tutti con una macchina che non fosse una Mercedes) e una pole position nel Gran Premio di Singapore (sempre ad opera del tedesco, che in brevissimo tempo con i suoi modi si è fatto ben volere da tutti i tifosi italiani). Sebbene le due Mercedes rimangano ancora lontane, nella prossima stagione la scuderia di Maranello è chiamata a confermare gli enormi passi in avanti fatti registrare in questi ultimi dodici mesi, ma per fare questo ci sarà bisogno anche del miglio Kimi Raikkonen, francamente troppo anonimo da quando è tornato a guidare il cavallino.

Nelle moto, nella classe regina è arrivato il terzo trionfo di Jorge Lorenzo (dopo il 2010 e il 2012) su Yamaha, vittoria finale che però rimarrà ancora per molto tempo segnata dallo strano finale di campionato, condizionato dal comportamento particolare di Marc Marquez, campione in carica ma tagliato fuori dal discorso per il titolo già parecchie gare prima della conclusione. Della questione di ciò che è successo nelle ultime tre gare se ne è parlato fin troppo, soprattutto ovviamente qui in Italia, con il comportamento da censurare ma nei limiti del regolamento di Marquez, le ragione di Valentino ma il fatto che si sia lasciato cadere nel tranello, le dichiarazioni (alcune surreali) dei vari protagonisti e il sollevamento popolare insorto nel nostro paese alla vigilia e al termine dell’ultima decisiva sfida. Quel che ci rimane, a parte l’amaro in bocca per un finale un po’ così, soprattutto per il mondo del motociclismo, è il rammarico per non aver visto completare l’opera di un Valentino Rossi che ha 36 anni ha fatto di tutto per riprendersi quel titolo che gli manca dal 2009 e che la prima volta (in 125) aveva conquistato ben 20 anni fa (e con il timore che l’ultima possibilità se ne sia andata). Detto questo Lorenzo, con sette vittorie in stagione, non ha rubato niente e nel finale ha giustamente approfittato del comportamento del connazionale Marquez, il quale al di là di tutto resta un fenomeno e l’ indiziato numero uno a rimettere le mani su quel mondiale che ha dominato nel 2014 e che potrebbe essere di nuovo di sua proprietà per molti anni in futuro. Nelle due classi minori il 2015 ha visto il francese Johann Zarco mettere il suo nome dell’albo d’oro della Moto2, mentre in Moto3 ha gioito il britannico Danny Kent.

Basket. E’ stato un 2015 che resterà nella storia anche nel mondo del basket, con la Spagna e il Real Madrid trionfatori nel vecchio continente e i Golden State Warriors assoluti protagonisti della palla a spicchi dall’altra parte dell’oceano. In Europa quella scorsa è stata la stagione del Real Madrid, capace di conquistare un poker di trofei (campionato, Copa del Rey, Supercoppa spagnola ed Eurolega) con il titolo europeo che mancava dal 1995 ed è tornato nella bacheca dei blancos grazie al successo nella finale giocata sul proprio parquet contro l’Olympiakos (dopo che le due squadre in semifinale avevano superato rispettivamente Fenerbahce e Cska Mosca). Merengues che invece nell’atto finale della Liga ACB hanno battuto i rivali storici del Barcellona detentori del titolo con un secco 3-0. Detto che da noi è arrivata la storica vittoria dello scudetto da parte di Sassari al termine di un’incredibile serie finale con Reggio Emilia, in giro per l’Europa i maggiori campionati hanno visto in Germania affermarsi il Bamberg per la quinta volta negli ultimi sei anni (e settima negli ultimi 11), battendo il nuovo e ambizioso Bayern Monaco, vincitore nel 2014, in Francia ha festeggiato per il secondo hanno di fila il Limoges (in finale sullo Strasburgo), in Grecia l’eterno duello tra Olympiakos e Panathinaikos (negli ultimi vent’anni largamente in favore dei verdi) questa volta è stato appannaggio dei primi, mentre la Lega VTB è stata come al solito dominata dai russi del Cska. La sorpresa dell’anno è arrivata dalla Turchia, dove il Pinar Karsiyaka ha prima messo in fila il favoritissimo Fenerbahce in semifinale e poi il più quotato Efes in finale con un netto 4-1 chiudendo in bellezza un super finale di stagione. Per la società di Smirne, che la stagione precedente si era già fatta notare vincendo la coppa nazionale, si è trattato del secondo titolo della sua storia dopo quasi trent’anni dal primo, mentre per il campionato turco sono arrivati i quarti vincitori diversi nelle ultime 4 edizioni, dopo Fenerbahce, Galatasaray e Besiktas.

A settembre c’è stata la 39esima edizione dei Campionati Europei, disputati tra Croazia, Lettonia, Germania e Francia, con la fase finale a Lille e con Parker e compagni grandi favoriti. A festeggiare però alla fine è stata la Spagna, al terzo successo nelle ultime quattro edizioni, arrivata alla manifestazione con tante sue stelle assenti, ma alla quale sono bastati i campioni presenti (con Pau Gasol mvp del torneo) per superare prima la Francia in semifinale e poi la Lituania nella finalissima. Per i galletti, vincitori nel 2013, la consolazione del terzo posto ai danni della Serbia, mentre per l’Italia, presentatasi finalmente con tutti i suoi Nba e con tante speranze, la competizione si è fermata nei quarti contro la Lituania, ottenendo almeno la possibilità di partecipare al prossimo torneo preolimpico con obiettivo un pass per Rio 2016.

NBA. Parlando di basket il 2015 è stato l’anno dei Golden State Warriors, che grazie alle magie dell’mvp della stagione Steph Curry, aiutato dall’altro Splash Brother Klay Thompson e con Andre Iguodala decisivo nella serie finale (ed eletto infatti miglior giocatore delle Finals), sono riusciti a riportare il titolo ad Oakland dopo quarant’anni esatti dall’ultimo del 1975. Per loro un’annata semplicemente strepitosa, dove tutto è girato anche dalla loro parte, a partire dall’assenza degli Oklahoma City Thunder dalla griglia dei playoff (penalizzati dal lungo infortunio di Durant), fino all’aver affrontato in finale quel che rimaneva dei Cleveland Cavaliers, con il solo Lebron James a far le veci anche delle altre due stelle Irving e Love, entrambi fuori causa per problemi fisici. Una serie finale terminata 4-2 e che quindi è stata meno spettacolare ed equilibrata di quello che poteva essere, nonostante Lebron all’inizio sia riuscito a mettere realmente paura a Curry e compagni, ma non scalfendo la consapevolezza di tutti che in quella situazione alla fine a trionfare sarebbero stati quelli con l’altra maglia. Warriors che in precedenza si erano sbarazzati di New Orleans, Memphis e Houston e che hanno iniziato questa nuova stagione mettendo subito in chiaro che per portare via il titolo dalla baia servirà gli avversari dovranno superarsi, visti i record di questi primi due mesi infranti da quello in maglia numero 30 e soci.

La miglior partenza di sempre per una squadra Nba si è fermata a 24 successi di fila sul campo dei Milwaukee Bucks (a sole 5 partite dalla serie più lunga di vittorie totali consecutive, 33, dei Lakers del 1971-72), ma Golden State ha subito ripreso il suo incredibile ruolino di marcia (al momento è 29-1), battendo Lebron e i suoi Cavs la sera di Natale nella prima sfida stagionale tra i due team (in attesa di incrociare Thunder e Spurs nell’anno nuovo) e il record dei Chicago Bulls di Michael Jordan, che nel 1995-96 conclusero con 72 vittorie e sole 10 sconfitte, sembra essere concretamente nel mirino di questo gruppo guidato dal fenomeno Curry, che finora sta viaggiando a più di 31 punti a partita e ha già in tasca il riconoscimento di mvp anche per questa stagione.

Record a parte, per riconfermarsi anche a giugno i Warriors dovranno fare ancora di più dell’anno scorso perché quest’anno la corsa all’anello si annuncia più entusiasmante e combattuta che mai, con ad Est la finalista designata Cleveland (nonostante un maggiore livello di tutta la conference) che con il ritorno anche di Irving potrà far vedere fin da ora tutto il suo potenziale, mentre ad Ovest Golden State dovrà vedersela, su tutte, con gli Spurs rinnovati dall’innesto estivo di Lamarcus Aldridge, i sempre agguerriti Thunder alla ricerca della loro consacrazione e i Clippers della coppia Paul e Griffin, che dopo l’ennesima delusione della passata stagione si sono ripresentati al via con uno dei roster con maggiore qualità di tutta la lega.

Sport USA. Rimanendo negli States, negli altri tre sport più popolari, nella NFL hanno trionfato i New England Patriots di Tom Brady, che lo scorso febbraio si sono aggiudicati la 49esima edizione del Super Bowl battendo i Seattle Seahawks all’interno del solito show in mondovisione, nel baseball (MLB) a festeggiare sono stati i Kansas City Royals (battuti in finale i New York Mets), mentre nell’hockey su ghiaccio (NHL) hanno conquistato il titolo i Chicago Blackhawks vincendo l’ultimo atto contro i Tampa Bay Lightning.

L’ultimo torneo ad emettere il suo verdetto negli USA è stato quello di calcio della MLS, competizione che da quelle parti non ha ancora raggiunto gli altri quattro sport nazionali, ma apice di un movimento che negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo e crescita costanti (anche sulla scia dell’arrivo di qualche ex stella del vecchio continente), nonostante il livello sul campo sia ancora quello che è, con chiari margini di miglioramento. A succedere ai Los Angeles Galaxy nell’albo d’oro sono stati i Portland Timbers, al primo successo della loro storia, grazie al successo per 2-1 nella finale contro i Columbus Crew.

Per quanto riguarda i nostri due italiani impegnati da quelle parti, l’ormai logoro Pirlo non è riuscito ad incidere nemmeno in un campionato dal livello e dai ritmi certamente non eccelsi, mentre Giovinco ha conquistato tutti a suon di dribbling e gol, che gli sono valsi il premio di miglior giocatore del torneo e di vincitore della classifica marcatori con 22 centri (mettendosi alle spalle vecchie conoscenze del nostro calcio come Robbie Keane, David Villa, Oba Martins, Wright-Phillips e Kakà). Detto della consistenza delle difese avversarie non certo invalicabili, per l’ex juventino una bella rivincita, la dimostrazione che probabilmente nella nostra Serie A poteva starci benissimo (non da panchinaro, ma in campo a fare la differenza) e una seria candidatura per un posto in Nazionale in vista dei prossimi Europei in Francia. Dallo scorso luglio i tifosi statunitensi possono ammirare anche uno dei giocatori più forti degli ultimi vent’anni, lo storico capitano del Liverpool Steven Gerrard, che ha deciso di giocare i suoi ultimi anni di carriera con la maglia dei Los Angeles Galaxy, stessa strada scelta dal connazionale Frank Lampard, l’altro centrocampista simbolo degli anni duemila, che dalla scorsa estate ha portato la sua esperienza ai neonati New York City.

Sudamerica. Spostandoci in Sud America, il pallone ritorna ad essere lo sport più seguito, specialmente se si parla di Brasile e Argentina. Il 2015 ha visto festeggiare da una parte il sesto titolo della storia del Corinthians, dopo quello del 2011 e dopo due successi di fila del Cruzeiro, mentre dall’altra ha messo tutti in riga il Boca Juniors di Tevez e del forse futuro interista Calleri, al termine di un inusuale campionato a trenta squadre, nell’ambito della riforma iniziata un anno fa e che dovrebbe portare ad avere nel 2019-20 un torneo con 22 formazioni con durata annuale su modelli di quelli europei (quindi senza Apertura e Clausura). Detto del trionfo del River Plate in Libertadores, solo poche settimane fa è stata assegnata anche la Copa Sudamericana (praticamente la loro versione della nostra Europa League), con la prima gioia internazionale dei colombiani del Santa Fe, che in finale hanno avuto la meglio sugli argentini dell’Huracan, un’altra formazione che alo stesso modo poteva riscrivere la propria storia durante questo 2015.

Calcio. Tornando in Europa, in ambito calcistico, a parte il solito Barcellona che oltre alla Liga ha messo nel proprio palmares un’altra Champions e un’ altra Supercoppa Europea, a livello internazionale è stato protagonista anche il Siviglia, come spesso accaduto negli ultimi anni. La formazione andalusa del neo milanista Bacca si è infatti aggiudicata per la seconda volta consecutiva l’Europa League (e quarto successo nelle ultime nove edizioni, considerando anche la vecchia Coppa Uefa), battendo in finale la sorpresa Dnipro. In Spagna la delusione è stato il Real Madrid di Ancelotti, che dopo la rocambolesca Champions del 2014, nella passata stagione a livello di obiettivi mancati non poteva fare peggio e anche in questo campionato, con in panchina Benitez, si ritrova già attardato nei confronti del Barça.

I campioni nazionali dei quattro maggiori campionati europei (oltre la Juve in Italia) sono stati Barcellona in Spagna, Chelsea in Inghilterra, Bayern Monaco in Germania e Paris Saint Germain in Francia, quattro successi netti, nonostante Real e Lione ci abbiano almeno provato fino alle ultime giornate, mentre in Premier i Blues (primi dopo 4 anni nei quali avevano comandato le due squadre di Manchester) hanno tenuto a distanza il City arrivato secondo e in Bundesliga il +10 finale sul Wolfsburg quasi non rende l’idea di un torneo deciso con larghissimo anticipo. E la stagione in corso (a parte in Premier League) non sembra in grado di poter riservare sorprese, visto che fra qualche mese a festeggiare dovrebbero essere ancora le solite. Di sicuro lo faranno PSG e Bayern, protagonisti di un cammino a parte nei rispettivi campionati, con Ibrahimovic e compagni che al termine del girone d’andata hanno un assurdo vantaggio di 19 punti sul Monaco secondo (e subito dietro ci sono Angers e Caen, con le rivali storiche come Lione e Marsiglia ancora più attardate), mentre i tedeschi sono arrivati alla pausa invernale con un margine di  8 punti sul Borussia Dortmund, risvegliatosi dopo la strana stagione scorsa e sempre pericoloso, ma non in grado di reggere il ritmo dell’armata bavarese. Anche in Liga la sensazione è che il titolo rimanga in Catalogna e il prossimo maggio il luogo di festa siano ancora le Ramblas, sebbene la classifica dica che (con una partita da recuperare per il Barça) l’Atletico sia a pari punti in testa e il Real solo due punti dietro. Ma in un campionato dove le tre grandi perdono pochissimi punti per strada e diventano decisivi gli scontri diretti (e lo scorso 21 novembre al Bernabeu i blaugrana hanno rifilato un poker a Ronaldo e compagni), anche un vantaggio di questo genere può essere portato fino in fondo (e da gennaio la rosa del Barcellona verrà arricchita da Aleix Vidal e soprattutto Arda Turan, gli acquisti estivi finora indisponibili per il blocco del mercato inflitto alla società catalana un anno e mezzo fa per via di violazioni nel tesseramento di calciatori minori di età).

L’unico detentore che ormai certamente non riuscirà a confermarsi campione è il Chelsea, che a causa di questi suoi primi 5 mesi shock ora si trova a -19 dal primo posto del , a dir poco, sorprendente Leicester, ma soprattutto a 17 e 16 lunghezze rispettivamente da Arsenal e City e anche lo United in profonda crisi è comunque distante dieci punti. Come sempre, ma a maggior ragione quest’anno, il campionato inglese si annuncia come il più divertente e incerto di tutti, e il merito questa volta è anche del Leicester, la squadra che anche al di qua della Manica si è meritata i titoli e le prime pagine dei giornali in questi ultimi mesi. I Foxes, ultimi di questi tempi un anno fa, sono i protagonisti di una favola che sta andando ben oltre le storie che ogni tanto il calcio inglese regala ai suoi appassionati, fatta di rimonte, incredibili vittorie e record infranti. I due nomi saliti alla ribalta sono senza dubbio quelli di Jamie Vardy e Riyad Mahrez, autentici trascinatori della squadra e al momento al primo e secondo posto nella classifica marcatori (rispettivamente con 15 e 13 gol), alla faccia dei vari Aguero, Diego Costa o Rooney.

Il primo è l’attaccante che ha strappato ad un mostro sacro come Ruud Van Nistelrooy il record di partite consecutive andate a segno (11, l’olandese si era fermato a 10, mentre sono state addirittura 14 di fila quelle in cui ha contribuito con almeno una rete o un assist). Tutto questo mentre solo 4 anni fa, nel 2012 (quando Vardy aveva già 25 anni), l’attuale numero 9 del Leicester era tesserato per il Fletwood Town, formazione che giocava nel campionato Conference in quinta categoria, che in Italia corrisponde all’Eccellenza. Era quindi un calciatore dilettante, ma la sua storia è ancora più incredibile se si pensa che qualche anno prima, quando era giovanissimo, quello del calcio era poco più di un hobby da affiancare al lavoro di operaio all’interno di una fabbrica di fibra di carbonio a Stocksbridge. Per Vardy, ovviamente convocato negli ultimi impegni della nazionale inglese per le qualificazioni agli Europei, si è iniziato a parlare di grandi club e nella prossima stagione (ma non già in questa sessione di gennaio) potrebbe vestire la maglia dello United (ma sono in lizza altre big come Liverpool o Tottenham). Se però con la punta c’è il rischio che questa possa essere una stagione eccezionale (in questo momento potrebbe segnare tirando anche da casa sua) e difficilmente ripetibile sia restando al Leicester, ma soprattutto in una grande squadra, quello che potrebbe essere un vero colpo della prossima sessione di mercato è l’attuale compagno, l’algerino 24enne Mahrez, centrocampista esterno offensivo che con la sua velocità, i suoi dribbling e suoi gol è già finito nel mirino del Real Madrid (e non solo).

Quanto possa durare ancora la magia del Leicester non è facile dirlo, immaginarli ancora in quella posizione nella fase finale del campionato sarebbe miracoloso, perché sebbene oltre ai due protagonisti citati ci siano altri buoni giocatori, alla lunga i Foxes dovrebbero lasciare il passo alle formazioni largamente più attrezzate e vere favorite alla vittoria finale, Manchester City su tutte (con l’inaffidabile Arsenal in agguato e lo United adesso indietro e inspiegabilmente senza gioco, ma con un potenziale offensivo sulla carta enorme). Comunque andrà nel prossimo anno, l’impresa del Leicester in questa seconda parte di 2015 resterà negli annali per molto tempo, a ricordare questa Premier League a tratti senza senso e magica anche per altre piccole squadre, come il Crystal Palace e il Watford (tra le cui fila gioca l’ex udinese Ighalo, secondo bomber dietro a Vardy con 14 centri), entrambe a ridosso delle primissime posizioni.

Altre formazioni campioni nel 2015 , molte delle quali per l’ennesima volta, sparse in giro nei vari campionati nazionali europei sono state il Benfica (Portogallo), PSV (Olanda), Zenit (Russia), Basilea (Svizzera), Galatasaray (Turchia), Salisburgo (Austria), Gent (per la prima volta in Belgio), Ludogorets (Bulgaria), Dinamo Zagabria (Croazia), Midtjylland (per la prima volta in Danimarca), Olympiakos (Grecia), Maccabi Tel Aviv (Israele), Lech Poznan (Polonia), Dundalk (Irlanda), New Saints (Galles), Celtci Glasgow (Scozia, mentre i rivali dei Rangers, falliti qualche anno fa, sono riusciti a ritornare in seconda divisione), Viktoria Plzen (Repubblica Ceca), Steaua Bucarest (Romania), Partizan (Serbia), Trencin(per la prima volta in Slovacchia), Maribor (Slovenia), Dynamo Kiev (Ucraina), Videoton (Ungheria), Norrkoping (Svezia) e Rosenborg (Norvegia), questi ultimi diventati famosi anche da noi nell’ultimo periodo per un coro durante i festeggiamenti che ha coinvolto giocatori e tifosi ed è diventato virale sul web.

In questo 2015 si sono svolti anche gli incontri di qualificazione delle nazionali decisivi per approdare ai prossimi Campionati Europei, in programma in Francia a partire dal 10 giugno, il primo allargato a 24 squadre e con gli ottavi di finale. Delle 53 nazionali che hanno preso parte ai gironi di qualificazione sono uscite le migliori 23 (più la Francia presente di diritto come paese ospitante) che fra qualche mese si sfideranno con l’obiettivo di scalzare dal trono i campioni in carica della Spagna. L’unica grande assente sarà l’Olanda, arrivata quarta e quindi eliminata in un girone che alla fine ha premiato anche la terza come migliore del lotto (la Turchia), con gli Orange protagonisti di un cammino orribile e che sono andati incontro a figuracce come lo 0-2 interno con l’Islanda, il 2-3 sempre in casa con la Repubblica Ceca nell’ultimo turno quando almeno dovevano salvare l’orgoglio, la sconfitta per 2-0 in Islanda e la batosta (3-0) rimediata in Turchia. Capaci di vincere solo contro Lettonia e Kazakistan, e con i kazaki i due successi sono stati tutt’altro che agevoli, i vari Van Persie, Sneijder e Depay (Robben è stato quasi sempre fuori causa per problemi fisici) hanno dovuto dire meritatamente addio all’ultima fase della competizione.

Per il resto tutto è andato secondo copione, con le migliori che hanno finito nelle prime due posizioni e tutte o quasi le più forti passate come prime dei rispettivi gironi (l’unica capolista a sorpresa è stata l’Irlanda del Nord, mentre l’Austria, una delle squadre che ha mostrato il gioco migliore e ha portato a casa 9 vittorie su dieci, ha strappato il primo posto a Russia e Svezia). Le indicazioni in vista della fase finale hanno confermato che subito dietro le solite Germania (leggermente in calo) e Spagna (ancora inspiegabile il passo falso in Brasile), bisognerà fare attenzione al Belgio pieno zeppo di talento dal centrocampo in avanti e alla rinnovata Inghilterra (unica a concludere a punteggio pieno e che deve riscattare il pessimo Mondiale di due anni fa), oltre che ai padroni di casa della Francia, non impegnata nelle qualificazioni, ma che durante l’arco di amichevoli disputate nell’ultimo anno e mezzo ha messo in mostra la crescita delle sue giovani stelle, da Pogba a Lacazette, da Griezmann a Martial.

Outsider minori la Croazia della coppia d’attacco “italiana” Mandzukic e Kalinic, giunta seconda nel gruppo dell’Italia, il Portogallo, come al solito però troppo Ronaldo-dipendente e poi la nostra nazionale, con gli azzurri che in alcuni ruoli non sono al livello delle formazioni favorite, ma che nel complesso hanno molta più qualità di quello che spesso si è detto negli ultimi due anni (e l’approdo ai quarti dovrebbe essere il minimo sindacale).

Le ultime a strappare il pass sono state le quattro nazionali che hanno dovuto superare gli spareggi dello scorso novembre : l’Ucraina ha rispettato il pronostico contro la Slovenia, l’Irlanda ha avuto la meglio sull’incompiuta Bosnia del duo “giallorosso” Dzeko-Pjanic, l’Ungheria un po’ a sorpresa ha battuto la Norvegia e infine la Svezia, o sarebbe meglio dire Ibrahimovic, ha superato la Danimarca. Quelle che invece hanno già vinto il loro Europeo sono le 5 nazionali che hanno festeggiato la prima storica qualificazione alla fase finale e sono l’Islanda (la prima a qualificarsi e quella che ha destato più simpatia, con i suoi poco più di 300 mila abitanti e un territorio non certo ospitale per fare calcio), il Galles di Gareth Bale, l’Irlanda del Nord (la nazionale che un tempo fu di George Best), l’Albania e la Slovacchia, con le ultime due capaci rispettivamente di trionfare in Portogallo e battere i campioni in carica della Spagna. Sarà per tutte e cinque la prima esperienza ad un Europeo, ma se per Islanda e Albania sarà l’esordio in una manifestazione internazionale, per le altre sarà la seconda volta dopo la partecipazione ad un Mondiale, Galles e Irlanda del Nord tutte e due nel lontano 1958, la Slovacchia nell’edizione del 2010 (e noi italiani ce lo ricordiamo bene).

Ronaldo. A livello individuale lo scorso gennaio a Zurigo Cristiano Ronaldo ha ricevuto il suo terzo Pallone d’Oro FIFA, bissando il successo dell’anno precedente (anche grazie alla conquista della Champions 2014 con il Real), davanti a Lionel Messi e Manuel Neuer. Per quanto possa valere un premio in cui nei primi 50 candidati viene inserito il nome di Gary Medel (mentre nel 2010 di Diego Milito non c’era traccia), i tre finalisti del 2015 sono i soliti due, Messi e Ronaldo, in compagnia di Neymar, con la Pulce argentina che, a meno di clamorosi ribaltoni, dovrebbe riprendersi quel trofeo di cui ha già quattro copie nella sua personalissima bacheca. Se a livello personale il numero dieci del Barça ha fatto meglio, ma non così nettamente del portoghese del Real (che ha appena riscritto il record di gol nella prima fase a gironi di Champions, 11), tutta la differenza la fanno i successi dei due club, con il Barcellona dominatore tra le altre di Liga e Champions e i blancos rimasti a bocca asciutta, ma per il futuro i due dovranno guardarsi seriamente dall’avanzata di Neymar, il fenomeno brasiliano compagno di Messi non più solamente spettacolare ma sempre più concreto e decisivo, ormai entrato perfettamente nel calcio europeo e sempre più vicino al livello delle altre due superstar che hanno monopolizzato quest’ultimo decennio.

Cristiano Ronaldo ad ottobre ha poi ricevuto anche la Scarpa d’Oro 2014-2015, il premio che va al miglior realizzatore in Europa della stagione tenendo conto delle marcature messe a segno nei rispettivi campionati più un particolare coefficiente UEFA. Secondo era arrivato manco a dirlo Messi, ma la corsa alla prossima Scarpa d’Oro 2015-2016 è già iniziata e forse quest’anno potremmo avere una sorpresa, con i due fenomeni leggermente attardati e che al momento stanno lasciando strada ad Aubameyang, l’attaccante del Gabon ex primavera del Milan e da tre stagioni in forza al Borussia Dortmund, capocannoniere della Bundesliga con 18 reti, ma la corsa aperta per molti, da Lewandowski (anche miglior bomber delle qualificazioni europee con la sua Polonia) del Bayern a Lukaku dell’Everton, da Neymar a Gonzalo Higuain, il re di questi primi mesi della nostra Serie A.

Ciclismo. Conclusa l’ampia pagina calcistica, trattiamo gli eventi più importanti degli altri sport che hanno caratterizzato il 2015, partendo dal ciclismo. Questi i risultati dei tre principali appuntamenti : il Giro d’Italia è andato allo spagnolo Alberto Contador, nuovamente dominatore sulle nostre strade dopo il titolo del 2008 (il successo del 2011 gli è stato revocato), con Fabio Aru secondo e l’altro iberico Mikel Landa terzo; a Parigi ha trionfato il britannico Chris Froome, che in luglio ha conquistato il suo secondo Tour de France (dopo l’edizione del 2013), mettendosi alle spalle il colombiano Nairo Quintana e lo spagnolo Alejandro Valverde ; infine la Vuelta spagnola se l’è aggiudicata il nostro Fabio Aru, con il corridore di casa Joaquim Rodriguez e il polacco Rafal Majka a completare il podio. Per il venticinquenne sardo, che quest’anno ha deciso di concentrare le proprie forze sul Tour de France, dopo i due podi negli ultimi due Giri d’Italia è arrivata quindi la prima gioia in una grande corsa a tappe, con la speranza dei tanti appassionati italiani che questo sia stato solo il primo grande successo di quello che certamente è il futuro del ciclismo azzurro. È stato un anno invece meno brillante per il numero uno del nostro movimento, Vincenzo Nibali, che dopo aver conquistato il Tour del 2014, la scorsa stagione non è andato oltre il quarto posto finale a Parigi, mentre alla Vuelta è stato squalificato per un’ingenuità già alla seconda tappa.

Dei campioni attesi alla fine quello che è rimasto a mani vuote è stato Quintana, il venticinquenne scalatore colombiano partito con grandi propositi ma non andato oltre il secondo posto al Tour e addirittura fuori dal podio (4°) in Spagna, ma viste le sue capacità in salita non dovrebbe essere lontano il giorno in cui lo vedremo di nuovo a concludere a braccia alzate una delle tre maggiori corse a tappe, dopo il successo nel Giro del 2014. E’ stato finalmente, invece, un anno di riscatto per il velocista slovacco Peter Sagan, 26 anni il prossimo 26 gennaio, quello che sembrava essere l’eterno piazzato ai grandi appuntamenti, spesse volte secondo, ma che lo scorso settembre si è laureato campione iridato nella prova in linea dei Campionati del Mondo corsi a Richmond, negli Stati Uniti, scattando a due kilometri dal traguardo e diventando così il primo ciclista della Slovacchia a vincere un mondiale su strada.

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Rugby. Nel rugby i due eventi principali sono stati il torneo delle Sei Nazioni, tenutosi tra febbraio e marzo, e l’ottava edizione della Coppa del Mondo, svoltasi in Inghilterra tra settembre e fine ottobre. Nel Sei Nazioni si è aggiudicato il torneo  per la seconda volta consecutiva l’Irlanda, vittoria arrivata solamente in virtù della miglior differenza punti, visto che anche Inghilterra e Galles hanno concluso con 4 successi e 1 sconfitta (e addirittura prima dell’ultima giornata matematicamente era in corsa anche la Francia). Un altro Sei Nazioni amaro per la nazionale italiana, in grado di centrare il suo unico successo ad Edinburgo, contro la Scozia che ha concluso la manifestazione con il simbolico cucchiaio di legno. La Coppa del Mondo ha visto il trionfo della Nuova Zelanda, prima squadra ad arrivare a tre successi e per due volte consecutive (nelle altre due occasioni gli All Blacks erano stati la federazione ospitante), grazie alla vittoria in finale sull’Australia. E’ stata la prima volta nella storia del torneo che nessuna nazione dell’emisfero nord ha raggiunto le semifinali (oltre a Nuova Zelanda e Australia, nelle prime quattro anche Argentina e Sud Africa) ed è stato anche il primo caso la squadra della federazione ospite, l’Inghilterra, non ha raggiunto la fase ad eliminazione diretta (ma questo non ha impedito il record di incassi e di pubblico). L’Italia non è riuscita ad accedere all’ultima fase, ma con il terzo posto nel suo girone si è assicurata la partecipazione alla prossima edizione del 2019, che per la prima volta sarà in Giappone (la cui nazionale nell’ultimo torneo si è regalata qualche giorno di fama mondiale dopo aver incredibilmente battuto nel girone il Sud Africa).

All Blacks che meno di tre settimane dopo la conquista della coppa, hanno dovuto omaggiare con un’ultima “Haka” Jonah Lomu, la leggenda neozelandese della palla ovale, morto improvvisamente all’età di 40 anni, ma dopo aver lottato tutta la vita con gravi problemi ai reni, che quando aveva solo 24 anni lo avevano costretto ad un trapianto che di fatto gli aveva interrotto la carriera anzitempo. Una carriera ad alto livello troppo breve, ma che lo aveva portato lo stesso a diventare il rugbista universalmente più popolare e riconoscibile, una vera superstar che ha contribuito allo sviluppo del rugby stesso, autore di 37 mete in 63 test match con gli All Blacks (la prima a soli 17 anni, il più giovane esordiente di sempre, contro la Francia) ed ancora oggi recordman di mete totali realizzate nelle Coppe del Mondo (15), numero eguagliato quest’anno dal sudafricano Habana, con la differenza che Lomu ci riuscì nell’arco di sole due edizioni del torneo.

Volley. Solito anno ricco di manifestazioni internazionali anche per la pallavolo, sia maschile che femminile. Per quanto riguarda gli uomini nella World League è arrivata la prima vittoria della storia per la Francia che ha battuto in finale la Serbia (terzi gli USA), la Coppa del Mondo, giocatasi in Giappone, è stata conquistata per la seconda volta dagli Stati Uniti, davanti all’Italia e alla Polonia, mentre il Campionato Europeo, che si è svolto tra Bulgaria e Italia (sedi italiane Busto Arsizio e Torino) è andato per la prima volta anche in questo caso alla nazionale francese (con seconda la Slovenia e terza l’Italia). Nelle donne il World Grand Prix è andato per la sesta volta agli Stati Uniti (davanti a Russia e Brasile), in Giappone il Mondiale se lo sono aggiudicate per la quarta volta le cinesi (seconde le serbe e terze le statunitensi), infine in Olanda la Russia si è portata a casa il sesto titolo europeo (secondo di fila), battendo in finale le padrone di casa e con la Serbia medaglia di bronzo.

Atletica. Per il mondo dell’atletica leggera il momento clou è stata la quindicesima edizione dei Campionati del mondo, svolti a Pechino, in Cina, dal 22 al 30 agosto. L’attesa del mondo intero era tutta su Usain Bolt, reduce da due stagioni difficili e che per la prima volta dopo anni si presentava alla gara regina dei 100 metri non da assoluto favorito, ma anzi i pronostici pendevano sull’americano Justin Gatlin, imbattuto negli ultimi 23 mesi. E invece l’uomo più veloce del pianeta è stato ancora lui, per la terza volta dopo Berlino 2009 e Mosca 2013 (raggiunti Carl Lewis e Maurice Greene nel ristretto club degli sprinter tri-campioni mondiali), fermando il cronometro a 9”79 e battendo di un soffio (un centesimo) proprio Gatlin. Sul gradino più basso del podio il canadese Andre De Grasse e Trayvon Bromell, arrivati entrambi in 9”92. Finale dei 100 metri che verrà ricordata anche per aver visto la presenza di ben 4 sprinter squalificati in passato per casi di doping : lo stesso Gatlin, Tyson Gay, Mike Rodgers e il connazionale di Bolt, Asafa Powell. Mondiali di Pechino che sono diventati un tripudio per il ventinovenne Usain, che, grazie alla successiva vittoria anche nei 200 metri sempre davanti a Gatlin e al successo nella staffetta 4×100 con la squadra giamaicana (mettendo ko gli Usa dei soliti Gatlin e Gay), è diventato l’atleta con più medaglie (13, di cui ben 11 ori) nella storia della rassegna iridata (i primi due argenti ad Osaka 2007, poi i tre titoli a Berlino 2009, due a Daegu 2011, tre a Mosca 2013 e gli ultimi tre di Pechino). Il tutto nello stadio dove, ai Giochi olimpici del 2008, era sbocciata la sua leggenda. Bolt finito ko solo da un involontario sgambetto di un maldestro operatore tv cinese al termine della sua gara, momenti catturati in un video diventato tra i più cliccati di quei mesi.

La festa della Giamaica è stata completata dalla vittoria anche delle donne nella staffetta finale (con le americane relegate in seconda posizione), successo che ha contribuito al terzo posto finale nel medagliere complessivo per la nazione centroamericana con 12 medaglie, dietro al Kenya con 16 agli Usa primatisti con 18 (ma Kenya e Giamaica hanno chiuso con 7 ori, mentre gli americani con 6).

Mondo dell’atletica che negli ultimi due mesi dell’anno è finito nella bufera per l’uscita delle notizie riguardanti il doping e la federazione russa, con la IAAF che ha sospeso la Russia da qualsiasi prossima manifestazione (di sicuro salterà i Mondiali indoor di marzo, ma al momento è fuori anche dalle Olimpiadi di Rio) e richiesto la squalifica a vita di 5 atleti, tra cui l’olimpionica Safinova. L’accusa e i fatti sono pesantissimi, si parla di doping di Stato, la federazione russa continua a difendersi, ma intanto la Wada, l’agenzia mondiale antidoping, ha già messo nel mirino altre agenzie nazionali dichiarate non conformi e che rischiano guai seri,  e si va dalle piccole Bolivia o Andorra, alle più importanti Argentina e Brasile, fino alle posizioni da chiarire di Spagna e Francia.

Non si parla neanche lontanamente di doping di Stato, ma anche in Italia l’anno dell’atletica non si è chiuso nel migliore dei modi (e non si parla degli scarsi risultati ottenuti), infatti lo scorso 2 dicembre sono stati deferiti, con richiesta di squalifica e stop per 24 mesi, ben 26 atleti azzurri. L’accusa è eluso controllo antidoping e tra quelli coinvolti sono emersi nomi di spicco del panorama italiano, dal campione europeo di maratona Fabrizio Donato all’ex saltatore con l’asta Giuseppe Gibilisco, fino ad Andrew Howe, probabilmente il volto più conosciuto. Da ricordare anche l’archiviazione richiesta per altri 39 atleti azzurri.

Social. Nell’era dei social network, il web è sempre più connesso col mondo dello sport e Facebook ha di recente decretato quali sono stati i protagonisti sportivi più discussi e commentati dell’anno attraverso i vari post o link. Il responso della top 10 ha messo ai primi due posti i pugili Floyd Mayweather e Manny Paquiao, i protagonisti di quello che lo scorso 2 maggio a Las Vegas era stato ribattezzato come il match del secolo (e vinto poi ai punti dall’americano), mentre a chiudere il podio è presente Ronda Rousey, la bella atleta americana campionessa di arti marziali miste e judo, considerata la lottatrice più forte del mondo e imbattuta fino al 14 novembre scorso, quando è finita pesantemente ko sotto i colpi della connazionale Holly Holm. In seguito alle lesioni riportate per un devastante calcio alla testa e per essersi vista letteralmente aprire in due il labbro, la Rousey dovrà rimanere fuori dall’ottagono ancora per diversi mesi, poco male per una ormai famosa in tutto il mondo, protagonista di copertine patinate e che ha all’attivo anche partecipazioni in film d’azione come Fast & Furious 7 o I Mercenari 3. Seguono in classifica gli immancabili Ronaldo e Messi e nelle prime dieci posizioni trovano spazio anche Serena William, Tevez e LeBron James.

Tornando all’evento più social del 2015, di sicuro il match tra Mayweather e Paquiao ha ricoperto d’oro i due pugili (e l’americano settimanalmente non lesina nel mostrare la sua “sobria” ricchezza accumulata in carriera), arricchito i vari organizzatori e tutto ciò che era collegato all’evento, ma certamente quello a cui i telespettatori hanno assistito non è stato lo spettacolo migliore dell’anno. Da questo punto di vista allora forse meglio l’ormai classico Super Bowl, anche nel 2015 l’evento sportivo più seguito al mondo, sempre più di moda anche qui in Italia (ma che tutti ci capiscano realmente qualcosa, tra yards e downs, non è così scontato).

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