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Giro: Quintana in rosa col giallo della safety-bike

Fino a ieri una sorta di sfinge, Nairo Quintana ha atteso la tappa più tremenda del Giro per rivelarsi l’aquila che è, conquistando vittoria e maglia rosa. Una prova di forza che non può essere inficiata dalle polemiche anche furiose scoppiate on the road e nel dopo corsa perché il colombiano non avrebbe obbedito a Radio Corsa che a un certo punto, prima del passaggio sullo Stelvio, avvolto in una tormenta gelida di neve, comunicava che delle moto con bandierine rosse avrebbero agevolato la discesa dei vari gruppetti di corridori per limitare i rischi.

Per alcuni team come Omega (Uran), Trek (Kiserlowski) e Astana (Aru) si interpretava il messaggio come una sorta di neutralizzazione, come capita quando entra in pista la safety-car nelle gare di Formula Uno. Un giallo – complicato anche da un tweet dell’organizzazione che parlava di errore nella comunicazione negando ogni ipotesi di neutralizzazione – che non toglie lucentezza e legittimità all’impresa rosa di Quintana. Gavia, Stelvio e Valmartello, due passi da leggenda e un’arrampicata finale inedita con la spirale dei suoi tornanti conclusivi dalle pendenze proibite, hanno con ogni probabilità incoronato il re di un Giro che fino a oggi pareva divertirsi a rimescolare, di giorno in giorno, le carte.

Quintana era il grande favorito alla partenza di Belfast, forte della sua fama di essere il più forte grimpeur in circolazione. Uscito di scena anzi tempo Purito Rodriguez, il colombiano aspettava le grandi montagne per esplodere. Ma l’exploit di Uran nella crono di Barolo, il suo rendimento opaco salendo a Oropa e a Plan di Montecampione, uno stato di salute precario per un’infezione respiratoria avevano finito per spostare su altri, prima su Cadel Evans, poi sul connazionale Uran, i favori dei pronostici. Oggi a cinque giorni dalla fine del Giro, Quintana ha messo le mani prepotentemente sulla maglia rosa e non si vede chi gliela possa sfilare.

Primo, perché ci sono ancora tante montagne e un arrivo da brividi in cima allo Zoncolan, niente di meglio per l’apoteosi finale di uno scalatore purosangue come il colombiano leader della Movistar. Secondo, perché gli avversari stanno a turno mostrando la corda, in particolare Uran che avendo perso potenza in salita, appare sempre più in balia degli attacchi altrui: ha mascherato i suoi attuali limiti contenendo i danni a Oropa e a Montecampione ma ieri di fronte a Quintana, che l’ha staccato di 4’11”, è stata praticamente una resa.

E’ vero che il portacolori della Omega Pharma – da ieri retrocesso al secondo posto a 1’4” – può contare sulla crono di venerdì ma le pendenze del Monte Grappa non sono quelle pedalabili di Barolo, dove Quintana ha sofferto la specialità. Gli altri sono ormai più lontani, distaccati di oltre almeno 3 minuti: Cadel Evans è un lottatore accanito, che non si arrende mai ma anche ieri, giungendo decimo, ha perso quasi 5 minuti da Quintana e una manciata di secondi dalla stesso Uran. Pozzovivo e Aru stanno facendo un Giro entusiasmante, al di là di ogni attesa: anche in cima a Valmartello si sono piazzati quinto e sesto a 3’40” alle spalle di un’altra rivelazione della corsa, l’olandese Kelderman. Ma i due italiani, il tulipano della Belkin e il polacco Rafal Maika, tutti splendidi protagonisti di questo Giro senza big, non sembrano in grado di sovvertire la supremazia di Quintana.

Salendo a Valmartello gli unici che sono riusciti a reggere più a lungo il passo della nuova maglia rosa sono stati il canadese Ryder Hesjedal – secondo ad appena 8” – e il francese Pierre Rolland – terzo a 1’13”. Rolland sta dimostrando in questo Giro che la sua vittoria all’Alpe d’Huez nel Tour 2012 non fu la sparata fortunata di un giorno. Se avesse senso tattico pari all’audacia che mostra ogni giorno, Rolland potrebbe concretamente aspirare prima o poi a vincere qualcosa di importante. Per ora, in questo Giro, ha buone possibilità di centrare il podio essendo quarto a 3’26” da Quintana ma a soli 5 secondi dal terzo che è Evans.

Commovente e ammirevole la prova di Hesjedal: di lui si parlava ormai come di una meteora apparsa nel firmamento del ciclismo e poi subito spenta. Dopo la vittoria nel Giro del 2012, colta in extremis nella crono milanese ai danni di Joaquim Rodriguez, era di fatto scomparso, inghiottito nelle retrovie delle corse come un signor nessuno. Ieri il canadese, che più volte ha perso le ruote di Quintana per poi riagganciarlo in un asfissiante duello durato fino all’allungo finale del colombiano, ha legittimato due anni dopo il suo successo al Giro. E se non avesse perso oltre tre minuti nella crono a squadre di Belfast, il gigante della Garmin Sharp che vive alle Hawaii, sarebbe oggi vicinissimo alla maglia rosa. E’ comunque entrato di diritto nella top ten, nono a 4’16”.

Era la prima volta che il Giro d’Italia presentava una tappa in cui ci fossero da scalare insieme Gavia e Stelvio. Due passi cui sono legati momenti indimenticabili di storia del grande ciclismo. La prima volta dello Stelvio, nel Giro del 1953, vide l’entusiasmante assolo di Coppi che vinse a Bormio strappando la maglia rosa a Koblet. In cima al passo si decise l’edizione del 1975 con il duello tra Bertoglio e Galdos. La tappa andò allo spagnolo, ma il Giro – Merckx era assente – lo vinse l’italiano. Il Gavia, un tempo poco più che una mulattiera sconnessa ed esposta, fu scoperto da Vincenzo Torriani nel 1960, nel primo Giro vinto da Jacques Anquetil. Sul passo epica fu l’ascesa di Irnerio Massignan che staccò Charly Gaul che lo raggiunse solo perché il veneto della Legnano venne appiedato in discesa da una foratura.

Nomi celebri, certamente più di quello del colombiano Robinson Chalapud che è transitato ieri primo sul Gavia precedendo Arredondo, a caccia di punti per difendere la sua maglia azzurra di leader dei Gpm. Il gruppo saliva poco più indietro, perdendo già qualche pezzo come Basso, tra le nebbia e la pioggia che in cima era neve. Tempo avverso ma mai come l’infernale giornata vissuta sul Gavia dal Giro del 1988, un clima da tregenda in cui si sfiorò il dramma: i girini parevano un esercito allo sbando, ritirati, congelati e stravolti, maschere di ghiaccio. Anche Van der Velde, che stava volando verso luna possibile vittoria del Giro, scomparve dalla corsa, rifugiandosi chissà dove. A Bormio primo fu l’olandese Erik Breukin. Secondo l’americano Andrew Hampsten che conquistò la maglia rosa. Sarà il primo corridore yankee a vincere un Giro. Van der Velde riapparve distrutto 47 minuti dopo.

Sullo Stelvio ieri, a passare per primo sulla Cima Coppi, è stato Dario Cataldo che fino alla salita finale di Valmartello guiderà la corsa in solitudine. Gli ultimi transiteranno ai 2.758 metri del passo quasi mezz’ora dopo l’italiano del Team Sky. Il gruppo di Uran e degli altri uomini di classifica arriva sgranato in fila indiana. Fa un freddo boia. Molti corridori, fradici e infreddoliti, si fermano per cambiarsi, indossando tute asciutte. Altri ne approfittano per mangiar qualcosa. La comunicazione di Radio Corsa sull’introduzione delle safety-moto con bandierine rosse veniva interpretata ciascuno a suo modo. Nella confusione che si era creata, con una visibilità ridotta dal nevischio e dalle nuvole nere che avvolgevano lo Stelvio, nessuno si era accorto che Quintana, abituato a vivere ai quasi tremila metri di Combita, un piccolo centro aggrappato sulle Ande colombiane, si era tuffato in discesa senza troppi preamboli.

Trenta secondi, un minuto, un minuto e mezzo: Quintana, con il compagno Izaguirre, Rolland e Hesjedal, era ormai una lepre imprendibile. Curiosamente il più forte scalatore prendeva il volo in discesa. Si scatenavano le polemiche. Quelli dell’Omega erano i più infuriati. Anche sull’ammiraglia della Trek avevano un diavolo per capello: avrebbero addirittura fermato Kiserlowski per rifocillarlo visto che la discesa era stata neutralizzata. All’inizio dell’ascesa di Valmartello, Quintana aveva meno di due minuti di vantaggio su Uran. Vantaggio che in cima all’arrivo era più che raddoppiato. Il che basterebbe per chiudere la querelle. Ma oggi in una tappa di trasferimento da Sarnonico a Vittorio Veneto, in cui potrebbe riemergere la stella di Ulissi affondata ieri al cospetto delle grandi vette – penultimo della corsa a oltre 44 minuti da Quintana – c’è da attendersi che quella strana safety-bike della discesa dello Stelvio tenga ancora banco con la sua coda velenosa di polemiche.

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