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Il capitale del XXI secolo secondo Piketty: “E’ ora di democratizzare la ricchezza””

Dai mezzi di produzione fisici delle teorie di Ricardo alla critica dell’economia politica di Karl Marx. La storia economica ci ha parlato del capitale in modi differenti e sotto diverse forme. Ma oggi, nel ventunesimo secolo, cos’è il capitale? “Ho cercato di raccontare le molteplici dimensioni che ha assunto nell’economia il concetto di capitale, includendo anche forme di capitale particolare come per esempio la schiavitù. E ho provato a spostare l’attenzione dalla diseguaglianza del reddito alla diseguaglianza della ricchezza”. A parlare mercoledì dal palco dell’Università Bocconi è Thomas Piketty, quarantenne economista francese e autore del saggio del momento “Il Capitale nel XXI secolo” in cui prefigura il ritorno della società patrimoniale ottocentesca come quella dei romanzi di Balzac. Non un incontro tra ricercatori e adepti ma un evento “mondano” che ha messo insieme nella stessa stanza giovani studenti, professori, intellettuali e semplici “fan” che a fine conferenza si sono messi in fila con il libro in mano per conquistarsi un autografo. 

Piketty come una rockstar dell’economia e la Bocconi come il Forum di Assago: code prima dell’aperture dei cancelli, caccia agli ultimi posti disponibili, molti in piedi, e molti rimasti fuori dall’aula magna che non è bastata per accogliere tutti. tant’è che per chi non c’è l’ha fatta è stato allestito un collegamento video da un’altra aula dell’ateneo milanese.

“Quello che ho provato a comunicare con questo libro – ha detto Piketty che dopo la Bocconi continua in questi giorni la tournée in Italia tra conferenze e ospitate televisive – è una storia della ricchezza e della distribuzione accessibile a tutti, penso che questo tema sia troppo importante per essere lasciato solo agli economisti e politici. Non è solo questione di soldi ma riguarda le conseguenze sulla vite delle persone. L’obiettivo ultimo è contribuire alla democratizzazione della ricchezza. I problemi di disuguaglianza e di debito pubblico non sono iniziati ieri, e c’è molto da imparare mettendoli in prospettiva storica”. 

Il libro, pubblicato in Francia nel 2013 e negli Usa a febbraio 2014 (in Italia è stato appena pubblicato da Bompiani), è diventato in poco tempo un bestseller osannato dalla critica colta degli economisti, tra cui il Nobel Krugman, e allo stesso tempo è finito sul comodino di molti non adepti: in poche settimane è balzato ai primi posti della classifica sui libri più venduti del New York Times. Non un phamphlet agile da lettura serale ma un tomo da 950 pagine con tanto di grafici e tabelle e, annesso, un indirizzo web per completare le spiegazioni con altro materiale grafico e statistico. Un saggio che, oltre che nello stile, ha la sua forza nell’ampiezza dell’analisi e dell’indagine, frutto di anni di lavoro dell’economista francese. 

Oltre che per il metodo di analisi, Piketty è diventato un fenomeno mondiale per aver riportato sotto i riflettori del dibattito pubblico il tema delle disuguaglianza e della distribuzione della ricchezza in un momento in cui mai come oggi è necessario trovare nuove ricette e nuovi modelli per tornare a crescere. Proprio nelle stesse ore sempre a Milano si riunivano i vertici dei Paesi europei per parlare di lavoro. Sull’austerity Piketty ha un’idea molto chiara: “E’ stata un disastro” ha detto rilevando che l’Unione europea dovrebbe avere una politica economica più compatta, la soluzione potrebbe venire in parte da una politica fiscale comune: 18 differenti sistemi oggi non funzionano e non funzioneranno in futuro.

Per Piketty, che chiede più trasparenza sui redditi e sulla ricchezza privata, chi è nato ricco o lo è diventato difficilmente vedrà il proprio capitale ridursi, Anzi diventerà sempre più ricco perché il rendimento del capitale è superiore alla crescita dell’economia reale (Pil) e del reddito. In altre parole, il sistema economico capitalista, il famoso mercato, si muove a favore delle disuguaglianze. Per ridistribuire questa ricchezza servirebbe una tassazione che tassi i ricchi molto di più dei meno ricchi.

Negli Stati Uniti – ha spiegato nel suo intervento in Bocconi – tra il 1930 e il 1980, il tasso marginale d’imposta sui redditi più elevati è stato in media all’82% con punte superiori al 90% e di certo non ha ucciso il capitalismo americano, anzi la crescita economica di quegli anni è stata molto più forte che dal 1980 a oggi. 

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