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Il dollaro scende ma Wall Street sale: la teoria del sorriso spiega il paradosso secondo Fugnoli, lo strategist di Kairos

Photo by David Vives on Unsplash

Un’America meno brillante del previsto, un dollaro che perde colpi e una Borsa che, nonostante tutto, continua a salire. È questo il quadro che delinea lo strategist di Kairos Alessandro Fugnoli nell’ultima puntata del podcast “Al 4° piano”, centrata sulla teoria del sorriso del dollaro, lanciata vent’anni fa da Stephen Jen e ancora oggi sorprendentemente attuale.

Fugnoli svela come questo “smiley” economico spieghi i movimenti del dollaro tra crisi globali e riprese economiche, analizzando le scelte politiche dietro il suo recente indebolimento e il sorprendente vigore dei mercati azionari, senza tralasciare le sfide e le opportunità che attendono il 2026 per l’economia Usa e mondiale.

La teoria dello Smiley: il ciclo nascosto del dollaro tra crisi e ripresa 

“Lo Smiley è l’emoji più antico”, ricorda Fugnoli, “è la rappresentazione stilizzata su fondo giallo di un volto, con due puntini come occhi e un largo semicerchio che disegna un ampio sorriso”.

Ma non si tratta di nostalgia da emoticon: quel sorriso racconta il ciclo del dollaro americano. Ideato nel 1963 e adottato da Jen nei primi anni 2000 per spiegare l’andamento della valuta Usa, resta un’immagine efficace per capire quando il biglietto verde sale e quando cede.

“I due angoli della bocca sorridente rappresentano i due momenti in cui il dollaro è forte”, spiega Fugnoli: il primo, quando c’è una crisi globale e gli investitori cercano rifugio nella valuta più solida; il secondo, quando l’economia americana cresce più rapidamente del resto del mondo. Il tratto discendente al centro del sorriso, invece, corrisponde alle fasi in cui gli Stati Uniti rallentano e il dollaro si indebolisce.

È proprio quello che sta accadendo ora.

Un 2025 più equilibrato (per ora)

“Nei vent’anni seguiti alla sua formulazione questa teoria ha funzionato piuttosto bene”, osserva Fugnoli. “Il dollaro, solo per fare un esempio, si è rafforzato negli anni della grande crisi finanziaria, dal 2008 al 2011, e durante la fase più cupa del Covid. Ma si è anche rafforzato nel 2024, mentre l’economia americana andava a una velocità più che doppia rispetto a quella europea”.

Ora però lo scenario è cambiato. “Quest’anno, l’economia americana è finora cresciuta poco, a una velocità simile, se non inferiore, a quella di quasi tutto il resto del mondo. Ecco allora il dollaro che si indebolisce”, osserva Fugnoli.

La politica dietro la svalutazione del dollaro

Ma non è solo una dinamica di mercato: la svalutazione è anche figlia di una scelta politica. “Dietro la discesa del dollaro c’è anche una volontà politica chiaramente espressa dall’amministrazione Trump”, dice lo strategist, “quella di ridurre il disavanzo americano verso l’estero, di aumentare la competitività dell’America e di reindustrializzarla”.

Così, mentre il biglietto verde arretra, molte economie emergenti tirano il fiato (meno peso sul debito estero), mentre l’Europa, pur penalizzata sul piano della competitività, beneficia almeno di un euro forte per l’energia (petrolio e gas).

Mercati azionari 2025: tra paura e fiducia del retail

Il 2025 finora ha raccontato una storia di resilienza per i mercati azionari, contro molte aspettative.

“Nei primi mesi dell’anno i mercati europei sono saliti molto per l’attesa di misure fiscali espansive. Poi, in aprile, l’Europa è scesa meno dell’America, verso la quale c’è stato un momento di panico che ha coinvolto insieme Wall Street, i Treasuries e il dollaro”, sintetizza Fugnoli.

Per un attimo si è pensato al declino strutturale della supremazia americana, ma è durato poco: “La borsa americana ha recuperato tutto il terreno perduto e si è spinta verso nuovi massimi, mentre i Treasuries si sono stabilizzati in modo piuttosto convincente, grazie anche alla prospettiva di un maggiore spazio concesso alle banche americane per comprarli”.

E qui entrano in gioco due protagonisti: “Il retail americano ha avuto fiducia nella capacità di recupero della borsa e ha comprato sui minimi, fermando il ribasso e invertendo la direzione del mercato”, spiega Fugnoli. Gli investitori stranieri, invece, “hanno smesso di vendere azioni e le hanno poi rincorse al rialzo, ma hanno comunque continuato a vendere a termine il dollaro per coprirsi dal rischio di cambio”.

Risultato? Un raro decoupling tra un dollaro in flessione e una Wall Street che vola.

Cosa aspettarsi dal 2026: nuove sfide e opportunità

Sarà il prossimo anno a verificare la tenuta della teoria dello Smiley. “I prossimi mesi e il 2026 costituiranno un test interessante della teoria del sorriso del dollaro”, prevede Fugnoli. Le condizioni sembrano pronte: l’economia americana potrebbe riaccelerare, complice anche una Fed più aggressiva nei tagli dei tassi, dopo essersi mossa con cautela nel 2025.

Tutti questi fattori – dollaro basso, tassi in calo, politica fiscale espansiva – potrebbero sostenere ancora la corsa della borsa americana.

In pratica, è possibile che nel 2026 si assista a un ulteriore indebolimento del dollaro, ma questo non dovrebbe pregiudicare la forza dei mercati. “Sappiamo però che una borsa americana forte tende a trascinare anche gli altri mercati, che saranno a loro volta spinti dalle misure fiscali espansive adottate in Cina e in Europa”.

Una parentesi di cautela: attenzione alla stagionalità dei mercati

Attenzione però alla stagionalità. Fugnoli invita a tenere conto della ciclicità dei mercati. “A parte qualche cautela per la tarda estate e per l’autunno di quest’anno, periodo stagionalmente dedicato al consolidamento e ai realizzi, l’orizzonte di medio termine per le borse appare positivo indipendentemente dalla direzione che prenderà il dollaro”.

Un messaggio di fiducia, ma con misura. Il sorriso del dollaro, anche se un po’ storto, potrebbe ancora riservare qualche sorpresa. Ma i mercati sembrano pronti ad affrontarla.

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