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In Brasile scoppia il caso del nichel: un’azienda europea denuncia favoritismi verso la Cina

Pixabay

La guerra dei minerali critici è appena iniziata ma non mancano i primi scontri, anche ad alti livelli geopolitici. E’ il caso dell’intrigo che sta coinvolgendo Brasile, Europa e Cina intorno al nichel, una delle materie prime attualmente più richieste per la transizione energetica e di cui – tanto per cambiare – il Sudamerica è ricco. Non quanto l’Indonesia che ne produce la metà del totale mondiale, ma il Brasile è pur sempre tra i primi 8 produttori di nichel al mondo con quasi 100 mila tonnellate l’anno.

L’estrazione si concentra per quasi la metà nello Stato di Goias, che diventa così il teatro dello scontro tra la cinese Minmetals Corporation e l’olandese Corex Holding, di proprietà per la verità di una magnate turco, Robert Yüksel Yildirim. Pomo della discordia è la miniera di Barro Alto, che fino a pochi mesi fa era di proprietà del gruppo anglo-sudafricano Anglo American, che ha deciso di vendere il suo asset in Goias e anche quelli di un distretto non a caso chiamato Niquelandia (che insieme a Barro Alto vale 40 mila tonnellate l’anno) e di due nuovi progetti, nel Parà (dove si terrà la COP30 a novembre) e nel Mato Grosso.

Ad aggiudicarsi l’affare sono stati i cinesi, per un valore nemmeno esorbitante: mezzo miliardo di dollari. Il fatto però è che Corex, che fino a poco fa estraeva nichel solo in Europa (Kosovo e Macedonia del Nord), ha deciso di puntare forte sul Brasile e ha iniziato a fare shopping prima comprando le miniere di rame di BHP per 465 milioni di dollari, poi offrendo per i giacimenti di Barro Alto quasi il doppio di quanto fatto da Minmetals Corporation, cioè – stando alle parole di Yildirim – 900 milioni di dollari.

“Sarò molto onesto, il mio prezzo era di 900 milioni di dollari – ha detto l’imprenditore al quotidiano brasiliano Folha de Sao Paulo -. Mettetevi nei miei panni. Quando proponete un prezzo molto più alto, quasi il doppio di quello dell’altro offerente, vi aspettate almeno una chiamata che spieghi: ‘Yildirim, per questi motivi abbiamo deciso di non vendere a voi, abbiamo scelto l’altro offerente, quello cinese’. Questo non è successo e non so perché. Dovranno spiegarlo“.

Che la Cina abbia una corsia preferenziale in Brasile e in tutto il Sudamerica, dove si approvigiona di materie prime in cambio di prodotti industriali e servizi (auto elettriche di cui il mercato sudamericano è invaso, app di e-commerce e food delivery, etc), deve sicuramente esserne consapevole il boss di Corex, ma non ha intenzione di far passare liscia quella che a suo modo di vedere è una scorrettezza rispetto alle regole del libero mercato (valgono ancora?), tanto che ora il caso sta già finendo sul tavolo della Commissione europea.

Nella petizione che Corex ha già inviato a Bruxelles e anche al Cade (Consiglio brasiliano per la difesa economica), l’azienda olandese sostiene che l’operazione Barro Alto pone la Cina in una condizione di concentrazione di mercato, visto che il 60% della produzione globale di nichel sarebbe ora nelle mani di aziende legate a Pechino: “Questa operazione minaccia la concorrenza e mette a rischio anche la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Unione europea”, ha scritto Corex nel documento.

Il dato del 60% è tutto da verificare, ma considerando che le aziende cinesi hanno messo le mani sulle riserve indonesiane, le più ricche del pianeta, e che solo in Brasile salirebbero al 62% del totale nel Paese, può essere considerato verosimile. Anche se però Anglo American contesta il dato brasiliano, sostenendo che la percentuale sia solo del 52%, e rivendica la correttezza dell’affare, che “rientra nella semplificazione del portafoglio globale dell’azienda, che mira a concentrarsi sulla produzione di rame, minerale di ferro di alta qualità e nutrienti agricoli”.

“Il processo di vendita – spiega ancora la multinazionale – è stato rigoroso, abbiamo scelto un compratore affidabile e riteniamo che dall’accordo trarranno beneficio tutte le parti interessate, inclusi i territori e i lavoratori”. Vedremo se, interpellata, Bruxelles sarà d’accordo o se il caso monterà.

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