Mentre il consumo globale di vino rallenta (-3,3% nel 2024), l’Italia va in controtendenza: produzione in aumento del 15,1% e consumi stabili (+0,1%). A fotografare lo stato di salute del settore è l’ultima indagine dell’Area Studi Mediobanca, che analizza i bilanci delle 255 principali società vinicole italiane (con ricavi 2023 oltre i 20 milioni di euro) per un totale di 11,7 miliardi di euro, pari al 94,9% del fatturato nazionale.
Il 2024 si è chiuso con vendite pressoché stabili (+0,3%), ma i quantitativi venduti sono scesi del 2,5%, con performance negative soprattutto nel canale fuori casa: -4,9% nell’Ho.Re.Ca. e -8,4% per enoteche e wine bar. In compenso, l’export ha sostenuto il comparto (+0,7%), spinto soprattutto dagli spumanti (+9,1%). Per il 2025, i produttori si attendono una crescita delle vendite del 1,7% a livello complessivo, con le bollicine ancora protagoniste: +4,4% i ricavi attesi, +6,1% l’export.
Italia regina del mercato, cresce l’export
L’Italia si conferma protagonista assoluta nel panorama mondiale del vino. Non solo è il primo Paese esportatore per quantità (21,7 milioni di ettolitri nel 2024) e secondo per valore (8,1 miliardi di euro, dietro alla Francia con 11,7 miliardi), ma è anche leader nella produzione, con un incremento del 15,1% rispetto al 2023, a fronte di un calo globale del 4,8%. Il saldo commerciale continua a crescere, passando in vent’anni da 2,6 a 7,5 miliardi di euro.
Quasi una bottiglia su due viene ormai consumata fuori dal Paese di produzione: la quota di vino esportato a livello globale è passata dal 27% del 2000 al 46,6% nel 2024. Le imprese italiane più votate all’export sono Fantini Group (96,1%), Ruffino (93,3%), Argea e Pasqua (entrambe oltre il 90%). Veneto, Toscana e Piemonte si confermano le regioni trainanti, con il Veneto che da solo rappresenta più del 35% dell’export nazionale.
Dalle bollicine ai vini vegani: come cambia la mappa del settore
Nel 2024 il settore è rimasto sostanzialmente stabile in termini di fatturato (+0,3%), con performance migliori fuori dai confini nazionali (+0,7%). In testa alla classifica per ricavi si conferma il gruppo Cantine Riunite-GIV con 676,6 milioni di euro (+0,6%), seguito da Argea (464,2 milioni, +3,3%) e IWB (401,9 milioni, -6,3%). Crescono realtà come La Marca (+11%) e Mack & Schühle (+19,3%). A livello di redditività, spiccano Herita Marzotto Wine Estates (Ebit margin 17,8%), Antinori (12%) e Mionetto (9,2%).
Le esportazioni dominano i bilanci di molte aziende: in alcuni casi, come per Fantini Group o Ruffino, la quota export supera il 90%. Quanto alla governance, permane la forte impronta familiare: il 65% del capitale è in mano alle famiglie, che diventano oltre l’80% se si includono le cooperative. Il passaggio generazionale è una sfida aperta: circa il 40% delle aziende è in fase di transizione, mentre un altro 16% sta valutando come affrontarla. Il mercato azionario resta marginale: solo due società sono quotate all’Euronext Growth Milan (Masi Agricola e IWB).
La sostenibilità è sempre più presente nei piani aziendali. I vini vegani registrano la crescita più marcata (+31,7%), pur con una quota di mercato ancora ridotta (0,9%). I vini naturali crescono del 4,2%, mentre calano i biologici (-2,6%). Il 60% delle aziende ha già adottato report Esg, anche se solo nel 16,7% dei casi esiste un manager interamente dedicato a questi temi.
In crescita anche l’enoturismo (+9% i ricavi), con tre aziende su quattro che aprono le cantine ai visitatori.
Territori protagonisti e nuove rotte del vino italiano
Il Veneto si conferma la prima regione vinicola per produzione e valore, dominando anche l’export. Seguono Puglia, Piemonte e Toscana, che pur con volumi inferiori riescono a esprimere un alto valore aggiunto. Bene anche Abruzzo, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, con quest’ultima in forte crescita nel 2024 (+8,2% vendite, +7,1% export). Proprio queste regioni, assieme alla Toscana e alle Isole, sono state protagoniste delle principali operazioni di M&A, spesso legate a esigenze di continuità aziendale o difficoltà economiche. Anche gli Stati Uniti restano un interlocutore chiave: quattro operazioni di acquisizione hanno riguardato aziende italiane oltreoceano.
Il futuro, però, si gioca su nuove sfide: l’80% delle aziende individua nell’apertura a nuovi mercati la chiave per superare il rallentamento dei consumi interni, mentre metà delle imprese guarda con interesse alla crescita delle linee no/low alcol. Resta alta anche l’attenzione ai possibili ostacoli con il 70% che teme la riduzione del potere d’acquisto, il 60% i cambiamenti nei gusti indotti dalle nuove generazioni, mentre un’azienda su due teme l’introduzione di dazi da parte degli Stati Uniti.
In questo contesto complesso, l’investimento sul capitale umano si conferma una priorità per oltre la metà delle imprese del vino italiane, più ancora delle tecnologie legate all’automazione o all’intelligenza artificiale. Un segnale che il settore, pur tra difficoltà e trasformazioni, intende restare saldamente ancorato alla sua tradizione, guardando con fiducia ai mercati globali.