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Formula 1: la Ferrari a Monza per continuare a sperare

Con chi palpita a 300 all’ora, Monza ha un debito storico: quello di lasciare interesse al resto del campionato. Debito spesso non assolto, neppure quando -30 e più anni fa- la gara nell’Autodromo chiudeva di fatto la stagione, lasciando alla manciata di gare successive , quasi sempre oltreoceano, un valore molte volte accademico. Ora il debito aumenta. Dato che, dalle nostre parti, chi palpita a 300 all’ora lo fa quasi obbligatoriamente in una luce rossa Ferrari, Monza è chiamata a dire se il titolo iridato è ancora alla portata del Cavallino oppure no.

Proviamo a essere più pratici. Monza 2013, 12° appuntamento di un Mondiale prolungatissimo prima verso oriente, poi anche verso occidente, e oggi tappa ad appena due terzi del percorso iridato: quali sono, ancora, le chance reali di Alonso per la corona iridata? La matematica sembrerebbe lasciare molte strade aperte: a 8 Gran Premi (Monza compresa) dal traguardo, l’asso spagnolo della Ferrari è secondo nel Mondiale a 46 punti dal leader Vettel. Tanti, 46 punti. Ma anche pochi: con 25 punti in palio per la vittoria singola, basterebbe un ritiro del tri-iridato in carica per riportare il suo vantaggio a proporzioni ben più accettabili e promettenti. Questo perché alle spalle di Vettel in gara, di solito, c’è proprio Alonso. Che quest’anno, finora, non ha brillato in qualifica; ma quando si corre per i punti ingrana una marcia in più. E quindi, in caso di battuta d’arresto della Red Bull, sarebbe il candidato ideale per i famosi 25 punti.

Tutto logico, quindi. Ma ci sono parecchi ma.

Il primo: in questa fase di Mondiale, Red Bull e Ferrari non sono le uniche monoposto in grado di puntare in alto. C’è anche la Mercedes, come mostrano le 3 vittorie (due Rosberg, una Hamilton) negli ultimi 6 GP. Ma soprattutto come evidenziato dalla raffica di pole position conquistate durante tutto l’anno, e quando le pole diventano tante sono il segno di una evidente di una competitività che sta avviandosi verso il top.

Il secondo: la Ferrari (cioè Alonso, perché Massa è sempre più un desaparecido della F.1) non vince dalla quinta gara, in Spagna, metà maggio. Dopo di che: una lunga estate di patimenti. E questo è il punto interrogativo numero 1 del Cavallino edizione 2013. Finalmente, dopo due campionati a rincorsa obbligata causa scarso valore iniziale, a inizio campionato la Ferrari F138 era molto competitiva. Forse la più competitiva. Che cosa è accaduto, dopo?

E siamo al terzo punto. Perché la Ferrari di quest’anno, qualche errorino in fase sviluppo l’ha compiuto. Qualche debolezza in sede tecnica probabilmente la lamenta ancora, tant’è vero che si sta fortificando (James Allison, nuovo rinforzo tecnico, debutta proprio in questi giorni) e non si vergogna ad ammettere che per il futuro, date anche le ulteriori difficoltà imposte da una F.1 che dal 2014 ritorna al motore turbo, il piano di ristrutturazione anche umana sarà potente. Tutto vero, e a Maranello fanno bene a mettere mano al cuore e al portafoglio. Ma non dimentichiamo la Red Bull! Che è un team eccezionale, tre Mondiali di seguito (quasi 4) non si dominano per caso. O per fortuna. E in Red Bull la forza non discende soltanto dal genio di Adrian Newey, un progettista che vincendo a questo ritmo dopo averlo fatto in passato con Williams e quindi McLaren, sta riscrivendo la storia tecnica della Formula 1. Tutto il team è fortissimo: regolare, ambizioso, caparbio fino alla cattiveria, capacissimo di imparare dai propri errori.

E non basta: Vettel, dove lo mettiamo? Era un ragazzo molto, molto veloce. Oggi è un campione assoluto. La velocità l’ha conservata tutta: intatta e anzi impreziosita da una costanza di risultato, da una quasi esenzione dall’errore personale. Anche nelle condizioni più difficili quali quella -insopportabile, per un campione- di accontentarsi di un piazzamento quando il successo pieno è impraticabile. A 26 anni compiuti da poco Vettel è lanciatissimo verso la quarta iride personale: Prost, tanto per fare un paragone, il quarto titolo lo conquistò a 38 anni; Michael Schumacher a 32; il mitico Fangio addirittura a 45. E fermiamoci qui, perché di umani campioni del mondo F.1 quattro o più volte non ce ne sono più.

Basta, questa sequenza di superlativi per team e pilota, a spiegare perché questa Ferrari, devi sì migliorarsi; ma sta anche combattendo un match contro un avversario dei più forti di sempre?

Grazie, Monza, se potrai rimescolare le carte di una partita che sembra già segnata…

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