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Idrogeno verde, in Australia gli investitori fuggono: ecco perché

Enel Group

Persino l’Australia, uno dei Paesi del mondo più impegnati nella transizione energetica e più ricco di minerali critici sul proprio territorio, rischia di veder naufragare il suo progetto green. Lo scrive Bloomberg analizzando il caso dell’idrogeno verde: il Paese oceanico già oggi è tra i leader delle rinnovabili (per fare un esempio, l’anno scorso ha avviato il progetto per il più grande impianto fotovoltaico del mondo, da 24 miliardi di dollari) e ora vorrebbe diventarlo anche dell’idrogeno verde, considerata da molti la fonte più pulita tra quelle pulite – perchè scinde l’acqua in ossigeno e idrogeno attraverso l’elettrolisi, usando energia elettrica da fonti rinnovabili – e dunque quella da preferire per una effettiva transizione, dato che l’idrogeno potenzialmente può essere usato pure come combustibile e dunque mandare in pensione il fossile.

Il cambio di paradigma di Trump e la crisi di BP stanno facendo saltare i piani

Però secondo Bloomberg l’ambizioso piano dell’Australia si starebbe sfaldando, nonostante il forte sostegno governativo e il significativo interesse del settore privato, che sono due condizioni certamente fondamentali ma a quanto pare non sufficienti. Anche perchè da qualche tempo, soprattutto per le grandi multinazionali, i paradigmi sono cambiati: un po’ perché il presidente statunitense Donald Trump ha dato il via al cambio di rotta e al ritorno sul fossile, e molte aziende stanno cogliendo la palla al balzo per abbandonare il faticoso impegno sul green, e poi perché in alcuni casi quest’ultimo si stava rivelando poco redditizio o addirittura dannoso. come per la big dell’oil BP, che pochi mesi fa ha annunciato un maxi taglio del personale di quasi 8.000 tra dipendenti e collaboratori, e che proprio in Australia aveva un progetto da 36 miliardi di dollari per produrre idrogeno verde nella regione di Pilbara.

Il colosso britannico ha però, la settimana scorsa, rinunciato all’investimento, e tra l’altro il caso ha voluto che pochi giorni fa in Brasile, nel blocco di Bumerangue al largo di Santos, abbia anche scoperto la maggiore riserva di petrolio e gas negli ultimi 25 anni in quella zona del Sudamerica. I motivi di queste rinunce, in Australia e non solo, sono pure dovuti al fatto che i costi dell’idrogeno verde rimangono alti, a differenza di quelli dell’eolico e del fotovoltaico che negli anni effettivamente sono diminuiti, come si prevedeva. Insomma sembra che non valga la pena usare fonti di energia rinnovabile per produrre idrogeno verde che poi andrebbe stoccato e distribuito. E poi, sostengono gli esperti, c’è il tema dell’Asia, il continente più energivoro che però difficilmente riuscirà ad arrivare ad emissioni zero, e quindi potrebbe pian piano diventare un cliente meno affidabile.

L’Australia da sola investe nell’idrogeno verde 7 volte più dell’Unione europea

“Non si tratta solo di un problema australiano: c’è stato un rallentamento nello sviluppo a livello globale, in gran parte perché i costi non sono scesi così rapidamente come previsto”, ha affermato a Bloomberg Simon Nicholas, analista dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis, un think tank che si propone di accelerare la transizione energetica. “Spero che lo scoppio della bolla speculativa dell’idrogeno rappresenti un’opportunità per un nuovo inizio”. L’Australia rimane comunque pioniera nel settore dell’idrogeno verde: in nessun Paese c’è la quantità di progetti e investimenti che a Sidney e dintorni, tanto che il governo li stima complessivamente in una cifra intorno ai 150 miliardi di dollari. Per fare un confronto, l’Unione europea ha stanziato 22 miliardi da qui al 2030. Ora però anche gli australiani si interrogano.

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