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Fusioni bancarie: prove di matrimonio tra Bpm e Banco Popolare con il placet di Banca d’Italia

Si riparte, con la speranza che la medicina dei tassi sotto zero della Banca del Giappone possa dare la scossa ai mercati per riemergere dai gorghi di un gennaio orribile, segnato dal crollo del petrolio, dalla crisi cinese e dal rallentamento della locomotiva Usa (solo +0,7% il Pil dell’ultimo trimestre 2015).

L’onda lunga delle misure decise venerdì ha permesso un avvio positivo a Tokyo (+1,8% a metà seduta) e a Sidney (+1%). Ma la crisi ha creato crepe profonde, che non sarà facile riparare con effetti negativi per molti mercati.

Per il quinto mese consecutivo cala l’indice Pmi cinese, ormai in piena contrazione (48,2). La produzione industriale segnala una nuova frenata della domanda, confermata dall’andamento del Pmi giapponese (- 0,1%). Il dato ha vanificato il rialzo di Hong Kong (-0,5%) e dei listini cinesi: Shanghai -1,3%, Shenzhen -0,5%.

Pesante l’impatto sulla Corea del Sud: l’export è sceso del 18,5% rispetto al gennaio 2015, il calo più violento dall’agosto del 2009. In calo anche il Pmi indiano.

Torna a scendere il prezzo del petrolio: il Brent tratta a 35,4 dollari (-1,4%). Il calo del greggio sta mettendo a rischio la stabilità finanziaria dei produttori. Ieri sera ha alzato bandiera bianca la Nigeria, costretta a ricorrere ad un prestito del Fondo Monetario e della Banca Mondiale come era successo nel 2008/09. Venerdì il debito dell’Azerbaijan, uno dei più importanti produttori di gas naturale, è scivolato per la prima volta nel girone dei junk bond. Il fondo sovrano di Baku ha perduto da quest’estate il 16,8%. 

La frenata della Cina non dovrebbe compromettere l’apertura dei listini europei, prevista in rialzo dopo la spinta di venerdì. I futures segnalano Londra +23 punti a 6.107, Parigi +1 pb a 4.418, Francoforte +22 pb a 9,820.

L’AGENDA: DRAGHI, INDICI PMI E DATI DELL’AUTO

Entra nel vivo in settimana la corsa alla Casa Bianca con il caucus dell’Iowa: tra i democratici testa a testa tra Bernie Sanders e Hillary Clinton, in campo repubblicano comanda Donald Trump davanti a Ted Cruz. Il dato macro Usa più rilevante riguarda l’occupazione: 170.000 nuovi posti di lavoro. Riflettori accesi oggi su Mario Draghi che nel pomeriggio presenterà al Parlamento Europeo il rapporto annuale della Bce.

In settimana di riunirà il vertice della Bank of England. Sembra escluso l’aumento dei tassi: il precedente Usa ha fatto scuola. Giornata ricca di dati macroeconomici Dopo la pubblicazione degli indici Pmi asiatici toccherà in mattinata all’Europa. In evidenza in Italia anche i dati sulle immatricolazioni di auto a gennaio.

GOOGLE ALL’ATTACCO DEL PRIMATO DI APPLE 

Pioggia di dati in vista per la Corporate America. Presentano i conti più di cento società, tra cui Exxon, Gm, Pfizer e Ralph Lauren. Il dato più atteso stasera è quello di Alphabet (ex Google) che potrebbe effettuare un clamoroso sorpasso ai danni di Apple: solo 23 miliardi di dollari separano la capitalizzazione del motore di ricerca (516 miliardi di dollari) da quella della Mela (539 miliardi). 

Google, al pari degli altri membri del “club della zanna”, ovvero “Fang” dalle iniziali dei titoli più dinamici della new economy (Facebook, Amazon, Netflix e la stessa casa di Mountain View), gode oggi dei favori del mercato. Apple (-19% negli ultimi tre mesi) sconta invece il rallentamento delle vendite dell’iPhone. 

Warren Buffett va su Internet contro gli interessi degli hotel di Omaha che registrano ogni anno il tutto esaurito in occasione del meeting di Berkshire Hathaway (30 aprile), che attrae per tre giorni circa 40 mila risparmiatori nella città del Nebraska. Il finanziere, oltre a suggerire l’uso di Airbnb per evitare le alte tariffe imposte dagli albergatori, ha deciso di mettere in Rete l’evento via webcast. Sarà anche possibile per gli iscritti prenotarsi e porre domande in remoto. 

LE NOZZE BMP-POPOLARE PER DIMENTICARE IL GENNAIO NERO

I cinque titoli peggiori della Borsa di Milano nel mese di gennaio sono tutti banche: Monte Paschi -45%, Banco Popolare -35%, Unicredit -32%, Ubi Banca -30%. Copione simile per l’ultima settimana, quando la maglia nera è toccata a Mps (-11,6%), seguita da Unicredit (-11,2%) e Bpm (-8,2%). 

E’ in questa cornice tribolata che il comparto del credito si prepara a dare il via alla stagione, troppe molte rinviata, dei merger. Con la benedizione del governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, che ha chiesto ai banchieri più capacità e risorse interne da destinare allo smaltimento delle sofferenze, oltre ad un rapido taglio dei costi, necessario per far ripartire i margini di interesse. 

Sulla rampa di lancio ci sono Bpm e Banco Popolare. L’ad del gruppo veneto, Pier Francesco Saviotti, si è spinto a dire in occasione del convegno Assiom Forex che l’operazione si farà entro un mese (“o non si farà più”). Più cauto Giuseppe Castagna, ad della Popolare milanese, cui toccherà in caso di nozze la guida del nuovo gruppo, il terzo per dimensioni del sistema, dato che le due banche hanno una capitalizzazione simile (Bpm 3,1 miliardi, il Banco 2,8miliardi), l’operazione si configura come un ‘merger-of equal’. 

UBI CAUTA SU MPS. E LE POSTE SI DEFILANO

Sotto i riflettori del mercato anche Ubi-Mps. “Non c’è nessun dossier aperto ma non abbiamo nessuna pregiudiziale su nessuno”, ha detto l’ad del gruppo lombardo Victor Massiah, a proposito dell’ipotesi di matrimonio con Mps. “I parametri che cerchiamo per un’operazione sono la creazione di valore e la semplicità della governance – ha aggiunto-, poi bisogna capire fino in fondo il discorso delle garanzie del governo sulle sofferenze che stiamo studiando”. 

Fabrizio Viola, ad del Monte Paschi, ha replicato che un matrimonio con Ubi “da un punto di vista industriale è un’operazione che può essere considerata e studiata”. Tuttavia non “non c’è stato nessun contatto”. 

A proposito di Mps, da registrare la secca smentita di Poste Italiane: non siamo interessati ad un merger. Bper, intanto, ha ribadito di guardare con attenzione ad un merger con il Credito Valtellinese e la Popolare di Sondrio. 

Intanto Federico Ghizzoni non ha escluso che Unicredit possa utilizzare il meccanismo per lo smaltimento delle sofferenze bancarie messo a punto dal governo italiano in accordo con Bruxelles. Aumento di capitale? “Per ora niente. Vedrete i conti 2015”.

BORSE MONDIALI, IL MESE PEGGIORE DAL 2009

I mercati finanziari hanno archiviato senza rimpianti un mese catastrofico, appena addolcito dallo strappo finale favorito dalle misure giapponesi. Nel mese di gennaio l’indice complessivo delle Borse mondiali Msci Global ha lasciato sul terreno il 7,8%. Per trovare un dato peggiore, occorre risalire al gennaio 2009 quando, cinque mesi dopo il fallimento di Lehman Brothers, i listini arretrarono in media dell’8,8%. 

Anche allora, come del resto è successo nel mese scorso, ci fu un’improvvisa carestia di matricole: nemmeno un’Ipo sui listini USA mentre a Piazza Affari Coima Res (Manfredi Catella) e Idea Re hanno rinviato il road show dedicato agli investitori. A guardare i precedenti non è lecito nutrire speranze di una pronta ripresa. 

Il febbraio 2009 fu ancora peggiore (-10,5%), ma pose le premesse prima del formidabile recupero scattato il 9 marzo di quell’anno: l’indice S&P, dai minimi a quota 666, cominciò la lunga marcia al rialzo scandita degli interventi delle banche centrali, Fed in testa, che hanno consentito di conseguire una striscia di rialzi pari al 137% fino all’estate del 2015.

PIAZZA AFFARI A GENNAIO PEGGIO DEL BRASILE

La storia si ripeterà? Nell’attesa che la Bce prenda a marzo le misure già promesse e che, soprattutto, la Fed rinunci a nuovi rialzi almeno fino all’autunno, i mercati provano ad archiviare il gennaio degli orrori.

A Piazza Affari, nonostante il rialzo del 2,5% di venerdì, l’indice FtseMib chiude la settimana con un calo dell’1,95%, la quinta settimana consecutiva di ribasso. La perdita da inizio anno è -12,5%. 

A sottolineare la performance negativa di Milano, condizionata dalla flessione dei bancari, basti il confronto con gli Emergenti: la Borsa brasiliana, espressione di un Paese in recessione, per giunta colpito dall’epidemia, da gennaio ha perduto il solo il 10% (in euro).

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La Borsa peggiore è però Shanghai (-22%) davanti ad Hong Kong (-19,3%). E’ andata meglio ma non troppo alle altre Borse europee: Francoforte è scesa del 9%. A Wall Street si registra il -9% del Nasdaq e il -6% di S&P500 e Dow Jones.

PETROLIO, CENNI DI RIPRESA 

Tempestoso l’andamento del petrolio. Nei primi 20 giorni il greggio, condizionato anche dal ritorno sul mercato dell’Iran, è sceso fino al minimo di 27,8 dollari al barile (-25% da inizio anno), per poi risalire l’ultima settimana sulle indiscrezioni di un possibile cambio di orientamento dell’Arabia Saudita. 

I prezzi sono risaliti e il mese chiude con il Brent a 34,3 dollari, in calo dell’8% da inizio anno. Ma la volatilità resta alle stelle. E si registrano nuove vittime tra i Paesi produttori: il debito dell’Azerbaijan è scivolato per la prima volta nel girone dei junk bond.

Solidi, sotto l’ombrello della Bce, i titoli di Stato. Il Btp decennale chiude il mese con il rendimento all’1,41%, dopo averlo iniziato a 1,59%. Sale ma non troppo l’oro: solo +5,30%, nonostante le scosse ai listini ed alle materie prime. 

LUXOTTICA, UN TEST PER DEL VECCHIO EVERGREEN

Grande fermento attorno a Luxottica dopo il terzo riassetto ai vertici in 18 mesi, sancito a sorpresa dal Cda di venerdì. Leonardo Del Vecchio, 80 anni, torna ad assumere la guida operativa assorbendo le deleghe per l’area mercati già di competenza di Adil Khan, il manager che lascia il gruppo con una liquidazione di 7 milioni di euro.

Massimo Vian mantiene il ruolo di AD Prodotto e Operations. Il nuovo ribaltone è stato motivato dal fondatore con la necessità di una “semplificazione del modello organizzativo”. 

“Leonardo Del Vecchio è certamente realista sul fatto che non si immagina una sua presenza decennale in Luxottica, ma certamente vuole tornare a guidare l’azienda nei prossimi due o tre anni”, ha concluso Adil. Resta il fatto che l’assetto del primo gruppo manifatturiero italiano fa un nuovo passo indietro.

GENERALI, IN SETTIMANA LA SCELTA DEL NUOVO CEO

Attesa in settimana la decisione dei grandi azionisti delle Generali per il dopo Greco. Favorita la soluzione interna: Philippe Donnet, attuale ad delle Generali Italia, o il cfo Alberto Mignali. Nella sua lettera di commiato Mario Greco rivolge i propri ringraziamenti a Caltagirone e Del Vecchio, senza citare gli altri grandi soci. 

Il patron di Luxottica però è stato lapidario. “Non ci sono mai stati conflitti” tra il manager e i soci di Trieste, ha detto prima del cda di Luxottica. “Questo ve lo posso dire io che conosco molto bene gli altri soci”, ha sottolineato: “E’ una scelta sua che, combinazione, coincide con il fatto che era uscito da Zurich da numero due e adesso rientra da numero uno. Anch’io avrei fatto quello che ha fatto lui, però non avrei detto le sciocchezze che ha detto lui, tipo dire che lo volevano cacciare via perché non è assolutamente vero. Aveva un contratto sul tavolo da due mesi e se avesse voluto lo avrebbe firmato”.

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