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Elezioni Brasile 2022, oggi il ballottaggio per il Presidente: Lula in vantaggio su Bolsonaro, chi trionferà?

FIRSTonline

Il Brasile alla resa dei conti. Domenica 30 ottobre la prima economia del Sudamerica (220 milioni di abitanti e 150 milioni di elettori) elegge il presidente: sarà rieletto l’uscente Jair Bolsonaro o trionferà l’ex sindacalista Lula, già presidente dal 2003 al 2011? Quest’ultimo è avanti nei sondaggi, ma il margine ridotto (4-5 punti, facendo una media delle recenti rilevazioni) non lo lascia tranquillo, soprattutto ricordando quanto accaduto nel primo turno del 2 ottobre, quando il presidente sovranista ha smentito le previsioni che lo davano indietro di 15 punti con possibile vittoria di Lula al primo turno, arrivando invece al 43% dei consensi (7 punti in più del 36% attribuito dai sondaggi). Lula, 77 anni compiuti giovedì scorso e ormai provato fisicamente dall’età e dai quasi 2 anni trascorsi in carcere per la condanna (poi revocata) per corruzione, è sempre il favorito, ma in un certo senso la sua elezione farebbe di lui un caso unico al mondo: di origini umilissime, non ha completato il percorso di studi ed è già stato per 8 anni al vertice del suo Paese, seguendo le regole democratiche. A differenza di altri leader simili, fa notare Globo, come Nelson Mandela, che era laureato, o come Lech Walesa, che aveva sì un curriculum alla Lula, ma lui al secondo tentativo naufragò con l’1% dei voti. 

Elezioni Brasile 2022: Lula presidente del popolo, ma anche degli economisti

Lula è stato e si candida ad essere il presidente del popolo, colui che ha abbattuto la povertà estrema in Brasile dal 18,5% al 5%, un dato che invece sotto Bolsonaro è risalito al 9,5%: oggi sono 33 milioni i brasiliani che hanno difficoltà ad avere accesso al cibo, e il Paese è recentemente tornato sulla Mappa della Fame dell’Onu. Ma non è solo per questo che un ritorno del leader del Partido dos Trabalhadores sarebbe preferibile, persino per gli economisti e i mercati finanziari, che infatti “tifano” per lui, al punto che in caso di vittoria il suo governo potrebbe essere quasi più tecnico che politico. Più economisti che ex sindacalisti barricadieri, per intenderci, e del resto già le scelte in campagna elettorale sono andate in questa direzione. Lula, infatti, è riuscito a realizzare quello che è mancato al centrosinistra italiano: un campo più che largo, larghissimo, con 9 partiti che lo hanno sostenuto al primo turno (record per un’elezione presidenziale brasiliana), ai quali si è aggiunto per il ballottaggio l’appoggio dei due centristi sconfitti il 2 ottobre, Simone Tebet e Ciro Gomes. Porteranno in dote circa un 5-6%, che potrebbe rivelarsi decisivo e che di fatto crea una coalizione di “unità nazionale”, con l’obiettivo di spodestare il sovranista Bolsonaro, accusato di qualsiasi nefandezza durante la pandemia ma che in realtà il duello con Lula lo perde anche dal punto di vista dei numeri dell’economia. 

Con Lula Pil da record, Bolsonaro tiene a colpi di debito pubblico

Negli anni di Lula, infatti, il Brasile cresceva del 6-7%, spinto dalle commodities e dai consumi delle famiglie, e resistendo anche al crac di Lehman Brothers, mentre con Bolsonaro durante la pandemia il Pil è sceso del 4%, toccando la crescita massima (+4,7%) a inizio di quest’anno, salvo poi di nuovo rallentare. L’ultimo dato ufficiale, quello del secondo trimestre 2022, parla di una crescita del 2,6%. La previsione per fine anno secondo l’Fmi è del 2,8%, meno della media globale (3,2%), dell’Italia (3,2%) e degli altri ex emergenti, ad eccezione della Russia, che cresceranno in media del 3,7% anche nel 2023, quando invece il Brasile frenerà sull’1%. L’anno prossimo la Cina risalirà al 4,4%, mentre l’India crescerà di oltre il 6%.

Allarme anche per la disoccupazione, che a fine 2022 sfiorerà il 10%: Lula l’aveva portata al 7,8% nel 2010, con Bolsonaro invece il Brasile registra il secondo peggior dato dell’intera America Latina, meglio solo dell’11% della Colombia. Va un po’ meglio per l’inflazione, che Bolsonaro sta contenendo intorno al 9%, un dato in linea con l’area sudamericana, anche se con Lula era scesa sotto il 6%.

Tuttavia, il presidente uscente è accusato di “dopare” l’economia per coprire le falle e racimolare consenso: ecco perché la benzina è sì ai minimi storici, ma grazie a cospicui interventi pubblici, e il sussidio Auxilio Brasil, il reddito di cittadinanza brasiliano, è stato portato a cifre mai viste per tamponare l’emergenza sociale dopo la pandemia. Ma nemmeno chi lo percepisce si fida, tant’è vero che tra chi riceve gli aiuti, il favorito è comunque Lula.

Bolsonaro potrà contare su governatori e maggioranza (relativa) al Congresso

L’economia, per quei pochi segnali positivi che emergono, sta infatti facendo un “volo di gallina”, secondo l’espressione usata in un editoriale della Folha de Sao Paulo, a firma dell’economista Nelson Barbosa. La spinta apparente di questi ultimi mesi, peraltro come visto nemmeno straordinaria, non reggerà. E’ un fuoco di paglia che porterà rapidamente alla stagnazione: “Alcuni previsioni parlano di una crescita di appena lo 0,6% nel 2023, quindi un dato inferiore alla crescita demografica (0,7%)”. Quindi ulteriore impoverimento pro capite, e questo il Brasile, che sta concludendo questo rush elettorale stremato dalle tensioni e dalle violenze, non se lo può permettere.

Nel caso, ancora possibile, di una rielezione di Bolsonaro, le cose potrebbero persino precipitare, ma anche dovesse spuntarla Lula, il suo compito non sarà facile. Molti brasiliani, pur preferendolo all’avversario, non gli perdonano il coinvolgimento (mai del tutto chiarito, il processo va rifatto daccapo) nello scandalo Lava Jato, e in ogni caso il suo governo sarà chiamato a molte soluzioni di compromesso, visto che, anche in caso di sconfitta, Bolsonaro potrà contare su molti governatori in Stati chiave (a Rio è già stato rieletto il suo candidato, a Sao Paulo la destra è favoritissima al secondo turno) e il suo Partito Liberale sarà in ogni caso, dopo i risultati del 2 ottobre, il gruppo più numeroso al Congresso Federale, sia alla Camera (99 deputati contro i 68 del PT di Lula) che al Senato (13 contro 9). La partita è apertissima e sarà battaglia anche dopo il voto.

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