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I ristoratori alla Castelli: altro che cambiare, siamo il 13 % del PIL, ma Il Gambero Rosso la difende

gianfranco Vissani Chef

Non si placano le polemiche per le dichiarazioni rese dal Vice ministro Castelli al TG2. Al viceministro che parlando della crisi economica dovuta al Coronavirus aveva dichiarato «Se le persone non vanno più al ristorante, dobbiamo aiutare i ristoratori a cambiare tipologia di lavoro» replicano oggi migliaia di ristoratori con una lettera aperta all’on. Castelli firmata dalle loro organizzazioni rappresentative con alla testa un combattivo Gianfranco Vissani. Anche se la Castelli ha poi dichiarato di essere stata fraintesa («La citazione del ristorante è un esempio e non un attacco alla categoria, come strumentalmente qualcuno ha voluto far intendere»). In effetti il ragionamento della Castelli era più articolato (““Sono processi di lungo periodo, certo, ma se una persona decide di non andare più a sedersi al ristorante bisogna aiutare l’imprenditore a fare magari un’altra attività e a non perdere l’occupazione e va sostenuto anche nella sua creatività: potrebbe aver visto un nuovo business da affrontare”). Ma la frittata a quel punto era stata fatta.

“Se si sbagliano i tempi ed i modi si fa danno – così inizia la lettera aperta – Per noi il commento del viceministro al servizio mandato in onda dal TG2 è bocciato. Non siamo più disposti a scusare, a capire o giustificare. Siamo diventati intolleranti a questi scivoloni televisivi che mettono alla gogna mediatica un intero comparto. Ci hanno dato dei pigri, dei rivoluzionari, multati e adesso anche degli incapaci. Tutti questi appellativi non appartengono alla nostra categoria che rappresenta un importante colonna economica italiana ( 13% del Pil)

I ristoratori – prosegue la lettera di Vissani e delle organizzazioni che hanno aderito al documento –    non hanno mai chiesto clienti al governo, hanno chiesto sostenibilità per le riaperture. Molte attività, hanno riaperto con la consapevolezza di ricominciare in una situazione emergenziale, dove gli incassi non coprono i costi.

Con il coraggio e lo spirito di sacrificio che sempre contraddistingue la nostra categoria abbiano scelto di voler continuare a regalare una serranda alzata in città,   di voler essere vicini ai nostri collaboratori, per sopperire ad uno stato che ha lascito nell’incertezza centinaia di migliaia di lavoratori del settore.

Nonostante tutto troviamo la positività e la dignità di non mollare   e tentare di preservare occupazione e conservare la tradizione enogastronomica, elemento trainante del Made in Italy.

Abbiamo chiesto aiuti concreti e sufficienti a salvaguardare le nostre attività, disposti a farci carico di ulteriori indebitamenti non voluti e non previsti che toglieranno altri anni nostra volontà di crescita, sviluppo ed innovazione. Ci siamo solo ritrovati con un pacchetto di promesse su promesse ancora non mantenute.

A  tutto ciò si aggiunge – prosegue il documento – l’incapacità della comunicazione politica. Mai ci saremmo aspettati una dichiarazione del vice ministro Castelli totalmente fuori focus.

Da quando è cominciata l’era dell’impresa 4.0 avete propinato alle aziende digitalizzazione, robotica, e-commerce, app tecnologiche, ecologia, monopattini, delivery e tanto altro, ma nulla di tutto questo rappresenta l’essenza dei principi fondamentali della ristorazione fatto di ospitalità, accoglienza e relazione.

Ci volete vedere mangiare tutti davanti al PC in smartworkig? –  chiedono  polemicamente i firmatari della lettera aperta – Così siete liberi di ingabbiarci a casa e negli uffici e lasciare le città in balia del degrado e delle attività clandestine. Senza lavoratori, senza studenti, senza turisti migliaia di alberghi, musei e pubblici esercizi a breve abbasseranno le proprie serrande per non rialzarle più.

La politica non è show ma ha la responsabilità di dire cose giuste, nel modo giusto e con le parole giuste. Gli chef ed i ristoratori, dopo gli artisti sono la categoria più creativa che ci sia.

Caro ministro Castelli non abbiamo bisogno di aiuti per cambiare modo di fare le nostre attività. Non si risolve il problema invitando aziende non convertibili a convertirsi in altro. Non sforzatevi ad analizzare il mercato che cambia nella domanda ed offerta, lo sappiamo fare bene anche noi. In questo momento non abbiamo bisogno di sentirci dire nulla di tutto questo, abbiamo bisogno che turismo e mobilità torni a vivere nelle nostre vie. Abbiamo bisogno – conclude la lettera –  che portiate a termine le vostre promesse poi parleremo se vorrete della RISTORAZIONE 4.0”.

Il documento è firmato da Gianfranco Vissani con Treviso Imprese Unite, Ristoratori Milanesi, Associazione ristoratori valle Camonica e Associazione pubblici esercizi alta valle Camonica, Associazione ristoratori Gussago Franciacorta, Associazione Palazzolese Enogastronomica, Movimento impresa Lombardia Liguria Riparte, Ristoratori Emilia Romagna, Ristoratori Toscana, Futuro Ho.re.ca Pisa, RistorItalia, Horeca Ciociaria, Associazione Commercianti per Salerno, Movimento Impresa Puglia, A.I.O.S., ARTHoB.

Il Gambero Rosso scende però in piazza e spezza una lancia in favore del Viceministro dell’Economia, riprendendo passi delle dichiarazioni della Castelli e chiosandoli di volt in volta sottraendoli alle suggestioni di commenti affrettati e suggestivi: “si pensi ai tanti imprenditori che da secoli vivevano grazie esclusivamente alla pausa pranzo. Pubblici esercizi trasformati in mense raramente di eccellenza in cambio di un buono pasto da pochi euro. Magari chiusi alla sera. Sul serio – si chiede il Gambero Rosso – è sbagliato affermare che questo modello è probabilmente finito o comunque è in fase calante (anche quando si tornerà in ufficio allentando lo smart working)? Sul serio è sbagliato dire che chi offriva questo livello di servizio dovrebbe pensare a come cambiare registro? Sul serio è sbagliato affermare che chi fino a ieri ha campato allegramente spennando turisti extraeuropei oggi deve – invece di tener chiuso in attesa del ritorno dei pennuti – trovarsi un altro ruolo?

Come Gambero Rosso ci occupiamo direttamente solo della fascia alta del settore, solo degli esempi di eccellenza, che siano una piccola gelateria irraggiungibile, una micro azienda agricola o un grande ristorante gastronomico da 150 collaboratori. Ciononostante non ci sfugge come buona parte del restante comparto abbia bisogno di un grande momento di rinnovamento che passa anche, non ci sarebbe nulla di male, per l’uscita di qualche imprenditore non adatto a questo ambito perché improvvisato e non più aggiornato e magari adattissimo ad altri ambiti. Cosa ancor più vera negli ultimi anni, durante i quali il mondo della ristorazione ha accolto al suo interno una enorme quantità di operatori non del mestiere. Le grandi crisi sono una occasione irripetibile affinché i cambiamenti si manifestino. La storia ce lo dice: tutte le grandi crisi hanno generato cambiamenti orchestrati sulla ricerca di una maggiore coerenza e qualità. Un esempio? Il boom del vino italiano è figlio dello scandalo del Metanolo. Anche all’epoca le imprese si trovarono davanti ad un bivio: cambiare o morire. Nessuno puntò sulla retorica del fare come s’è sempre fatto e tutti si rimboccarono le maniche adeguandosi al nuovo scenario: oggi l’Italia è tra i paesi (se non il paese) leader nel vino per qualità e quantità di produzione”.

Seguono le conclusioni del Gambero Rosso , che forse suonano dure ma realistiche: “Come si evince dunque, è effettivamente pieno di ristoratori che devono cambiare lavoro, magari restando nel settore della ristorazione per carità, ma modulando in maniera radicalmente diversa il loro ruolo e il loro contributo a questo settore. Ed è giusto, in questo processo, che vengano aiutati e affiancati dallo stato visto che le cose stanno muovendosi eccessivamente alla svelta e per queste piccole aziende è complicato far fronte a modificazioni che normalmente si sarebbero articolate su più anni”.

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