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Giulio Sapelli: “Argentina, è ora di dire addio al peronismo”

“Macri non c’entra nulla col centro-destra come lo intendiamo noi né, come qualcuno scioccamente sostiene, col berlusconismo: è un liberal all’americana ed è una novità assoluta nel panorama politico argentino. E’ la grande occasione per lasciarsi definitivamente alle spalle il peronismo”. A benedire il possibile exploit di Mauricio Macri nel ballottaggio presidenziale che oggi 22 novembre lo vedrà affrontare, con un inaspettato favore nei sondaggi, il delfino della Presidenta uscente Cristina Kirchner (ed ex uomo di Carlos Menem, presidente della grande crisi degli anni ’90) Daniel Scioli, è il professor Giulio Sapelli, docente di Storia economica alla Statale di Milano e grande esperto di Argentina e Sudamerica. 

Origini calabresi – suo padre è Franco Macri, discusso imprenditore del settore automobilistico e degli appalti pubblici in edilizia (nel 1968 costruì perfino la centrale nucleare di Buenos Aires) e titolare della holding Socma che fattura oltre cinque miliardi di dollari l’anno -, il 56enne leader di “Cambiemos”, Mauricio Macri è stato governatore della città di Buenos Aires dal 2007 ad oggi e presidente del Boca Juniors dal 1995 al 2007 (periodo nel quale ha vinto 17 trofei di cui 11 internazionali). Per la prima volta nella sua storia l’Argentina è stata portata da Macri a scegliere nel ballottaggio il Presidente della Repubblica al secondo turno, sfidando il teoricamente favorito “Frente para la Victoria” guidato ora da Scioli. L’ex vice di Nestor Kirchner, marito e predecessore di Cristina, e anche lui di evidenti origini italiane (il bisnonno era molisano), ha infatti preso più voti al primo turno (38% contro 34%), ma non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta “per colpa” del dissidente Sergio Massa, che ha sottratto il 21% alla causa della continuità peronista.

La “sinistra” avrebbe dunque ancora sulla carta la maggioranza, ma in Argentina circola una voce che anche Sapelli conferma: “Amici e colleghi mi dicono che circa due terzi dei voti che sono andati a Massa al primo turno, potrebbero essere dirottati su Macri al ballottaggio”, facendone dunque il favorito a sorpresa. Il caso Massa, ex capo di gabinetto della Presidenta poi silurato per divergenze in particolare sul tema della sicurezza, è stato secondo Sapelli un autogol della Kirchner ma non l’unico. “Il vero disastro della Kirchner è stata la politica economica: l’Argentina non ha più un’economia e ha una credibilità internazionale pari a zero”. Sul banco degli imputati soprattutto la spesa pubblica, che ha sì ridotto la povertà (dal 68% dell’era Menem, quella culminata con il “corralito”, al 15%) e la disoccupazione (oggi inferiore al 7% ma prevista sopra l’8% nel 2016) ma a costo dell’esplosione dell’inflazione. “E’ stata una finta ripresa – accusa Sapelli -: episodi come le assunzioni in blocco dei piqueteros (l’organizzazione di disoccupati nota per le sue proteste spesso violente, ndr), spacciati per politica keynesiana, gridano vendetta. La Kirchner ha svuotato le casse dello Stato e falsificato le statistiche (ad oggi l’inflazione è ufficialmente al 25%, la seconda più alta del mondo secondo Ft, e il Pil è previsto in decrescita nel 2016, ndr): la prima missione del nuovo presidente, mi auguro Macri, sarà quella di verificare lo stato della Banca centrale e di reindustrializzare il Paese, riaprendolo ai capitali stranieri. Con il peronismo anti-yankee dell’ultima presidenza l’Argentina si è drammaticamente isolata”.

Macri in effetti, più di Scioli che si pone in continuità con la predecessora, ha subito detto che la sua politica sarà di completa e immediata apertura ai mercati, strizzando l’occhio agli Stati Uniti, con i quali pende ancora la questione dei “Fondi avvoltoio” (per i quali Washington è in credito di 1,5 miliardi di dollari), e anche all’Europa. “In particolare con l’Italia – spiega Sapelli – che è molto esposta in Argentina con alcune grandi aziende come Fiat e Telecom: Macri ha consulenti di primissimo livello che hanno relazioni profonde con l’Italia”. E anche con la Gran Bretagna, con la quale sembrerebbe che il candidato liberale abbia intenzione di chiudere definitivamente la questione Malvinas o Falkland che dir si voglia, in cambio di una quota di petrolio. “Questo però farebbe bene a dirlo tra qualche anno. E’ un’ottima idea, ma le ottime idee è meglio tenersele per quando il potere è più consolidato”.

Per quanto riguarda in particolare i rapporti con gli Usa, Macri in caso di vittoria potrebbe rappresentare una discontinuità non solo per l’Argentina ma per tutto il Sudamerica, negli ultimi anni caratterizzato da leader più o meno marcatamente anti-americani: da Chavez e poi Maduro in Venezuela a Morales in Bolivia, da Mujica in Uruguay alla Rousseff in Brasile. “Sono casi molto diversi fra loro: per esempio sono grande amico e estimatore di Mujica, mentre non molti sanno che Morales, che viene considerato rivoluzionario, è in realtà l’espressione della borghesia andina. In ogni caso il Sudamerica farebbe bene a aprirsi: le due Americhe devono essere vicine perché nel Nord ci sono molti latinos e per la complementarità delle economie”. Il Sud ha le risorse energetiche, tra le più invidiate del pianeta, il Nord porta tecnologie e capitali. E’ il ripetersi di una storia centenaria, che ha visto anche il Nord depredare il Sud, pensando prima ai propri interessi che allo sviluppo dell’area. Ma per Sapelli “che ben venga: il Sudamerica non può permettersi di isolarsi. Abbiamo visto dove sta andando il Brasile con le scelte di Dilma”.

E se invece nel ballottagio argentino di oggi dovesse alla fine spuntarla Scioli? “Il popolo dimentica troppo facilmente: il governo di Menèm, di cui Scioli è stato esponente anche se va detto che la sua posizione ora è più evoluta e più vicina al protezionismo selettivo dell’anziano economista Aldo Ferrer, ha portato l’Argentina al collasso economico alla fine degli anni 90. Menèm ha svenduto tutte le aziende pubbliche che erano sommerse da debiti, non però per liberalizzare ma anzi per sottrarle alla concorrenza. Gli argentini dovrebbero chiedersi perché non esiste oggi una rete ferroviaria degna di questo nome, il che penalizza fortemente non solo il turismo ma soprattutto l’economia”. E’ insomma il peronismo che va superato anche se, come sostiene l’economista che dal 1993 al 1995 è stato il rappresentante italiano di Transparency International, organizzazione che lotta contro la corruzione economica, lavorando a stretto contatto con l’allora compagna di Macri, “nessuno ha mai capito che cosa sia il peronismo, ma tutt’al più sappiamo ciò che non è: non è né di destra né di sinistra e ha distrutto l’Argentina”.

Una discontinuità però l’Argentina, chiunque sarà il vincitore, l’avrà ottenuta: quella della partecipazione democratica. In un Paese che ha sofferto dittature e dove la sfida presidenziale non era mai stata così equilibrata tanto da arrivare al ballottaggio, il dibattito televisivo che ha ospitato pochi giorni fa il faccia a faccia tra Scioli e Macri è stato seguito da oltre cinque milioni di persone: la trasmissione Capital y Gran Buenos Aires ha toccato in alcuni momenti il 53% dello share. Entrambi i candidati hanno ribadito le loro proposte: Scioli ha promesso di attrarre “investimenti produttivi” e di prendersi cura “dell’industria nazionale e dei lavoratori argentini”; Macri ha parlato del piano di sviluppo delle infrastrutture nel nord del paese e della creazione di due milioni di posti di lavoro, oltre a sorprendere tutti sulla politica internazionale chiedendo la sospensione del Venezuela nell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) e l’abrogazione del memorandum con l’Iran.

Il più convincente, neanche a dirlo, sembra essere stato proprio Macri: le più di 15 mila persone che hanno votato attraverso l’applicazione del quotidiano “Clarin” hanno attribuito la miglior prestazione al governatore uscente di Buenos Aires con il 63%, contro il 37% ottenuto dall’erede di Cristina Kirchner. Anche i sondaggi realizzati sui portali web di quotidiani e canali tv (da Tn a C5n) hanno premiato il candidato dell’opposizione. Ora la parola passa alle urne.

Leggi anche: “Svolta in Argentina: diventa presidente il liberal Mauricio Macri che archivia il peronismo“.

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